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Università, il “piano straordinario” per l’assunzione dei ricercatori precari: lo stanziamento insufficiente e col trucco
Il finanziamento, certo, c’è ma è insufficiente e col trucco visto che scarica sulle università statali la responsabilità di assunzione delle migliaia di ricercatori precari, gran parte contrattualizzati per i progetti legati al Pnrr. Col trucco perché proposto con la consapevolezza che gli atenei potrebbero non riuscire a stabilizzare neanche i soli 1.600 ricercatori “coperti” sui 4.500 individuati dal Governo stesso o, addirittura, sugli oltre 20 mila stimati dai sindacati in un conteggio che considera tutte le forme di contratti a tempo determinato su cui si appoggia l’università italiana. L’EMENDAMENTO Lo stanziamento è presentato come un “piano straordinario” di valorizzazione e reclutamento per gli atenei statali e gli enti pubblici di ricerca vigilati dal Mur (come Cnr, Inaf, Infn, Ingv, Ogs, Inrim) ed è previsto in uno degli emendamenti alla manovra del pacchetto dei riformulati presentati in commissione Bilancio. Il testo prevede, per le assunzioni, un cofinanziamento al 50% da parte del ministero e al 50% a carico dei bilanci dei singoli enti. Vengono nel complesso stanziati circa 50 milioni con incrementi del Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) e del fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca (FOE). Poco più di 11 milioni dal 2026, poco meno di 39 dal 2027. Le nuove assunzioni avvengono con procedure concorsuali, con una riserva del 50% dei posti dedicata ai ricercatori attualmente impiegati su progetti Pnrr. POCHI INCLUSI Nel dettaglio, si cofinanziano al 50% le posizioni da Ricercatori in tenure track (quindi quelle che portano alla stabilizzazione) il resto a carico degli atenei “entro le proprie facoltà assunzionali”, quindi nel quadro degli attuali organici. È la stessa relazione tecnica a fornire i numeri: ci sono, secondo il ministero dell’Università e della ricerca, 4.502 Ricercatori a tempo determinato (A) in scadenza tra il 2025 e il 2026, di cui 2.574 assunti col Pnrr. E di questi, si riusciranno a stabilizzare – ammesso che le università abbiano abbastanza soldi per coprire la loro parte – circa 500 posizioni per il 2026 e intorno alle 1.100 per il 2027. Quindi poco più di 1.600 se si aggiungono quelli delle università non statali. “Non a caso – spiega la Flc Cgil – si prevede già che ci possano esser risorse non utilizzate per questo misero pianetto straordinario e le si destina, per ogni evenienza, ad integrazione della quota base del Fondo per il finanziamento ordinario delle università”. ENTI DI RICERCA Per gli Enti di ricerca sono invece previsti quasi 8,8 milioni di euro in due anni per assumere personale ricercatore e tecnologo con le stesse modalità di cofinanziamento e anche qui una riserva del 50% dei posti per i precari Pnrr in ruolo al 30 giugno 2025. “In termini concreti, si tratta di circa 240 posizioni, ma anche in questo caso, non a caso, si prevede già che ci possano esser risorse non utilizzate e le si destina, per ogni evenienza, ad integrazione del Fondo Ordinario Enti ed Istituzioni di Ricerca” continua il sindacato. UNIVERSITÀ PRIVATE Altri 2 milioni di euro in due anni, con uguali modalità, sono previsti anche per le università non statali con risorse che potranno permettere in questi atenei di assumere tutti i ricercatori Pnrr. “A nostra memoria è la prima volta che si prevede un piano straordinario anche delle università non statali”. SPICCIOLI CON I TAGLI DEGLI ANNI SCORSI La Flc Cgil traccia un bilancio pluriennale di tagli e sacrifici, a partire dalla legge di Bilancio del 2025 che ha previsto per il 2025 un blocco del turn over dei professori universitari al 75%, che per il 2026 si trasferiva ai ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca. “Questo blocco ha comportato per gli atenei una perdita di circa 50 milioni di euro e dal 2026 dovrebbe prevedere almeno 65 milioni di euro di trasferimenti annui dal sistema università e ricerca al MEF”. E ancora, la cancellazione della coda del cosiddetto “Piano straordinario Messa” che ha destinato agli aumenti stipendiali del personale 50 milioni di euro dal 2025 e altri 50 milioni dal 2026 che dovevano esser invece dedicati all’assunzione di nuovi professori, ricercatori e personale tecnico amministrativo in deroga alle facoltà assunzionali (cioè, aumentando gli attuali organici degli atenei). “Striminzita. Resta fuori una ingente platea, tra assegni (prorogati e attivati anche per il Pnrr quando ancora non erano implementati i Contratti di Ricerca che avrebbero dovuto sostituirli) e precari “storici”. “A fronte di oltre 10.000 precari Pnrr in espulsione da università ed enti di ricerca, di cui oltre 2.600 RTDa e oltre 300 TD, a fronte degli oltre 7.200 RTDa ancora in ruolo e in scadenza nei prossimi due anni, a fronte dei 100 milioni di tagli attuati nel 2024 sul Piano straordinario Messa e di un intervento garantito dalle opposizioni lo scorso anno per il solo CNR di 10 milioni di euro, si prevede oggi un intervento parziale per 1.900 posizioni, sostanzialmente finanziato con le risorse provenienti dal taglio del turn over deciso nella legge di bilancio dello scorso anno, di cui già oggi non si è sicuri che saranno effettivamente tutte bandite per la necessità di un cofinanziamento nel quadro degli attuali organici”. 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“Lavoro in due atenei a Bari e Roma, da marzo sarò a rischio espulsione”. “Vengo da 10 anni di nomadismo, non finiamo mai di dimostrare”: i ricercatori universitari in piazza contro i tagli
Il 12 novembre le Assemblee Precarie Universitarie, in circa 20 atenei in tutta Italia, si sono mobilitate e lo hanno fatto per contrastare i tagli e le riforme messe in campo dalla ministra Bernini. A Roma, sulla scalinata dell’università La Sapienza a pochi passi dalla Minerva, i ricercatori precari hanno sventolato delle rondini di carta per ribadire che loro sono lavoratori e lavoratrici a tutti gli effetti e come tali pretendono i loro diritti. “Noi abbiamo scelto di usare le rondini come nostro nuovo simbolo – spiega Marco Picciafuochi, ricercatore precario e membro dell’Assemblea di Roma Tre – lo stesso che la ministra Bernini ha scelto per rappresentarci, dicendo che siamo come rondini che si muovono di progetto in progetto. Noi non ci stiamo, questa è una narrazione romantica, ma altrettanto infantilizzante.” Secondo i dati di Flc Cgil l’università italiana risulta sottofinanziata di circa un miliardo di euro e nel solo 2024 i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) raggiungevano circa 419 milioni di euro. “Lavoro all’università da circa 10 anni ormai – racconta Carlo, ricercatore precario – con un assegno nell’ateneo di Bari e con un contratto di docenza a Roma Tre. Sono in scadenza nel febbraio prossimo e quindi da marzo sarò a rischio espulsione dal sistema“. “Dopo 10 anni di nomadismo in diverse università ora ho vinto un particolare tipo di borsa che mi porterà a stare di nuovo i prossimi due anni all’estero – spiega Rossana, ricercatrice precaria di 36 anni – da un lato mi sento fortunata, dall’altro però sento anche tanta stanchezza, come se non si finisse mai di dover dimostrare qualcosa, di essere sempre più produttivo, sempre più flessibile. Ogni anno dovrò di nuovo cambiare tutto e cercare di mettere l’essenziale della mia vita in un bagaglio di 23 kg”. Nel corso dell’ultimo anno, fanno sapere i ricercatori in piazza, sono scaduti i contratti di oltre 2.500 ricercatori a tempo determinato e 4.000 assegnisti di ricerca nelle università italiane. L’esaurimento dei fondi del PNRR, denunciano i precari, porterà all’espulsione entro l’estate del 2026 di circa 20 mila lavoratori. L'articolo “Lavoro in due atenei a Bari e Roma, da marzo sarò a rischio espulsione”. “Vengo da 10 anni di nomadismo, non finiamo mai di dimostrare”: i ricercatori universitari in piazza contro i tagli proviene da Il Fatto Quotidiano.
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