I risultati del censimento nazionale dei dispositivi di controllo della velocità
sono online e consultabili sul sito del ministero dei Trasporti. E hanno portato
alla luce dati che smentiscono definitivamente la narrativa diffusa anche dallo
stesso ministro dei Trasporti, Matteo Salvini. Che per anni ha dipinto l’Italia
come leader mondiale dei controlli stradali, parlando di “giungla degli
autovelox”. La pubblicazione dell’elenco ufficiale dei dispositivi e sistemi di
rilevamento della velocità autorizzati dal ministero dei Trasporti, giunta dopo
la scadenza del 28 novembre per la comunicazione dei dati, invece, offre una
visione dell’arsenale di misuratori ben diversa dagli 11 mila o più autovelox:
“Il 10% degli autovelox di tutto il mondo”, ha twittato Salvini tante volte. Il
suo censimento ha stabilito che ce n’è appena un terzo. Al contrario, i veri
problemi erano già noti. Come la famosa “omologazione”, ma la soluzione ancora
non c’è.
I risultati del censimento – Il D.M. n. 367 del 29 settembre di Salvini aveva
imposto alle amministrazioni locali di comunicare entro 60 giorni tutti i
dettagli necessari degli apparecchi: marca, modello, matricola, estremi di
approvazione e collocazione. La comunicazione è condizione necessaria per il
loro legittimo utilizzo. Gli enti locali e le forze dell’ordine che non hanno
inviato i dettagli tecnici sulla piattaforma telematica del ministero devono
spegnere gli apparecchi dal 29 novembre, altrimenti le multe saranno nulle. Ma
quanti sono gli autovelox? Secondo i primi dati elaborati dall’Associazione
sostenitori e amici della Polizia stradale (Asaps) e dall’Associazione Lorenzo
Guarnieri (ALG), il numero totale di apparati di controllo della velocità,
inclusi fissi, mobili e in movimento, presenti in Italia è di 3.625. Altro che
11.000 e addirittura 13.000 autovelox, numeri che ponevano l’Italia al primo
posto nel mondo per i controlli di velocità, come il leader leghista non perdeva
occasione di ricordare. Asaps e ALG hanno commentato che “non siamo i primi al
mondo per i controlli della velocità”, aggiungendo che l’Italia ha probabilmente
meno autovelox di Francia e Inghilterra, e in proporzione al numero di abitanti
e auto, anche meno di Svizzera e Austria. I dati mostrano che la maggior parte
(3.038) è gestita da Polizie Locali, Provinciali e Città Metropolitane, mentre
la Polizia Stradale ne controlla 586, compresi i Tutor autostradali, strumenti
che hanno contribuito a ridurre sinistri, morti e feriti sulle tratte a velocità
più elevata.
Quando Salvini dava i numeri – Già prima del censimento, però, le statistiche
utilizzate dal leader leghista apparivano poco attendibili e tuttavia le
utilizzava per giustificare la stretta sugli autovelox inserita nella riforma
del Codice della strada. Salvini ha ripetuto che “non è possibile che in Italia
ci sia il 10 per cento degli autovelox di tutto il mondo” per difendere
l’obiettivo di controlli meno severi, accusando alcuni sindaci di vedere gli
automobilisti come “un pollo da spennare”. L’origine della statistica che
parlava di oltre 11 mila dispositivi in Italia, aveva indagato già nel 2024
Pagella politica, tra gli altri, usciva da un comunicato stampa del Codacons
basato sui dati della piattaforma specializzata “Scdb.info”, che raccoglie
informazioni principalmente tramite le segnalazioni degli utenti e “su un
veicolo di Scdb.info, che circola per le strade in cerca di rilevatori della
velocità”. Un dato puramente indicativo e risultato inaffidabile, tratto da una
lista non esaustiva e con un metodo di raccolta basato su segnalazioni che
distorce i risultati, anche lasciando fuori intere nazioni o registrando numeri
irrisori in paesi vasti e popolosi. Alla luce del censimento, quel dato sembra
oggi ancora più fuorviante. Asaps e ALG chiedono adesso dove si trovino ora
tutti quegli “autovelox truffa” apparsi sulla stampa, ribadendo che tutti gli
apparecchi fissi sono comunque autorizzati dalle Prefetture, istituzioni che
rappresentano il governo a livello territoriale.
Omologazione e altri problemi irrisolti – Nonostante la sua “guerra” contro gli
autovelox, Salvini non è ancora intervenuto sul nodo dell’omologazione. Il
problema è complesso e riguarda sia gli apparecchi comunali sia quelli della
Polizia stradale: in Italia nessun autovelox è formalmente omologato, dato che
l’iter e i criteri di omologazione non sono mai stati stabiliti e manca ancora
il necessario decreto attuativo. La questione riguarda sia gli apparecchi
comunali sia quelli della Polizia stradale. Le pronunce della Corte di
Cassazione annullano sempre più sanzioni emesse con autovelox autorizzati ma non
omologati. Oggi, quasi il 60% degli apparecchi fissi e oltre il 67% di quelli
mobili, oltre a non essere omologato, è stato approvato prima del 2017, anno
spartiacque che alimenta la “valanga di ricorsi”. Lo stallo persiste nonostante
uno studio scientifico dell’Università di Firenze abbia evidenziato che gli
autovelox sono strumenti utili per la sicurezza stradale e riducono gli
incidenti con conseguenze mortali tra il 15% e il 26%. Per dirla col presidente
dell’Associazione Lorenzo Guarnieri, “gli autovelox non servono a far cassa ma a
salvare vite”. Salvini, che ha spesso utilizzato il termine “omologazione”, non
ha risolto la questione: a marzo scorso aveva annunciato un decreto per
dichiarare omologati gli autovelox approvati dal 2017 in poi, salvo poi
ordinarne il ritiro due giorni dopo. Per non parlare delle possibili
alternative, efficaci e già adottate in altri Paesi, come il semaforo dissuasore
o i “cuscini rallentatori” per l’ambito urbano, che potrebbero migliorare la
sicurezza, in particolare per pedoni e ciclisti, ma che da noi non si vedono
perché il solito ministro non ne ha normato l’uso.
L'articolo Il grande bluff degli Autovelox, Salvini smentito dal suo stesso
censimento. Ecco i dati reali (e i problemi veri) proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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Meno incidenti e meno morti sulle strade italiane nei primi sei mesi del 2025,
ma ancora i numeri delle vittime sono troppo alti. Il recente rapporto di Aci e
Istat è stato subito rilanciato dal ministero delle Infrastrutture e Trasporti,
guidato da Matteo Salvini, sottolineando che il nuovo Codice della strada è
“fondamentale per salvare vite”. Ma i quasi 100 morti in meno (1.310 contro i
1.406 dei primi sei mesi del 2024) non sono sufficienti e viene evidenziato
nello stesso rapporto: “La riduzione delle vittime mostra un progresso che negli
ultimi anni è stato debole, confermando la necessità di intensificare le azioni
per conseguire l’obiettivo europeo del dimezzamento delle vittime entro il
2030″. Per risalire la graduatoria sul tasso di mortalità stradale – che vede
l’Italia ancora al diciannovesimo posto tra i 27 Paesi Ue – serve pertanto
intervenire per migliorare la sicurezza stradale: ma cosa sta facendo il governo
sul tema? Al di là degli annunci, continua la battaglia di Salvini contro gli
autovelox senza però intervenire sul nodo fondamentale dell’omologazione, mentre
le infrastrutture stradali presentano numerose criticità (come i guardrail
vecchi e non aggiornati) e le norme attuali non prevedono ulteriori strumenti
per ridurre in maniera consistente i tassi di mortalità e incidentalità.
Argomento che oggi, in occasione della Giornata mondiale in ricordo delle
vittime della strada, assume particolare rilievo.
IL CENSIMENTO DEGLI AUTOVELOX
Uno studio scientifico del dipartimento di ingegneria industriale
dell’Università di Firenze, presentato a ottobre, evidenzia che gli autovelox
sono strumenti utili per ridurre gli scontri con feriti e morti, in particolare
– viene specificato – gli incidenti “con conseguenze mortali subiscono una
riduzione che va dal 15% al 26%”. “Gli autovelox non servono a far cassa ma a
salvare vite“, ha sottolineato durante la presentazione Stefano Guarnieri, il
presidente dell’associazione Lorenzo Guarnieri che ha finanziato lo studio e che
è impegnata per ridurre il numero di vittime della strada. Una prospettiva molto
diversa da quella del ministro Salvini che da anni è protagonista di una vera e
propria battaglia contro gli strumenti di rilevazione della velocità, contro
quella che lui definisce la “giungla degli autovelox”. Il 30 novembre scade il
termine per Comuni e forze dell’ordine per comunicare, sul portale appositamente
creato, i dati tecnici relativi ai dispositivi per l’accertamento delle
violazioni dei limiti di velocità in loro possesso: se non lo faranno l’utilizzo
degli autovelox diventerà illegittimo e dovranno pertanto essere spenti. Un
censimento voluto proprio dal leader della Lega. Dati che, alla fine, saranno
pubblicati sul sito del ministero e che tutti potranno consultare.
IL NODO DELL’OMOLOGAZIONE (MAI RISOLTO)
“Tutti i comuni d’Italia dovranno comunicare al Ministero quanti sono gli
autovelox, dove sono, perché e se sono omologati, quelli che non verranno
comunicati verranno spenti. Purtroppo negli anni per fare cassa sulla pelle dei
lavoratori hanno messo anche tanti autovelox furbetti, nascosti, su strade a
due, tre, quattro corsie”, ha detto il vicepremier a settembre presentando
l’ultima novità. La narrazione è sempre la stessa: i Comuni – per guadagnare
dalle multe – installano dove vogliono gli autovelox. In realtà questi strumenti
hanno bisogno dell’autorizzazione della Prefettura locale, cioè l’istituzione
che rappresenta proprio il governo sul territorio. C’è di più. Salvini utilizza
impropriamente un termine: quello di omologazione, che è il vero tema di questi
mesi. Sono sempre più numerose le pronunce della Corte di Cassazione che
annullano le sanzioni per eccesso di velocità emesse utilizzando autovelox non
omologati ma solo autorizzati dal ministero delle Infrastrutture. Quella che
sembra un semplice contestazione ad alcuni strumenti non in regola con le norme,
in realtà è una vicenda molto complessa. Semplicemente perché nessun autovelox
in Italia è omologato, in quanto iter e criteri di omologazione non sono mai
stati previsti: e riguarda non solo i dispositivi utilizzati dai Comuni ma
anche, ad esempio, quelli utilizzati dalla Polizia stradale. E cosa ha fatto
Salvini per risolvere il problema? Nulla. Al di là di modifiche su dimensioni e
distanza dei cartelli stradali di segnalazione e il divieto di installare i
radar nelle strade con limite inferiore a 50 km/h, non è cambiato niente. A
marzo scorso ha annunciato la soluzione con la predisposizione di un decreto
ministeriale che dichiarava omologati gli autovelox “approvati dal 2017 in poi”:
due giorni dopo però è stato lo stesso Salvini a ordinare il ritiro del
provvedimento. Quindi il caos per automobilisti e Comuni rimane.
LE ALTERNATIVE (ANCORA NON PRATICABILI)
In alterativa agli autovelox esistono numerosi strumenti di rallentamento, che
tanti altri Stati utilizzano, ma che in Italia non possono essere presi in
considerazione perché il ministero non li autorizza. C’è ad esempio, utile per
le strade extraurbane, il semaforo dissuasore che riconosce un veicolo che
procede a una velocità troppo elevata e, in tal caso, attiva le luci gialle e
poi rosse, costringendo così il conducente a rallentare e fermarsi. Sono molto
utilizzati all’estero e possono eventualmente essere anche dotati di apparecchio
fotografico per identificare i trasgressori. O, in ambito urbano, i cosiddetti
“cuscini rallentatori“, una sorta di dosso (ma quadrato e di circa un metro e
mezzo) che può essere installato anche in zone spesso attraversate dai veicoli
di soccorso, senza creare problemi. Ma in Italia manca la normativa che
regolamenta l’uso della strumentazione alternativa. Basterebbe solamente copiare
gli altri Stati europei per migliorare la sicurezza delle strade, soprattutto
quelle cittadine dove si verifica il maggior numero di incidenti. E anche per
rendere più sicura la mobilità degli utenti più deboli della strada: persone in
bici e pedoni.
LE BARRIERE DI SICUREZZA VETUSTE
C’è poi il problema dello stato delle infrastrutture stradali. Oltre a buche e
problemi al manto stradale, c’è ad esempio la criticità relativa alle barriere
stradali di sicurezza. Aveva provocato molto scalpore il grave incidente
dell’ottobre del 2023, quando un bus di turisti è precipitato da un cavalcavia a
Mestre provocando 21 morti: in quell’occasione l’attenzione si era concentrata
proprio sulle condizioni del guardrail in quel tratto di strada. Come spiega
Aisico – azienda italiana impegnata nel campo della sicurezza stradale e
infrastrutturale – le barriere stradali di sicurezza oggi in esercizio sulle
strade italiane sono state progettate negli anni ’90, quando le auto pesavano in
media circa 1.200 chili. Oggi Suv e veicoli elettrici superano spesso i 1.800
chili, “ma il quadro normativo resta fermo all’ultima revisione delle norme
sulle barriere che risale al 1992”. In caso di urto con Suv o auto elettriche,
pertanto, la capacità di contenimento delle barriere può risultare gravemente
compromessa. Tra l’altro le norme attuali non obbligano la sostituzione in caso
di barriere inadeguate o usurate, “creando un vuoto normativo che espone gestori
e automobilisti a rischi concreti”. “Servono nuovi standard e strumenti digitali
per censire e monitorare in modo continuo lo stato reale delle infrastrutture. È
urgente, a livello continentale, un aggiornamento del quadro normativo, perché
le norme oggi in vigore non rispecchiano più l’evoluzione del mondo
dell’automotive. Il modo migliore per onorare le vittime è lavorare perché
simili tragedie non si ripetano”, commenta Ottavia Calamani, Ceo di Aisico. Le
strade italiane sono pertanto ancora insicure e intervenire su questi e tanti
altri aspetti potrebbe ridurre in maniera significativa il numero dei morti.
L'articolo La guerra contro gli autovelox, i guardrail vetusti e gli altri
strumenti per ridurre gli incidenti: cosa sta facendo il governo per la
sicurezza stradale? proviene da Il Fatto Quotidiano.