Sette mesi dopo l’elezione di Leone XIV comincia a precisarsi meglio la linea
del suo pontificato. Prevost è stato scelto e sostenuto dai cardinali elettori
perché in maniera equilibrata continuasse il riformismo di Francesco, riservando
però maggiore attenzione al potenziamento dell’istituzione vaticana ed
ecclesiale, al contempo superando la frattura che aveva visto contrapporsi al
pontefice argentino un aggressivo blocco conservatore.
Leone è pienamente consapevole della situazione e appare evidente la sua
intenzione di ricucire, impegnandosi come Tessitore. Il che spiega il modo
prudente di muoversi sia quando conferma le svolte di Francesco sia quando dà un
colpo di freno. Erano tre i principali punti di attacco dei conservatori alla
vigilia del conclave del maggio scorso: la questione omosessuale, il ruolo delle
donne, il rapporto con l’Islam (agli ultra-tradizionalisti non era andato giù
che Francesco avesse firmato con il grande imam Al Tayyeb di Al Azhar un
documento, in cui la pluralità delle religioni è definita parte del “disegno di
Dio”).
In questo quadro si spiega, ad esempio, la decisione di Leone di non pregare
nella Moschea Blu di Istanbul, dove pure aveva pregato (già prima di Francesco)
papa Ratzinger, teologo rigorosissimo. Limitarsi ad un tour culturale è stato un
gesto distensivo verso le preoccupazioni del fronte conservatore.
Leone XIV ha fatto invece capire che non vi sarà nessun cambiamento rispetto ad
una forte innovazione voluta da Francesco: la benedizione delle coppie
omosessuali. La norma attuale prevede una benedizione che non appaia
ritualizzata come il sacramento del matrimonio, ma in ogni caso è un riconoscere
che c’è una coppia gay impegnata in un cammino comune. Una svolta radicale
rispetto all’epoca di Wojtyla e di Ratzinger. La benedizione rimarrà ed è
prevedibile che nei prossimi anni ogni episcopato la regolamenterà.
Diverso l’approccio sulla “questione femminile”. Leone continuerà a inserire
donne in posizioni di rilievo della Curia vaticana, ma sul diaconato femminile
c’è uno stop. “Per il momento non ho intenzione di cambiare l’insegnamento della
Chiesa sull’argomento”, disse Prevost appena eletto.
Nei giorni scorsi sono stati pubblicati i risultati della seconda commissione
istituita nel 2020 da Francesco sul diaconato femminile. La conclusione –
unanime – è che in alcune fasi storiche il diaconato femminile si è sviluppato
in “maniera diseguale” in diverse parti della Chiesa ma “non è stato inteso come
il semplice equivalente femminile del diaconato maschile e non sembra avere
rivestito un carattere sacramentale”. Varie votazioni hanno rivelato la
spaccatura della commissione su come formulare una proposta per risolvere la
questione in futuro.
L’orientamento contorto della commissione è evidenziato particolarmente da una
delle votazioni. Alla tesi che suona così: “Il sottoscritto non appare al
momento favorevole all’istituzione nella Chiesa del diaconato femminile inteso
come terzo grado dell’Ordine sacro. Tale valutazione si basa sugli elementi
storici e teologici fino a oggi acquisiti, senza escludere evoluzioni successive
su questo tema», le risposte sono state le seguenti. Quattro membri concordano
con la formulazione, 5 la respingono, uno si astiene. Insomma un 40% continua a
sperare in “evoluzioni successive”.
Dal punto di vista geopolitico la linea di Leone prosegue complessivamente
l’indirizzo dei suoi predecessori, basato sul mantenimento (o la ricostruzione)
di un equilibrio multilaterale. Tuttavia il recente viaggio in Turchia e Libano
ha portato delle novità nelle sfumature.
Prevost non ha proclamato in pubblico il diritto dei palestinesi a realizzare un
loro Stato. Nell’aereo da Istanbul a Beirut si è limitato a dire che la Santa
Sede da sempre appoggia l’idea dei due Stati come unica soluzione al conflitto
in corso. Però una cosa è rilasciare un commento alla stampa, altro è affermare
pubblicamente un principio nello spazio arabo e islamico, rivolgendosi
direttamente alle masse o a una riunione di autorità statali e ambasciatori. Per
il governo israeliano, che nel frattempo continua a bombardare Gaza e in parte
tollera, in parte incoraggia i pogrom antipalestinesi in Cisgiordania (oltre
mille i morti), è un vantaggio.
Con la stampa Leone XIV si è dilungato invece sulla questione ucraina e anche
qui sono emerse accenti interessanti. Prevost si è espresso nuovamente per un
cessate il fuoco e ha tenuto a sottolineare che la presenza dell’Europa ai
negoziati di pace è importante. Accenti che collocano la Santa Sede più vicina
alle posizioni di Kyiv. Rispetto alla visione di Bergoglio, che vedeva nel
conflitto uno scontro fra imperialismi, è un aggiustamento di linea da non
sottovalutare.
Soprattutto perché subito dopo – nella conversazione con i giornalisti
sull’aereo da Beirut a Roma – Leone ha esaltato il ruolo che l’Italia potrebbe
giocare: “Ha la capacità di agire come mediatrice in un conflitto tra diverse
parti. Anche Ucraina, Russia, Stati Uniti…”. Un obiettivo incoraggiamento al
ruolo della presidente del Consiglio. Leone non parla mai a caso e sentirlo dire
“Potrei suggerire che la Santa Sede promuova questo tipo di mediazione e che
cerchiamo insieme una soluzione che possa realmente offrire” una pace giusta in
Ucraina, è stato forse un regalo inaspettato per Giorgia Meloni.
L'articolo Il Papa ‘tessitore’ aggiusta la linea: sì alle coppie gay, no alle
donne diacono. E un messaggio a Meloni proviene da Il Fatto Quotidiano.