di Susanna Stacchini
Limitarsi a biasimare chi rinuncia ad esprimere il proprio voto, è un modo per
giudicare l’estetica e non la sostanza. Le proporzioni dell’astensione sono
tali, da rendere indispensabile un’analisi attenta, in grado di ricercare le
radici profonde del fenomeno. Oggi invece, a partire dalle Istituzioni, passando
per la politica e una larga parte della stampa, l’approccio alla questione è
superficiale e inadeguato. Con l’indifferenza verso la disaffezione al voto, la
politica confessa la rinuncia alla sua funzione più nobile, mettersi a servizio
della gente, confermandosi al contrario, espressione esclusiva di una ristretta
casta di potenti benpensanti.
Dietro ogni non voto c’è la storia di una vita. Dietro ogni non voto c’è
emarginazione, miseria, malattia e disincanto. Dietro un non voto c’è il giovane
precario che non può progettare il suo futuro, c’è la giovane coppia che
rinuncia ad avere figli, perché non può permetterseli, c’è il lavoratore povero
che ha smesso di curarsi. Dietro il non voto c’è il disoccupato e l’inoccupato,
distinguo peraltro sterile e offensivo. C’è l’anziano che vive in situazione di
povertà assoluta. C’è il mendicante, per il quale mangiare un pasto caldo o
dormire al coperto e all’asciutto, è un’incognita giornaliera.
Dietro il non voto ci sono l’Infermiere e il Medico di una sanità pubblica allo
sfascio. Ci sono i figli della madre morta di tumore, in attesa della risposta
dell’esame istologico. C’è la persona, parte offesa in un procedimento penale
che, grazie alla mannaia della prescrizione e improcedibilità, vede svanire il
suo sogno di giustizia. C’è il giovane costretto a migrare all’estero, per
vedere riconosciuti e valorizzati i suoi studi. C’è il genitore del ragazzo
morto suicida, complice una sanità pubblica ormai al collasso. C’è il padre di
famiglia, stretto nella morsa di uno sfratto esecutivo. Dietro il non voto c’è
sfiducia, senso di impotenza e la certezza di non avere alcuna possibilità di
riscatto.
In questo contesto, si è ridotto ai minimi storici anche quell’elettorato di
fedelissimi, per i quali il voto non è una scelta, ma una fede e che per
decenni, si è recato al seggio, orgoglioso di votare il “meno peggio”. Così oggi
che il numero degli astenuti supera addirittura il 50% degli aventi diritto al
voto, nessuna forza politica, partiti, movimenti, coalizioni, leader, possono
arrogarsi il diritto di dichiarare vittoria. Le proporzioni della
disassuefazione al voto, sono inequivocabili, non lasciano scampo.
La politica ha perso e insieme a lei, tutti noi. Quello dell’astensione è un
dato allarmante e monitor per la nostra democrazia, peraltro destinato ad
aggravarsi, in considerazione della sfrontatezza con cui viene ignorato. Nessun
approfondimento, nessun focus, complice una politica che evita come la peste,
qualunque domanda nel merito. La politica, invece di metterci la faccia e
prendersi le proprie responsabilità, preferisce burlarsi di una crisi di
rappresentanza senza precedenti. Evitare qualunque analisi dei numeri assoluti,
focalizzando l’attenzione esclusivamente su quelli percentuali, è funzionale al
loro tornaconto. Infatti, se pur da profana in materia, credo di poter sostenere
che se l’affluenza al voto è di circa il 47% degli aventi diritto e un partito
ottiene il 31%, la percentuale effettiva del suo consenso è del 14,57% circa.
Una fotografia questa che smonta nei fatti, molte delle tante sbandierate
vittorie. E una politica che, incurante dei pericoli a cui ci espone, ricorre a
narrazioni fuorvianti e faziose, pur di proclamare vinti e vincitori, diventa
usurpatrice del suo stesso nome. Non è un segreto che l’ordine democratico si
regga sul rapporto di fiducia fra Stato e cittadini. Un rapporto venuto meno da
tempo, da recuperare con estrema urgenza. E in qualità di cittadini attivi del
processo democratico, tornare ad esercitare quella funzione di controllo che ci
compete e che già in passato, si è dimostrata determinante nel contrasto di
derive autoritarie.
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disincanto proviene da Il Fatto Quotidiano.