
Come si fa a concepire questa Coppa Italia? Il confronto con la Fa Cup e la nostra proposta di un format più attraente
Il Fatto Quotidiano - Wednesday, December 3, 2025Vedi il tabellone degli ottavi di Coppa Italia e pensi: ma come si fa a concepire una formula come questa? La prima partita, Juventus–Udinese, finita 2-0, è stata giocata il 2 dicembre. L’ultima, Como-Fiorentina, andrà in scena il 27 gennaio, esattamente 56 giorni dopo e a voler essere pignoli in due anni diversi, 2025 e 2026. Se lo vai a raccontare agli inglesi, orgogliosi della loro FA Cup, istituita nel 1871 e di conseguenza la più antica competizione calcistica del mondo, ti prendono per matto.
I canoni del football d’oltremanica, con il suo legame forte con le comunità, rappresentano un modello non solo vincente e affascinante, ma probabilmente unico nel suo genere. La vecchia Coppa d’Inghilterra è infatti anche una chiave di lettura per capire la natura della nazione britannica, legata in modo morboso alle sue tradizioni. Ma non essendo realisticamente possibile fare un copia e incolla del torneo, in Italia si potrebbe attingere a piene mani alla FA Cup per rendere la nostra seconda competizione calcistica più attraente e coinvolgente.
La storia della Coppa Italia
Premessa: il problema nasce da lontano. La storia della Coppa Italia è travagliata. Prima edizione nel 1922 (37 squadre iscritte, vinse il Vado Ligure, formula confusionaria e, come si legge su Wikipedia, La Stampa scrisse che “il nuovo torneo non avrebbe presentato le sorprese della Fa Cup”, ergo il confronto con l’Inghilterra era già iniziato). La seconda si giocò nel 1926–27 (111 partecipanti) e fu addirittura sospesa ai sedicesimi di finale. Dopo nove anni di stop, la Coppa Italia ripartì nel 1936-37: 98 club e Torino vincitore, 5-1 sull’Alessandria nella finalissima. Il regolamento prevedeva due turni eliminatori tra le 64 squadre della Serie C, suddivise con gli stessi criteri geografici del campionato. Le sedici sopravvissute accedevano al terzo turno, in cui entrava in pista la Serie B. Nei sedicesimi, finalmente, scendeva in campo la Serie A. Considerati i tempi e l’Italia di allora, fu uno sforzo encomiabile di seguire il modello della Coppa d’Inghilterra, replay compresi in caso di parità dopo i supplementari. Il torneo trovò finalmente continuità, sebbene con alcune modifiche. Nel 1937-38, fu introdotta la doppia finale, mentre, nell’edizione successiva, si decise di disputare l’ultimo atto a Roma. Il comportamento incivile del pubblico capitolino in occasione di Ambrosiana Inter–Novara (5-1 per i nerazzurri) costrinse però la federazione a ripensarci. Il torneo proseguì fino alla stagione 1942-43, quando a causa della guerra la Coppa Italia fu giocata solo da club di A e B. Nel 1943, l’attività calcistica fu sospesa e il torneo fu ripristinato solo 15 anni dopo, nel 1958.
Il confronto con la FA Cup
Dal 1958 a oggi, la Coppa Italia ha cambiato più volte format, fino allo schema attuale, adottato nel 2021–2022. Partecipano 44 squadre: 20 di Serie A, 20 di B e 4 di C. La Coppa d’Inghilterra, con 747 iscritte all’edizione in corso, dalla Premier alla nona serie, è davvero lontana. La principale preoccupazione della Lega, organizzatore del trofeo, è infatti quella di incassare soldi dalle televisioni e questo spiega lo schema assurdo di un turno spalmato in due mesi. In Inghilterra, la Coppa nazionale è invece curata dalla federazione (Football Association, FA Cup): questo si traduce nel rispetto della tradizione e in una visione più “ecumenica”, meno parziale, più equilibrata e, soprattutto, più “sportiva”. Un esempio: quando entrano in pista le “big”, le più deboli giocano in casa. I replay si disputano invece negli stadi delle “grandi” e le percentuali degli incassi consentono spesso alle “piccole” di mettere in sicurezza i bilanci e di fare investimenti per migliorare la qualità delle strutture.
La proposta di una nuova Coppa Italia
Il modello inglese è sotto gli occhi di tutti, compresi i grandi capi della Lega: perché non cambiare e rendere più attrattiva la Coppa Italia? Si potrebbe partire dall’allargamento della formula, accogliendo i 162 club di Serie D, i 60 di C, i 20 di B e i 20 di A. Due turni con squadre di Serie C e Serie D, nel terzo in campo la B e dal quinto le 20 signore della Serie A. Nessuna forma di protezione delle “big”, anzi l’esatto contrario: le più deboli giocano in casa, soluzione che permette di fare incassi importanti. Niente replay e niente supplementari fino ai quarti, con eventuale coda affidata ai calci di rigore. Le semifinali in gara secca, in questo caso con l’extratime. La finale a Roma e grande festa per celebrare l’evento, con un prepartita in cui sfilano i vessilli delle 262 squadre e i rispettivi capitani ospiti in tribuna. Una proposta, sicuramente rivedibile e perfezionabile, che rilanciamo alle autorità competenti.
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