
L’Ilva verso la proprietà Usa: ecco le offerte. Incognite investimenti e occupati
Il Fatto Quotidiano - Friday, December 12, 2025In corsa ci sono solo i fondi. Nulla di nuovo dentro le carte della gara per l’assegnazione di Ilva, nonostante il ministro Adolfo Urso avesse sbandierato più volte l’interesse di nuovi soggetti nella corsa – sempre più stanca – per l’assegnazione dell’acciaieria a un privato. Nessuno gruppo extraeuropeo, nemmeno il ventilato “interesse italiano”. Nell’eterno gioco dell’oca che è la vertenza più importante d’Italia si va verso la vendita a Bedrock Industries o Flacks, società che sono solitamente impegnate in ristrutturazione industriali e impegnate nei rilanci di Kelly-Moore Paints e Stelco. Insomma, la strada per il rilancio dell’Ilva si fa sempre più in salita e il governo, al di là degli annunci, rischia di ritrovarsi costretto a intervenire con una partecipazione statale se non vuole vedere naufragare anche gli unici due potenziali investitori che al momento mettono sul piatto una cifra simbolica: 1 euro.
I commissari straordinari di Acciaierie d’Italia e Ilva in as, entrambe in amministrazione straordinaria, procederanno ora all’esame delle proposte per valutarne la completezza e la conformità ai requisiti del bando: “La procedura di gara rimane comunque aperta – hanno specificato – Eventuali ulteriori soggetti interessati potranno presentare una propria offerta purché migliorativa rispetto a quelle già pervenute”. Tenendo conto di quanto trapelato finora, siamo a un’ipotesi piuttosto remota. Bedrock e Flacks girano da tempo intorno al dossier con l’evidente intento di tentare un risanamento che sarà necessariamente lacrime e sangue sotto il profilo occupazionale. Bedrock si impegna infatti per 5.000 persone.
Il Ceo di Flacks, parlando con Bloomberg, ha invece sostenuto giovedì che la loro offerta contempla un totale di 8.500 dipendenti, cioè circa 1.200 in meno degli attuali lavoratori del gruppo. Ma la garanzia sarebbe per un biennio. Il punto centrale restano sempre gli investimenti per decarbonizzare la produzione e, soprattutto, riuscire a sopportare il rosso perenne della acciaieria fino a quando non sarà nelle condizioni tecniche per tornare a produrre circa 6 milioni di tonnellate all’anno. Flacks sostiene di avere già il via libera di istituti di credito statunitensi e italiani per un piano da 5 miliardi di euro, ma chiede anche il sostegno pubblico (Invitalia già partner di ArcelorMittal, ndr) nel capitale sociale.
I sindacati seguono con attenzione, sempre sul “chi va là” per la paura che il nuovo compratore non abbia particolari vincoli e possa procedere con uno spezzatino dopo aver completato l’acquisizione. Il dossier deve “passare direttamente in mano a Palazzo Chigi”, è tornato a chiedere il segretario della Fiom-Cgil Michele De Palma. “Vorrei dire al presidente del Consiglio che è giunto il momento di prendere in mano la situazione, perché si tratta di una questione che ha un impatto diretto sulla strategia della siderurgia del nostro Paese”. Per quanto il “sistema Paese” da tempo si sia riorganizzato per supplire alla produzione ormai minimale dell’acciaieria di Taranto, il rilancio è ancora ben visto da tutti gli attori: “Come ha affermato Federmeccanica, l’associazione italiana delle imprese metalmeccaniche, c’è bisogno – ha rimarcato De Palma – dell’acciaio prodotto a Taranto, che poi viene laminato e lavorato a Genova e Novi, per garantire un futuro all’industria del nostro Paese”.
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