Quando inizi a correre senza averlo mai fatto prima la sensazione è che il fiato
si spezzi. I polmoni ti abbandonano, la bocca si spalanca in uno spasimo che
asciuga le fauci, il sudore imperlina la fronte. All’inizio è così, solo
all’inizio. Poi c’è chi desiste e c’è chi prosegue. Chi non smette, giorno dopo
giorno impara a respirare e smette di soffrire. Damiano Lupi ha deciso di
resistere ed è partito. Secondo lui, emigrare e correre hanno in comune una
postura esistenziale: a Londra, dove abita da più di dieci anni e “sembra che
tutti corrano”, la definirebbero “embrace the pain”. Abbraccia il dolore e
migliorerai.
La prima corsa Damiano la fa da Roma a Leeds, mentre è iscritto a Matematica
alla Sapienza, per l’Erasmus. È una 400 metri: pochi mesi, velocità di
esecuzione, un giro completo della pista. Al suo ritorno prosegue gli studi, ma
ora sa che il suo futuro è in Inghilterra. All’Università di Warwick, a
Coventry, ci arriva che ha già imparato la resistenza: ritmo moderato, grandi
percorrenze, routine ferrea. È il suo dottorato: quattro anni dopo è pronto a
entrare nel mondo della finanza.
Londra va veloce e spesso lascia indietro. Damiano ci arriva per caso e per caso
trova il suo primo lavoro. È il momento della staffetta: la programmazione
prestata ai portafogli di banche di investimento e hedge funds. Poi c’è il boom
del data science, il testimone del codice passa all’antiriciclaggio e alla fraud
detection. Ancora oggi il suo principale impegno riguarda l’individuazione di
frodi finanziarie, soprattutto a bassa latenza, in tempo reale. Attualmente
lavora per un operatore leader nelle carte di credito, dove svolge la stessa
mansione, ma sui pagamenti da banca a banca.
Il segreto è la tenuta: gestire l’energia, affrontare la fatica, accettare il
ritmo imposto dalla città. Intorno a lui, atleti visibili e invisibili: colleghi
di ogni luogo, allenati a cercare il senso della vita nella disciplina: “Qui –
racconta – corrono tutti. È una forma di meditazione collettiva. Si sceglie un
obiettivo, ci si allena, si soffre, non ci si lamenta”. È questa la lezione
inglese che Damiano ha imparato: la serenità nello sforzo. Un’idea di felicità
che passa dalla consapevolezza dei propri limiti, non dalla loro negazione.
Il suo quartiere, Greenwich, è un insieme di vie in cui le famiglie si
somigliano: coppie di expat, lingue diverse che si incontrano, bambini che
crescono poliglotti, pendolari che prendono lo stesso treno verso il centro. A
casa, l’allenamento continua. La moglie, anche lei professionista nella finanza,
un figlio piccolo che parla tre lingue, una seconda bimba in arrivo: “Siamo
entrambi expat, quindi nessuno dei due è a casa, e forse per questo stiamo
bene”. Come se l’estraneità condivisa fosse un senso di appartenenza: “Mia
moglie è turca, io sono italiano, essere entrambi altrove ci permette di essere
entrambi a casa: la nostra”.
Damiano del resto è sempre “più inglese”. Lo racconta ridendo, e mentre ride un
po’ di accento romano riaffiora. Ricostruire la propria identità è la corsa
ostacoli che non finisce mai: lo scatto di entusiasmo, il salto fuori dalla
propria comfort zone, la depressione del rettilineo, la felicità alla prima
svolta, la malinconia di non avere prospettive di rientro. Formare una famiglia
a Londra ha contribuito a fargli sentire la città come la sua vera “casa”, ma la
prima non si dimentica: “Non so dire come sarebbe vivere in Italia da adulto, i
miei ricordi sono adolescenziali, e forse per questo condizionati. Ciò che mi
manca di più sono le persone della mia vecchia vita”.
Lupi non ha intenzione di rientrare in Italia: “L’ho realizzato dopo un po’. Ho
pensato: ‘Ah, ok, ma adesso sto qui, lavoro qui, che faccio? Non ho più
prospettive di rientrare'”. Ciò che meno gli manca, spiega, è una certa
insoddisfazione di fondo. Secondo Damiano, in Italia ci si lamenta, e spesso:
“C’è un senso di impotenza, comprensibile per ragioni politiche, che diventa un
circolo vizioso: forse dall’Inghilterra potremmo imparare a guardare il
bicchiere mezzo pieno”.
A Londra il bicchiere mezzo pieno spesso è un boccale di birra: Damiano ha
imparato la cultura del pub e il gusto del Sunday roast, l’ironia british e la
tolleranza al maltempo. E ha iniziato a correre davvero: “Non mi piaceva nemmeno
ma ho iniziato a farlo sempre di più. Faccio la 10 km una volta all’anno, niente
di che rispetto alla media inglese”. Eppure diventare adulto in Inghilterra è
stata una marcia: un piede sempre a terra, andatura costante e sostenuta, non
avere più bisogno di scattare.
L'articolo “Qui a Londra corrono tutti: si soffre per un obiettivo e non ci si
lamenta. In Italia insoddisfazione e senso di impotenza” proviene da Il Fatto
Quotidiano.