La voce di Loris Rispoli è risuonata per oltre trent’anni per non far
dimenticare la strage del Moby Prince, per chiedere verità e giustizia. La
giustizia non c’è mai stata per le 140 vittime del disastro navale del 10 aprile
1991 a Livorno: tra loro c’era anche Liana, la sorella amata di Loris, che a
bordo del traghetto lavorava come commessa alla boutique di bordo. La verità,
invece, è ancora in corso di scrittura sia pure faticosamente come sempre accade
in Italia, e per una volta grazie alle commissioni d’inchiesta parlamentari (in
questa legislatura sta lavorando la terza). E se su questa tragedia spesso
dimenticata dall’opinione pubblica e dai media non è calato il definitivo
sipario si deve anche grazie alla instancabile, irriducibile, irremovibile voce
di Rispoli che ieri, sabato, si è spenta per sempre.
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Rispoli aveva 69 anni ed è stato a lungo il presidente dell’associazione 140,
una di quelle che hanno riunito le vittime del Moby Prince, a bordo del quale
morirono in 140 tra passeggeri e membri dell’equipaggio dopo la collisione con
la petroliera Agip Abruzzo, davanti al lungomare di Livorno, poco fuori dal
porto. Loris era il simbolo di una battaglia combattuta per tutta la vita, che
era stato costretto ad abbandonare solo di recente, per una malattia. Rimbombano
ancora, dopo 28 anni, le parole che scand subito dopo la sentenza che assolse
tutti gli imputati nel primo e unico processo su quella strage ormai risalente
nel tempo. “Non trovo più le parole per definire questo scandaloso processo –
disse parlando con il Manifesto -. E’ tutto assurdo, siamo stati in quell’aula
per sei anni e per sentirsi dire alla fine: tutti assolti. Io dico: ingiustizia
è fatta, ho avuto la certezza che in in questo paese giustizia non sarà mai
fatta. I nostri parenti, mia sorella, li hanno uccisi un’altra volta“. Parlò di
quella pronuncia del tribunale come di “una inammissibile buffonata“. Sembra uno
slogan buttato lì con la pancia, invece era una definizione chirurgica, come
spesso è accaduto alle prese di posizione di Rispoli.
La sua forza di volontà è stata incrollabile, anche quando non c’erano più porte
a cui bussare, numeri di telefono da comporre, destinatari ai quali rivolgersi.
Una ostinazione da cittadino esemplare, portatore di un senso civico che ormai
si è fatto più che raro. “Loris ha scritto lettere per quasi trent’anni –
ricordava qualche tempo fa Francesco Sanna, collaboratore de
ilfattoquotidiano.it, in un intervento nel blog su questo giornale -. Alle
massime cariche dello Stato, alla magistratura inquirente e giudicante, a
chiunque potesse aiutare lui e i familiari delle vittime a trovare tutta la
verità e ottenere la giustizia promessa dalla nostra Costituzione per ogni
cittadino colpito da un delitto”.
Nel 2018 – quando una prima commissione d’inchiesta mise nero su bianco che le
inchieste penali avevano fallito nel loro obiettivo di dare una ricostruzione
credibile e esauriente del più grave incidente della marineria civile italiana –
sul suo viso si allargò finalmente un mezzo sorriso perché sembrava che
finalmente il Paese si ricordasse del Moby Prince, di quel disastro mai
spiegato: “Basta guardare il mio telefono – disse a ilfatto.it, in un’intervista
di Emilia Trevisani – e vedere quante centinaia e centinaia di persone ti
testimoniano questa vicinanza. Io credo che la commissione abbia raggiunto un
altro scopo importantissimo, quello di ricordare a questa Italia che c’era una
verità da cercare”.
Eppure dopo la presentazione della relazione finale, a Palazzo Giustiniani,
chiarì che nello zainetto portava anche lo storico striscione blu che ogni anno
il 10 aprile attraversa le strade di Livorno, in testa al corteo che ricorda la
tragedia: 140 morti, nessun colpevole. “Non lo ripongo – disse – perché non
siamo ancora arrivati alla verità. Abbiamo fatto un durissimo percorso durato 27
anni, chiedendo in ogni luogo verità e giustizia, a tutti abbiamo ripetuto la
nostra rabbia ma nessuno ci ascoltava. Il lavoro della Commissione ha dato
dignità alla nostra battaglia e ai morti che reclamano giustizia, da qui
possiamo ripartire per fare dell’Italia un Paese più giusto: perché la verità
negata a noi familiari è una verità negata a tutto il Paese”. “E’ vergognoso
continuare a sentire bugie – disse, come ha ricordato ieri Il Tirreno -. Scusate
ma vaffanculo quando sento frasi come: ‘Abbiamo salvato la stagione turistica’”.
A dirlo era stato l’ex comandante della Capitaneria di Livorno Sergio Albanese,
una delle figure più controverse in questa vicenda per certi versi incredibile.
Un’altra volta ha raccontato che già nelle ore in cui fu costretto a riconoscere
quel che restava del corpo della sorella Liana, in un capannone del porto di
Livorno, capì che quello sarebbe diventato l’impegno di tutta una vita. “È lì,
in quel capannone Karin B, – spiegò al Tirreno – che è scattata la molla: volevo
la verità. Avevo perso una sorella straordinaria: bella, solare, affettuosa,
bravissima nella pallavolo. Che avrebbe fatto felici i miei genitori con dei
nipoti e anche me che sarei diventato zio. Però io da quel momento ho messo
Liana alla stessa stregua delle altre 139 vittime, dopo aver sentito il pianto
disperato di quelle persone. Ed è allora che per me non c’è più stata solo la
famiglia Rispoli ma una famiglia unica, composta dal dolore delle 140 vittime”.
“La bussola che mi ha guidato in questi 27 anni – proseguiva – è stata la voglia
di giustizia e di verità e di mantenere viva la memoria che appunto mi scattò
dinanzi ai 140 corpi allineati nel capannone. E non ho mai allentato la presa.
Una lotta giornaliera, quasi di ora in ora, con una ferita dentro che non si è
mai rimarginata, per me come per tutti gli altri…”. Un pezzo di Livorno lo
piange come una figura di riferimento destinata ad esserci sempre, una presenza
costante per la memoria civile della città. La sfida, resa difficile dal tempo
che passa, è prendere ora il bagaglio di Loris Rispoli e portarlo a
destinazione, alla ricerca di verità e giustizia per quella strage di 35 anni
fa.
L'articolo Addio a Loris Rispoli, una battaglia lunga una vita per chiedere
verità e giustizia per la strage del Moby Prince proviene da Il Fatto
Quotidiano.