Highest 2 Lowest di Spike Lee è tutta questione di figaggine afroamericana.
L’ultimo confetto confezionato dal regista di Brooklyn è sia una summa della
stilosa eleganza upper-class black statunitense, sia il ritorno poetico a una
tradizione culturale musicale sfracellatasi nel profitto cieco e nel cantilenare
tronfio del rap. Qualcuno deve aver detto a Lee che infognarsi negli ideologismi
(modello P.T. Anderson) era procedura stantia (BlacKkKlansman) e allora eccolo
tornare sui suoi passi più leziosi e familiari (Inside Man), dove
intrattenimento fa rima con sofisticazione, acciuffare un plot perfetto di
Kurosawa (Anatomia di un rapimento, 1963) e lucidare come una vetrina di
gioielli Denzel Washington qui David King, biblico padrone (sembra Quincy Jones)
della Stackin’ Hits Records e infallibile orecchio per il talento musicale
esclusivamente black.
Incasellato nel lusso di un appartamento sull’Olympia Dumbo di Brooklyn vista
Manhattan (una specie di Bosco verticale), zeppo di iconografia
sportivo-politica black alle pareti, King vorrebbe recuperare le quote aziendali
cedute da qualche anno per ottenere nuovamente la maggioranza, pentendosi
sottotraccia di aver ceduto il reale controllo dell’etichetta alla cecità del
business più spregiudicato e vuoto.
Mentre la bella moglie Pam (Ifanesh Hadera) va a riunioni di fondazioni
musicali, King accompagna agli allenamenti di basket il figlio Trey (Aubrey
Joseph) imponendogli di spegnere lo smartphone per qualche ora e connettersi
alla realtà. Non che King sia un antidiluviano, anzi. Tutto inzaccherato tra
ninnoli, fini orecchini e vistosi anelloni, cravattone bianco su camicia bianca
e giacca blu, con le sue cuffie grandi vecchia maniera color oro (cifra estetica
di Lee, appunto), si isola mistico nell’ascolto musicale.
Ad increspare la beatitudine del boss è una improvvisa telefonata, dove gli
viene chiesto un riscatto enorme (17,5 milioni di dollari in franchi svizzeri)
per riavere suo figlio. In pochi istanti scatta la macchina anti sequestri della
polizia di New York e un detective sospetta dell’autista di King, Paul (Jeffrey
Wright), suo “bro” e sorta di legame iconografico con la microcriminalità del
passato come dell’islamismo alla Malcolm X.
Tutta la crew si piazza nell’attico di King, dove accade un altro piccolo twist:
Trey non è mai stato rapito, ma per uno scambio di fascette antisudore durante
il basket è stato rapito Kyle, figlio di Paul, che si allenava con lui. La prima
ora di film scorre via su una linearità volutamente controllata, superficie
patinata e translucida, dove King mostra addirittura dubbi nel pagare comunque
il riscatto per il figlio dell’amico.
Highest 2 Lowest si sblocca definitivamente in una sinfonia action e neonoir
nella seconda ora, iniziando dall’articolata sequenza della consegna dei soldi
che Lee architetta con frizzante vigore sui vagoni della metro imbottita di
tifosi degli Yankees e in strada con l’invasione di migliaia di portoricani per
la loro parata/festa nazionale. Qui il respiro ampio e geometrico del regista di
Fa la cosa giusta si fa vortice sensoriale con il soundtrack solenne
blanchardiano di Howard Drossin, che si fonde nella performance live
dell’anziana icona portoricana Eddie Palmieri.
I soldi si perdono. Kyle torna a casa. La polizia non ci capisce più nulla, ma
l’orecchio di King porta alla soluzione. Lui e Paul, armi in pugno, pistolettate
e confessioni, troveranno il rapitore rapper in un anfratto del ghetto da cui
provengono. Nel finale King fonderà un’etichetta più piccola e familiare,
iniziando a produrre Sula (Alyana-Lee), stavolta scoperta dal figlio Trey, sorta
di ritorno melodico a una soul music più armonica e tradizionale.
Ci siamo allargati molto in dettagli (li trovate ovunque online) non perché ci
piace spoilerare, ma per far capire dove Lee, attraverso le mosse dell’alter ego
Washington/King, voglia andare a parare con questa sorta di confessione matura e
adulta, di ritorno alle origini musicali vagamente conservatore, sicuramente
disgustate da una china negativa dell’autoproduzione rap ormai non più basata
sull’autenticità della miseria ma sulla sete di ricavi facili grazie ai social.
Highest 2 Lowest è amalgama robusta e di gran classe tra immagine e suono, un
cinema molto amico di chi ascoltava la Motown e James Brown (la terza parte
notturna di caccia all’uomo è tutta orchestrata sulle note di Mr. Dynamite)
prima che arrivasse l’auto-tune. Il brano Highest 2 Lowest cantato da
Alyana-Lee, e pure la versione di Prisencolinensinainciusol di Celentano sui
titoli di coda, sono pezzi da urlo. Mentre Washington è un attore
spaventosamente affascinante, mimetizzato tra echi di invincibilità alla
Equalizer e coolness borghese.
L'articolo Spike Lee torna alle radici: afrostyle, soul e rap tra lusso e colpi
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