Ponte sullo Stretto, perché la Corte dei Conti ha detto no: violate direttive Ue su ambiente e appalti. E c’è il nodo tariffe

Il Fatto Quotidiano - Thursday, November 27, 2025

Ci sono la violazione di due direttive europee tra cui quella relativa alla conservazione di habitat naturali e la mancanza del parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti sul piano tariffario dietro il no della Corte dei Conti al visto di legittimità e alla registrazione alla delibera del Cipess sul via libera al ponte sullo Stretto di Messina. Dalle 33 pagine di motivazioni, depositate giovedì dalla Sezione centrale di controllo di legittimità, emerge che i magistrati contabili contestano innanzitutto il superamento della valutazione ambientale negativa attraverso la procedura “Iropi”, quella a cui si ricorre quando ci sono imperative motivazioni di rilevante interesse pubblico che giustificano un progetto anche se ci sono criticità. Il secondo profilo riguarda i contratti con il general contractor Eurolink, di cui è capofila WeBuild: la loro “riattivazione”, con aggiornamento dei corrispettivi e radicale modifica delle condizioni economiche, viola l’articolo 72 della direttiva appalti. Abbastanza per fermare il provvedimento che avrebbe dovuto segnare il via ai cantieri dell’opera simbolo del governo Meloni.

Il giudizio arriva al termine di un’istruttoria durante la quale il Collegio ha chiesto chiarimenti a Palazzo Chigi, Mit, Mase, Mef e alla società Stretto di Messina, senza ottenere risposte ritenute sufficienti a superare i rilievi.

La violazione della direttiva Habitat

Il primo fronte riguarda la decisione di superare il parere negativo della Commissione tecnica VIA-VAS, che nel 2024 aveva rilevato criticità gravi per tre siti Natura 2000. Il governo ha scelto di ricorrere alla procedura “Imperative reasons of overriding public interest”, prevista dalla direttiva Habitat solo in casi eccezionali. Ma per la Corte l’uso della deroga non è stato adeguatamente motivato né accompagnato da un’istruttoria tecnica conforme ai criteri europei. La relazione Iropi approvata dal Consiglio dei ministri il 9 aprile 2025, osservano i giudici, è priva di firma, data e, soprattutto, di una valutazione autonoma da parte delle amministrazioni competenti (in particolare il Mase). Non dimostra l’assenza di soluzioni alternative, che la direttiva impone di analizzare in modo approfondito “alla luce degli effetti sugli habitat e sulle specie” e non solo sulla base degli studi prodotti dal soggetto proponente.

La Corte contesta anche la qualificazione dei “motivi imperativi di interesse pubblico”. Il governo ha fondato la deroga sulle ricadute economiche del Ponte, sull’aumento dell’accessibilità e sull’integrazione territoriale fra Calabria e Sicilia. Ma per l’Unione europea, ricorda la Corte, quelle motivazioni non consentono di prescindere dal parere della Commissione: si può procedere solo in presenza di ragioni legate alla salute pubblica, alla sicurezza o a impatti ambientali di primaria importanza. Ragioni che non sono state dimostrate. A ciò si aggiunge la carenza del confronto con Bruxelles: la Dg Environment, con una lettera del 15 settembre, aveva chiesto chiarimenti specifici su diversi profili critici, ma il Mase ha fornito una risposta giudicata “meramente riproduttiva” dei pareri VIA, senza nuovi elementi. Nel complesso, secondo il Collegio, la fase Iropi “non risulta coerente con il riparto delle competenze e con i criteri stringenti della direttiva”.

Il secondo profilo riguarda i contratti con il general contractor e gli altri affidatari: la loro “riattivazione”, con aggiornamento dei corrispettivi e radicale modifica delle condizioni economiche, viola l’articolo 72 della direttiva appalti. Il finanziamento, ora integralmente pubblico, e le altre variazioni configurano modifiche sostanziali che avrebbero richiesto una nuova gara. Il Cipess, rileva la Corte, si è limitato a prendere atto dei costi senza svolgere un’istruttoria propria. Per questo la delibera è stata dichiarata illegittima.

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