L’ex sindaco di Sorrento Massimo Coppola rischia di rispondere adesso anche
davanti dalla Corte dei conti. La procura di Torre Annunziata ha comunicato, con
una lettera di poche righe, l’esito delle prime indagini sul “Sistema Sorrento”
al procuratore regionale della Corte dei conti Antonio Giuseppone e al
presidente dell’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione, Giuseppe Busia.
Secondo il codice di procedura penale, infatti, il pubblico ministero
dell’inchiesta penale ha l’obbligo di informare la procura contabile quando
esercita l’azione penale – ovvero quando chiede il rinvio a giudizio – per un
reato che ha causato un danno all’erario. Questa disposizione crea un
collegamento tra il processo penale e quello contabile, segnalando alla Corte
dei conti l’esistenza di un potenziale danno erariale, per poter avviare le
proprie autonome procedure.
La richiesta di giudizio immediato di Coppola e dello “staffista” Francesco Di
Maio (quest’ultimo non oggetto della comunicazione alla corte dei Conti),
accusati di induzione indebita per le presunte tangenti intascate
dall’imprenditore delle mense Michele De Angelis – primo filone di una più ampia
indagine della Finanza su molte ipotesi di corruzione intorno agli appalti
pubblici – porta la data dell’11 novembre. Il Gip l’ha accolta dopo pochi
giorni, fissando la prima udienza al 20 febbraio 2026. Coppola (difeso dagli
avvocati Bruno Larosa e Gianni Pane) ora è agli arresti domiciliari in un
convento nel Lazio, mentre Di Maio (difeso dall’avvocato Alessandro Orsi) nei
giorni scorsi ha ottenuto il ritorno a casa, a Vico Equense, dove proseguirà la
detenzione domiciliare dopo un lungo periodo trascorso in una struttura
religiosa in provincia di Arezzo.
Il rinvio a giudizio non indica parti offese e quindi non verrà notificato al
Comune di Sorrento, retto da un commissario prefettizio, la dottoressa Rosalba
Scialla. Questo non impedisce a Scialla di valutare se e come chiedere di far
costituire l’Ente parte civile nel processo.
L'articolo “Sistema Sorrento”, il pm scrive alla corte dei Conti: “Valutare
anche danni erariali” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ci sono la violazione di due direttive europee tra cui quella relativa alla
conservazione di habitat naturali e la mancanza del parere dell’Autorità di
regolazione dei trasporti sul piano tariffario dietro il no della Corte dei
Conti al visto di legittimità e alla registrazione alla delibera del Cipess sul
via libera al ponte sullo Stretto di Messina. Dalle 33 pagine di motivazioni,
depositate giovedì dalla Sezione centrale di controllo di legittimità, emerge
che i magistrati contabili contestano innanzitutto il superamento della
valutazione ambientale negativa attraverso la procedura “Iropi”, quella a cui si
ricorre quando ci sono imperative motivazioni di rilevante interesse pubblico
che giustificano un progetto anche se ci sono criticità. Il secondo profilo
riguarda i contratti con il general contractor Eurolink, di cui è capofila
WeBuild: la loro “riattivazione”, con aggiornamento dei corrispettivi e radicale
modifica delle condizioni economiche, viola l’articolo 72 della direttiva
appalti. Abbastanza per fermare il provvedimento che avrebbe dovuto segnare il
via ai cantieri dell’opera simbolo del governo Meloni.
Il giudizio arriva al termine di un’istruttoria durante la quale il Collegio ha
chiesto chiarimenti a Palazzo Chigi, Mit, Mase, Mef e alla società Stretto di
Messina, senza ottenere risposte ritenute sufficienti a superare i rilievi.
LA VIOLAZIONE DELLA DIRETTIVA HABITAT
Il primo fronte riguarda la decisione di superare il parere negativo della
Commissione tecnica VIA-VAS, che nel 2024 aveva rilevato criticità gravi per tre
siti Natura 2000. Il governo ha scelto di ricorrere alla procedura “Imperative
reasons of overriding public interest”, prevista dalla direttiva Habitat solo in
casi eccezionali. Ma per la Corte l’uso della deroga non è stato adeguatamente
motivato né accompagnato da un’istruttoria tecnica conforme ai criteri europei.
La relazione Iropi approvata dal Consiglio dei ministri il 9 aprile 2025,
osservano i giudici, è priva di firma, data e, soprattutto, di una valutazione
autonoma da parte delle amministrazioni competenti (in particolare il Mase). Non
dimostra l’assenza di soluzioni alternative, che la direttiva impone di
analizzare in modo approfondito “alla luce degli effetti sugli habitat e sulle
specie” e non solo sulla base degli studi prodotti dal soggetto proponente.
La Corte contesta anche la qualificazione dei “motivi imperativi di interesse
pubblico”. Il governo ha fondato la deroga sulle ricadute economiche del Ponte,
sull’aumento dell’accessibilità e sull’integrazione territoriale fra Calabria e
Sicilia. Ma per l’Unione europea, ricorda la Corte, quelle motivazioni non
consentono di prescindere dal parere della Commissione: si può procedere solo in
presenza di ragioni legate alla salute pubblica, alla sicurezza o a impatti
ambientali di primaria importanza. Ragioni che non sono state dimostrate. A ciò
si aggiunge la carenza del confronto con Bruxelles: la Dg Environment, con una
lettera del 15 settembre, aveva chiesto chiarimenti specifici su diversi profili
critici, ma il Mase ha fornito una risposta giudicata “meramente riproduttiva”
dei pareri VIA, senza nuovi elementi. Nel complesso, secondo il Collegio, la
fase Iropi “non risulta coerente con il riparto delle competenze e con i criteri
stringenti della direttiva”.
Il secondo profilo riguarda i contratti con il general contractor e gli altri
affidatari: la loro “riattivazione”, con aggiornamento dei corrispettivi e
radicale modifica delle condizioni economiche, viola l’articolo 72 della
direttiva appalti. Il finanziamento, ora integralmente pubblico, e le altre
variazioni configurano modifiche sostanziali che avrebbero richiesto una nuova
gara. Il Cipess, rileva la Corte, si è limitato a prendere atto dei costi senza
svolgere un’istruttoria propria. Per questo la delibera è stata dichiarata
illegittima.
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direttive Ue su ambiente e appalti. E c’è il nodo tariffe proviene da Il Fatto
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