Processo Rigopiano, l’allarme sulla prescrizione del pg di Perugia. L’avvocato di parte civile: “Grande ritardo”

Il Fatto Quotidiano - Thursday, November 27, 2025

Sul nuovo processo d’appello sulla tragedia dell’hotel Rigopiano (deciso dalla Cassazione poco meno di un anno fa) potrebbe calare la scure della prescrizione. A segnalarlo con forza è il procuratore generale di Perugia, Paolo Barlucchi, che ha richiamato la “problematicità del doppio termine di prescrizione” legato al complesso percorso giudiziario iniziato a Pescara e approdato in Umbria dopo la decisione della Suprema corte. Un rischio concreto, secondo l’avvocato Romolo Reboa, legale di alcuni familiari delle vittime: “Questo processo è arrivato a Perugia con grande ritardo: purtroppo le famiglie rischiano di pagare cara la tempistica e l’organizzazione del giudizio che si ebbe a Pescara, che criticai fortemente. Purtroppo, il tempo mi sta dando ragione”.

L’hotel Rigopiano di Farindola (Pescara) il 18 gennaio 2017 fu travolto e distrutto da una valanga poche ore dopo il terremoto che si registro in Centro Italia. L’indagine fu molto complessa: si indagò sulle responsabilità di Comune e provincia e Regione, sull’omessa pianificazione territoriale di una Legge del 1992 e la carta valanghe approntata in ritardo. Accertamenti sulla strada provinciale n.8 che non era stata liberata dalla neve impedendo agli ospiti dell’hotel, che avrebbero avuto la possibilità di lasciarlo dopo le scosse di terremoto, di andare via perché era rotta una turbina spazzaneve. Si indagò sull’allarme dato in ritardo e quello che era stato ignorato. Secondo gli ermellini sarebbe stato possibile prevenire il disastro. Le 29 vittime vittime erano ospiti della struttura e dipendenti, undici i superstiti tirati fuori dalla neve e dalle “macerie” della struttura dai soccorritori che lavorarono giorno e notte per salvare più persone possibile, mentre l’Italia teneva il fiato sospeso.

Il peso dei ritardi e la nuova cornice fissata dalla Cassazione

Il processo d’appello bis è stato disposto dopo la decisione della Suprema Corte, depositata nelle 158 pagine delle motivazioni del 3 dicembre 2024. La Cassazione ha stabilito che la tragedia “si poteva prevenire” e che ciò “era possibile e dovuto”, indicando come elemento cardine la mancata pulizia della strada provinciale che conduce all’albergo. Se quella via fosse stata sgomberata la mattina del 18 gennaio 2017, quando gli ospiti tentarono di lasciare la struttura, la tragedia non si sarebbe verificata. Accogliendo parzialmente il ricorso della Procura generale dell’Aquila, la Corte aveva disposto un nuovo giudizio per dieci imputati, tra cui sei funzionari della Regione Abruzzo inseriti che erano stati assolti nei primi due gradi di giudizio. Gli ermellini avevano chiesto ai giudici umbri di valutare per loro le accuse di disastro colposo e lesioni plurime colpose.

Chiesta l’esclusione di Primavera dall’appello

Gli avvocati di Emilio Primavera, ex direttore del Dipartimento di Protezione civile della Regione Abruzzo, hanno chiesto la sua esclusione dal nuovo giudizio. Per la Cassazione l’ingegnere doveva essere nuovamente imputato, ma i legali Vittorio Manes e Augusto La Morgia sostengono che debba essere confermata l’assoluzione ottenuta in primo grado a Pescara. Secondo la difesa, l’ingegnere — in carica da meno di due anni prima della tragedia — non avrebbe comunque potuto redigere in tempo la Carta valanghe (Clpv), un documento che, come confermato dai periti del Tribunale, richiede almeno quattro anni solo per la fase preliminare. I lavori, secondo le stime, si sarebbero conclusi due anni e mezzo dopo il gennaio 2017. Di conseguenza, affermano i legali, “non è possibile predicare alcuna prevedibilità dell’evento” rispetto alla condotta del dirigente.

Le richieste delle parti civili e il nuovo appuntamento in aula

Nell’udienza del 25 novembre scorso, le parti civili hanno presentato richieste in linea con quelle del sostituto procuratore generale Paolo Barlucchi, confermando la volontà di mantenere il perimetro accusatorio indicato dalla Cassazione. Il processo riprenderà lunedì 1° dicembre: un calendario che procede, ma che continua a fare i conti con i tempi oggettivamente stretti imposti dal rischio prescrizione. Per le famiglie delle vittime, il timore è che dopo otto anni dalla tragedia la giustizia possa sfumare non per le conclusioni dibattimentali, ma perché troppo tempo è passato. “Le famiglie rischiano di pagare — ha ribadito Reboa — i ritardi accumulati in origine e un sistema che ancora una volta non garantisce risposte nei tempi dovuti”. Un rischio che, per chi ha perso tutto a Rigopiano, sarebbe l’ennesimo peso da sopportare.

La storia del processo

In primo grado furono condannati il sindaco di Farindola Ilaria Lacchetta (due anni e otto mesi); i dirigenti della Provincia di Pescara D’Incecco e Di Blasio (tre anni e quattro mesi ciascuno); sei mesi ciascuno per l’ex gestore Di Tommaso ed il geometra Giuseppe Gatto. In quella occasione l’accusa di disastro colposo cadde per molti dei principali imputati, tra i quali l’ex prefetto, per il quale il pool della procura coordinato dal procuratore capo Giuseppe Bellelli e composto dai sostituti procuratori Anna Benigni e Andrea Papalia, aveva chiesto 12 anni; l’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, per il quale erano stati chiesti sei anni.

Erano stati assolti anche tecnici e dirigenti regionali in uno scenario, secondo l’articolato impianto accusatorio, di diffuse responsabilità su vari fronti, dai permessi di costruzione dell’albergo, alla gestione dell’emergenza di quei giorni drammatici sul fronte delle condizioni atmosferiche, alla gestione dei soccorsi, fino ad una presunta vicenda di depistaggio in merito alla telefonata di Gabriele D’Angelo, dipendente dell’albergo e una delle vittime, che aveva allertato la Prefettura sulla situazione di pericolo, fatta sparire.

Tre condanne in più, compresa quella dell’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, in secondo grado. In appello era stata parzialmente riformata la sentenza. La condanna di maggior rilievo era stata quella di Provolo, assolto in primo grado, al quale i giudici avevano inflitto 1 anno e otto mesi per falso ideologico e rifiuto di atti di ufficio. Sentenza ribaltata anche per Enrico Colangeli, tecnico comunale, e Leonardo Bianco, dirigente della Prefettura di Pescara, entrambi assolti in primo grado. Confermate in appello 22 assoluzioni. Il verdetto della Corte d’appello dell’Aquila aveva stabilito quindi un totale di 8 condanne confermando le condanne inflitte in primo grado per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, per i dirigenti della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, per il tecnico Giuseppe Gatto e per l’ex gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso. Per l’ex capo di gabinetto della Prefettura Leonardo Bianco, la Corte aveva disposto una condanna di un anno e 4 mesi mentre per il tecnico Colangeli la pena era stata di due anni e 8 mesi. Poi era intervenuta la Cassazione e il nuovo processo.

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