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In Australia via libera a leggi più severe sulle armi dopo la strage di Bondi Beach. I due killer erano padre e figlio
Le bandiere a mezz’asta in tutta l’Australia segnano il lutto di un Paese sotto choc per la strage di Bondi Beach, dove due killer hanno ucciso almeno 15 persone – 16 con uno degli attentatori – durante la cerimonia della festa ebraica di Hanukkah e ne hanno ferite oltre 40. La vittima più giovane è una bimba di 10 anni, Matilda. Stava festeggiando insieme alla famiglia ed è deceduta in ospedale per le ferite riportate. Ad aprire il fuoco sono stati padre e figlio, come ha confermato il capo della polizia Mal Lanyon: il padre, di circa 50 anni, è morto sul luogo dell’attentato e da dieci anni possedeva legalmente licenze per la detenzione di armi. Il figlio Naveed Akram, 24 anni, è invece rimasto ferito in modo grave. Di quest’ultimo l’intelligence australiana aveva “una conoscenza limitata”, ma la polizia ha assicurato che non c’era nulla che potesse “indicare che gli uomini coinvolti nell’attentato potessero pianificare un attacco” del genere. I due avevano la residenza a Bonnyrigg, e vivevano insieme a Campsie. Nella loro abitazione sono stati trovati due ordigni rudimentali che non erano stati attivati. E il tema delle armi ora torna centrale nel dibattito politico australiano: il governo guidato da Anthony Albanese ha convocato una riunione d’urgenza dell’esecutivo e deciso di riformare “la legge sulle armi come azione immediata, compresa la rinegoziazione dell’Accordo nazionale sulle armi da fuoco, istituito dopo la tragedia di Port Arthur del 1996, per garantire che rimanga il più solido possibile nell’attuale contesto di sicurezza in continua evoluzione”. In una nota diffusa al termine della riunione si legge che “i primi ministri hanno concordato di rafforzare le leggi sulle armi in tutto il Paese”, polizia e procuratori generali sono chiamati a elaborare delle opzioni. Sul tavolo, l’istituzione del Registro nazionale delle armi da fuoco e il ruolo dell’intelligence criminale per valutare le relative licenze. Si intende poi limitare il numero di armi da fuoco che un singolo individuo può detenere, le licenze a tempo indeterminato e i tipi di armi legali. Inoltre una condizione per ottenere una licenza sarà possedere la cittadinanza australiana. Come priorità immediata, il governo australiano inizierà a lavorare su possibili ulteriori restrizioni doganali sulle importazioni di armi da fuoco e di altri tipi di armi, tra cui la stampa 3D, le nuove tecnologie e le attrezzature per armi da fuoco che possono contenere grandi quantità di munizioni. I feriti, il cordoglio e la rabbia – I feriti ancora ricoverati dopo la strage 27 e si trovano negli ospedali di Sydney. Tra loro sei sono in condizioni critiche, sei in condizioni critiche ma stabili e 13 sono in condizioni stabili. Intanto nel Paese prevalgono rabbia e cordoglio. Dalle teste di maiale macellate sono state usate per vandalizzare il cimitero musulmano a Narellan, nella zona sud-occidentale di Sydney, mentre a Bondi Beach una distesa di fiori rende omaggio alle vittime dell’attacco terroristico che, come hanno confermato le autorità poche ore dopo l’attacco. Secondo quanto riporta la polizia del Nuovo Galles del Sud, intorno alle 6 del mattino sono stati segnalati resti di animali abbandonati all’ingresso di un cimitero in Richardson Rd, Narellan. “Sul posto sono intervenuti gli agenti del Camden Police Area Command, che hanno trovato diverse teste di maiale”, si legge in una nota della polizia che “ha immediatamente avviato un’indagine sull’incidente”. Gli agenti hanno “rimosso e smaltito in modo appropriato le teste dei maiali”. Nel 2008 l’Associazione musulmana libanese ha acquistato il cimitero nel parco della chiesa anglicana di St. Thomas per far fronte alla carenza di luoghi di sepoltura. Intanto al Bondi Pavilion si è riunita una folla di persone per deporre fiori. Le bandiere di Israele e dell’Australia sono drappeggiate sopra il cancello. Durante la commemorazione sono state cantante canzoni: prima l’inno nazionale australiano e ora canzoni in ebraico. Sul posto era presente anche la polizia australiana. L'articolo In Australia via libera a leggi più severe sulle armi dopo la strage di Bondi Beach. I due killer erano padre e figlio proviene da Il Fatto Quotidiano.
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In Cile vince l’ultraconservatore Kast, vicino a Milei e Meloni. È il primo presidente che votò a favore di Pinochet nel 1988
Arriva alla Moneda al terzo tentativo, a 59 anni, e con il 58% delle preferenze nel ballottaggio. L’ultraconservatore José Antonio Kast, grazie al compattamento dei partiti di destra, è il nuovo presidente eletto del Cile: affine ideologicamente al leader argentino Javier Milei e a Giorgia Meloni – specialmente sui temi di immigrazione e sicurezza -, è il primo presidente democratico che votò a favore di Pinochet nello storico plebiscito del 1988 che impedì al dittatore cileno di perpetuarsi al potere. Kast ha prevalso sulla comunista Jeannette Jara, che ha riconosciuto la sconfitta quando il Servizio Elettorale ha pubblicato i risultati con l’85% delle schede scrutinate, che la davano ferma al 42%. “La democrazia si è espressa in modo forte è chiaro. Ho appena parlato con il presidente eletto José Antonio Kast per augurargli il successo per il bene del Cile”, ha scritto Jara su X, diradando i pochi dubbi che ormai pendevano sul risultato. Al termine di una lunga campagna elettorale centrata sui temi della sicurezza e della migrazione si è concretizzata in questo modo una drastica svolta a destra che porta il Cile in uno scenario inedito dal ritorno della democrazia nel 1990. Gli elettori cileni, preoccupati dalla crescente presenza delle gang venezuelane e dal progressivo incremento del tasso di omicidi, hanno ampiamente premiato la sua ricetta di pugno di ferro contro la delinquenza e l’immigrazione clandestina. Nell’ultimo dibattito televisivo il leader repubblicano aveva promesso la chiusura delle frontiere e aveva dato 92 giorni di tempo ai residenti illegali per lasciare il Paese, esattamente il tempo che intercorre tra il ballottaggio e l’insediamento alla presidenza, l’11 marzo. Le sue parole avevano immediatamente scatenato una crisi al confine settentrionale con il Perù, dove si erano riversati centinaia di migranti, principalmente venezuelani, in cerca di rifugio nel Paese vicino. La ‘psicosi’ sicurezza – il Cile figura ancora tra i Paesi più sicuri di tutta l’America Latina – aveva avuto un impatto anche sulla campagna della candidata della sinistra. Per cercare di rimontare il distacco nei sondaggi Jara era stata costretta nelle ultime settimane ad indurire il suo discorso sulla lotta alla criminalità lasciando parzialmente in disparte le promesse sull’accelerazione della crescita economica e sulla riduzione della diseguaglianza. Dopo aver emesso il suo voto, Kast aveva assicurato ad ogni modo domenica che in caso di vittoria sarebbe stato “il presidente di tutti i cileni al di là delle differenze politiche” mentre Jara, in un ultimo tentativo di recuperare voti, aveva preso le distanze dal presidente uscente e suo alleato, Gabriel Boric. “Posso rispondere solo per il mio operato come ministra del Lavoro“, aveva detto in un punto stampa a chi gli chiedeva di fare un bilancio dell’attuale governo. “Posso parlare della riforma della previdenza sociale, della riduzione della giornata lavorativa a 40 ore settimanali, della ripresa dell’occupazione con 580mila posti di lavoro e dell’aumento del salario minimo”, aveva detto. A soli sei anni dalle proteste sociali del 2019 che proiettarono Boric alla presidenza e a trentacinque dalla fine della dittatura, il Cile vede tornare adesso alla presidenza uno dei più convinti difensori del governo militare. I rapporti con Milei e Meloni – Tra i leader con cui Kast aveva parlato dopo il primo turno a metà novembre, ci sono in testa Milei e Meloni. Col leader argentino, il neo presidente cileno ha dichiarato di condividere “le enormi opportunità che ha l’America Latina e la relazione tra i due Paesi verso un futuro con più libertà, sicurezza e progresso economico”, prefigurando già una relazione più distesa con Buenos Aires rispetto a quella mantenuta dal suo predecessore Gabriel Boric. I rapporti con la Casa Rosada sono infatti segnati da tensioni, alimentate soprattutto dagli attacchi provenienti dall’amministrazione Milei. Pur distante dallo stile provocatorio del presidente argentino, Kast ne ha più volte lodato l’azione di governo, affermando che Milei è “un’ispirazione e un modello da seguire per far uscire il Cile dalla stagnazione”. Sempre dopo il primo turno di novembre, Kast ha riferito di avere parlato anche con Meloni, sottolineando l’opportunità di “eccellenti relazioni bilaterali”. L'articolo In Cile vince l’ultraconservatore Kast, vicino a Milei e Meloni. È il primo presidente che votò a favore di Pinochet nel 1988 proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Disarma il killer e lo immobilizza durante la strage: chi è Ahmed al Ahmed, “l’eroe” di Bondi Beach
Nei filmati che circolano sui social media lo si vede affrontare uno dei due attentatori di Bondi Beach, immobilizzarlo da dietro dopo essere ‘spuntato’ dalle auto parcheggiato e disarmarlo. Si chiama Ahmed al Ahmed, ha 43 anni, è originario di Sydney ed è proprietario di un negozio di frutta nel sobborgo di Sutherland. E’ lui che il primo ministro del Nuovo Galles del Sud Chris Minns ha descritto come “un eroe”. Con il fucile in mano, puntato verso l’attentatore, Ahmed è riuscito a far allontanare uno degli aggressori e a permettere ad altre persone di fuggire. Durante la colluttazione con il killer, durata pochi secondi, Ahmed è però stato colpito due volte da colpi d’arma da fuoco, uno al braccio e uno alla mano. Padre di due figli, l’uomo è ora ricoverato in ospedale, ma le sue condizioni non destano preoccupazioni. “Non sappiamo come sta, speriamo bene”, ha raccontato il cugino Mustafa al giornale 7News. L'articolo Disarma il killer e lo immobilizza durante la strage: chi è Ahmed al Ahmed, “l’eroe” di Bondi Beach proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Strage a Bondi Beach: uno dei killer si chiama Naveed Akram. “Gli attentatori forse di origine pakistana, si cerca un terzo”
I killer che hanno sparato sulla folla a Bondi Beach sono due, o forse tre. La polizia australiana prosegue le indagini sulla strage che ha colpito l’Australia sulla spiaggia più iconica del Paese, dove si stava svolgendo la celebrazione della festa ebraica di Hanukkah. Uno dei due attentatori si chiama Naveed Akram, 25 anni, e non si sa se sia quello rimasto ucciso o l’altro gravemente ferito. Casa sua, secondo fonti delle forze dell’ordine, è a Sydney, nel quartiere di Bonnyrigg, dove la polizia ha compiuto un raid nelle ore successive alla sparatoria. Su Facebook, il suo nome è associato ad uno studente che ha frequentato un istituto islamico a Sydney. Secondo fonti qualificate, i killer sono “probabilmente di origine pakistana. Al momento le autorità non hanno confermato la nazionalità degli attentatori, mentre si cerca un terzo sospetto oltre ai due identificati. Non ci sono invece notizie sulla nazionalità delle vittime, hanno aggiunto le fonti spiegando che “al momento non c’è alcuna indicazione al consolato d’Italia”. Nell’auto del killer deceduto, la polizia ha riferito in conferenza stampa di avere rinvenuto e disinnescato un Ied, un ordigno esplosivo improvvisato. Intanto il direttore generale di Asio, l’agenzia di intelligence australiana, ha confermato che uno degli attentatori era presente nelle liste di sorveglianza. “Come per la polizia del New South Wales, uno di questi individui ci era noto, ma non in una prospettiva di minaccia immediata, quindi dobbiamo indagare su cosa sia successo”, ha dichiarato Mike Burgess. “Come da prassi standard, stiamo esaminando l’identità degli aggressori e dove questa sia nota. Stiamo cercando di capire se c’è qualcuno nella comunità che ha intenzioni simili” ha detto. “È importante sottolineare che, al momento, non abbiamo indicazioni in tal senso, ma è un aspetto su cui stiamo conducendo indagini attive”. Burgess ha aggiunto che il livello di minaccia terroristica nazionale rimane probabile, il che significa che c’è una probabilità del 50% che si verifichi un atto terroristico. “Non vedo cambiamenti in questa fase”, ha affermato. “Probabile significa che c’è una probabilità del 50% che si verifichi un atto terroristico. E purtroppo abbiamo visto quell’atto orribile verificarsi stasera in Australia” ha concluso. L'articolo Strage a Bondi Beach: uno dei killer si chiama Naveed Akram. “Gli attentatori forse di origine pakistana, si cerca un terzo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Negli Usa sono un insegnante felice. In Italia il lavoro è una via crucis da sopportare fino alla pensione”
Quando Alessandro ha lasciato l’Italia, nel 2013, lo ha fatto per due ragioni: la necessità economica, in primis, e il desiderio di vivere una vita diversa, in cui “poter esprimermi e fare qualcosa di bello”. Dopo i primi mesi in Inghilterra, arriva la decisione di partire per gli Stati Uniti, dove viene pagato per studiare (“piuttosto incredibile”), impara l’inglese, ottiene un dottorato e diventa insegnante. “In Italia si tende a pensare che il lavoro sia una via crucis giornaliera da sopportare fino alla pensione. Qui ho un impiego entusiasmante. E sto bene”. Nato a Galatina, in Salento, orgogliosamente meridionale, Alessandro Martina, 44 anni, si è trasferito a Bologna quando ne aveva 14. Frequenta il liceo, si laurea in Filosofia e ottiene una certificazione come insegnante di lingua italiana all’Università per Stranieri di Siena. Eppure, ricorda, “non trovavo un lavoro che non fosse nella ristorazione o nei supermercati”. Dai 30 ai 33 anni, l’unico lavoro stabile per Alessandro è in un McDonald’s a San Lazzaro, Bologna. “Facevo lezioni private la mattina e andavo a lavorare il pomeriggio o la sera. Lo stipendio non mi permetteva neppure di affittare un monolocale, dovevo condividere la casa con giovani matricole”, racconta nella sua intervista al fatto.it. Da questa situazione e con questo stato d’animo matura la decisione di partire, cambiare aria, provare una possibilità all’estero. “Famiglia e amici credo non abbiano capito la mia scelta”. Il giorno di partire Alessandro prova un misto di inquietudine e speranza. Dopo un primo periodo in Inghilterra, a Manchester, prende un volo per New York e si stabilisce a Morgantown, nella Virginia occidentale. Gli Stati Uniti sono una terra ancora da esplorare: per molti versi l’idea romantica del sogno americano, spiega Alessandro, rimane viva in lui. La diversità culturale e geografica, la capacità di aprirsi e dare opportunità è “incredibile”, aggiunge. In Italia, ricorda, ha provato ad ottenere un prestito in banca per aprire una libreria: dopo mille fideiussioni era risultato impossibile accedere al credito. Ecco, in America è “l’esatto opposto”. D’altronde, molti tra parenti e amici si staranno ancora chiedendo perché uno come lui non si sia adattato, accettando un lavoro non soddisfacente, rimanendo precario per dieci anni nella scuola, aspettando un posto fisso che prima o poi arriverà. Oggi, al contrario, l’audacia di Alessandro, i sacrifici, le borse di studio messe a disposizione dagli atenei Usa e il dottorato conseguito, lo hanno portato a diventare insegnante di italiano all’Università dell’Alabama. Insomma, negli Stati Uniti investire su se stessi è possibile e auspicabile. “Si dice che si lavora tanto in negli Usa?” “Sciocchezze”, risponde lui. “In Italia si lavorano sette o otto ore con l’ansia e la frenesia di finire il proprio turno e fuggire verso casa. Si è completamente nevrotici riguardo al lavoro. Negli Stati Uniti che conosco io, si mangia una buona colazione e si va al lavoro contenti di incontrare i propri colleghi, ci si prende alcune pause durante il giorno perché le aziende vogliono che ci sia un buon clima. È alla base del loro successo”. Più che gli affetti, che non mancano davvero (“forse sono io ad essere un po’ strano”), ad Alessandro manca il suo mare (Santa Maria al Bagno, Santa Caterina, Otranto), così come la terra rossa, gli ulivi. Per uno come lui, riflessivo, che rimugina continuamente come il Dedalus di Joyce, può arrivare addirittura il pentimento per “aver lasciato la mia prima fidanzatina delle medie”, sorride. Ma pentirsi di essere andato via, quello mai. “Fossi rimasto in Italia – risponde sinceramente – non so cosa avrei fatto”. Il discorso vira poi su una questione molto spinosa. All’estero Alessandro ha capito che “i meridionali in Italia sono fortemente discriminati e che esiste una questione meridionale irrisolta”. La rappresentazione dei meridionali nei media e nella cultura è, continua, “incredibilmente discriminatoria”. “In Italia – aggiunge – mi vergognavo del Sud, della nostra mancanza di infrastrutture e della mafia. Qui ho visto gli italoamericani del Sud e ne sono stato orgoglioso: ricchi, intelligenti, di successo. Come mai, mi chiedevo, questi meridionali riescono, come comunità e non solo come individui, ad avere successo?” In Italia Alessandro confessa di aver trovato “discriminazione” a Nord verso i meridionali. “Quando ero ragazzo, trasferito a Bologna per fare il liceo classico al seguito di mia madre, non capivo perché il mio accento e la mia cultura fossero da ridicolizzare, mentre l’accento di un torinese o di un veneto e la loro cultura fossero comunque rispettabili. Sono cose che influenzano fortemente la tua vita”, chiarisce. “Nessuno mi ha spiegato che la questione fosse non culturale, ma storica e politica. Gramsci l’aveva capito”. Al di là delle questioni economiche, tornare in Italia oggi probabilmente provocherebbe un disagio linguistico e culturale. Se negli Usa Alessandro ha una lingua e una cultura riconosciuta, seppur di transizione, “chi sono io – si chiede – nell’Italia del Nord con la mia lingua e cultura italiana?”. Stesso discorso se dovesse tornare a vivere al Sud, dove sarebbe solo memoria, non riuscirebbe, a detta sua, ad integrarsi. D’altronde, sono passati più di 30 anni: “Sarei un animale quasi esotico – conclude –. Se mai ci tornassi sarebbe per provare a spiegare la diaspora e la Questione meridionale. Ma, questa, è un’altra storia”. Sei una italiana o un italiano che ha deciso di andare all’estero per lavoro o per cercare una migliore qualità di vita? Se vuoi segnalaci la tua storia a fattocervelli@gmail.com L'articolo “Negli Usa sono un insegnante felice. In Italia il lavoro è una via crucis da sopportare fino alla pensione” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Cervelli in Fuga USA
X Factor 2025, le analisi del televoto: rob ha scalato le classifiche piano piano, superando PierC “affossato” dall’inedito. Tellynonpiangere non si è salvato per un pelo
Sono stati resi noti da “X Factor 2025” i risultati del televoto delle puntate. Ci sono diverse sorprese nell’analizzare l’andamento puntata dopo puntata. Effettivamente la vincitrice rob si merita l’appellativo di “underdog”, partita sfavorita poi convinto il pubblico. Secondo una analisi dettagliata comparsa su X ad opera di Davide Maistrello, si evince che la cantautrice ha surclassato senza tentennamenti il super favorito della vigilia PierC, “crollato” nel gradimento, a causa del suo inedito “Neve sporca”. Tomasi non è mai stato in partita, mentre Tellynonpiangere non si è salvato per un pelo. Delia? Osannata dal pubblico in sala e da Jake La Furia ha avuto un andamento tutto sommato altalenante. Quello che è certo è che la vincitrice di “X Factor 2025” non solo ha potuto contare su una fandom fedele, ma ha anche “rosicchiato” fan dai suoi avversari. Un gradimento che le ha consentito di trionfare agevolmente. > ???????????? ANALISI RISULTATI TELEVOTO #XF2025, A THREAD ???????????? > > Because why not? A cinque giorni dalla finalissima di Piazza del Plebiscito, > Sky Italia ha diffuso i risultati completi di questa edizione e ci sta di > tirare un po’ le somme di quello che è stato e che poteva essere ???? > pic.twitter.com/8xO0VClBlj > > — Davide Maistrello (@ge_aldrig_upp) December 9, 2025 L'articolo X Factor 2025, le analisi del televoto: rob ha scalato le classifiche piano piano, superando PierC “affossato” dall’inedito. Tellynonpiangere non si è salvato per un pelo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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X-Factor
Giornata della Montagna: Unimont e le altre, viaggio tra i corsi di laurea per imparare a proteggerla
Nicola Della Torre è direttore della Riserva naturale delle Torbiere del Sebino, Corinne Baronchelli, invece, è presidente del Consorzio Forestale Alto Serio e docente, mentre Anna Orselli si occupa di un progetto di sviluppo territoriale in montagna legato all’enoturismo. E poi c’è Viola, che ha creato il progetto Lana Lunatica per riutilizzare la lana locale che usava sua nonna, mentre Giacomo è diventato un esperto di valanghe e fa simulazioni, con i droni, per fornire dati agli esperti. Cinque mestieri, cinque storie che hanno un punto in comune: una laurea presa negli anni passati presso l’Università della Montagna, centro di eccellenza quasi unico nel suo genere – nato in collaborazione con gli enti territoriali e l’Università degli Studi di Milano – che fa formazione e ricerca ed è specializzato nello studio e nell’analisi delle complessità del territorio montano. Unimont si trova a Edolo, piccolo comune di compagna in provincia di Brescia, e i giovani che studiano qui hanno una passione per questi territori, dove spesso restano a vivere. In occasione della Giornata Internazionale della Montagna, il prossimo 11 dicembre proprio a Edolo si terrà il convegno “Territori Unici, Sfide Comuni” dove verrà presentato il portale “Mountain Innovation Hub” sviluppato nell’ambito del Pnrr e pensato per promuovere e valorizzare la conoscenza dei territori montani e favorirne sviluppo sostenibile e innovazione. “Il messaggio principale che cerchiamo di lanciare, specie in vista di questa giornata internazionale”, afferma la prof.ssa Anna Giorgi, ordinaria e responsabile del polo Unimont della Statale di Milano “è che i contesti montani sono ad alta specificità, quindi servono strumenti ad hoc, interventi ‘chirurgici’ e di conseguenza una formazione specifica. Tentare di esportare i modelli dei grandi centri urbani in montagna è un fallimento unico, si spendono soldi senza ottenere risultati”. Ma come si articola la formazione degli esperti di montagna? “Qui”, spiega Giorgi, “abbiamo un corso di laurea triennale Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio Montano, che forma specialisti del sistema montano, capace di individuarne le risorse naturali, agro-ambientali, territoriali specifiche al fine di valorizzarle in processi produttivi tradizionali e innovativi, sostenibili e di qualità. E un corso di Laurea Magistrale in Valorization and Sustainable Developement of Mountain Areas, con l’obiettivo di preparare professionisti capaci di promuovere lo sviluppo e la gestione sostenibile del territorio montano. “Si tratta di due corsi fortemente multidisciplinari”, spiega a sua volta Matteo Vizzarri, ricercatore in Pianificazione e gestione forestale e responsabile del corso in Gestione sostenibile e bioeconomia delle foreste montane. “Chi si laurea deve abbracciare la conoscenza del territorio inteso come risorse naturali, occuparsi di filiera produttiva, quindi agricoltura, allevamento, prodotti forestali non legnosi, fino ad arrivare ai servizi e alla comunicazione: è un unicum formativo”. Due sono i punti di forza dei corsi di laurea: il primo è supportare i territori montani “lavorando con gli enti e le istituzioni in maniera molto stretta. La nostra realtà formativa sta letteralmente cambiando la fisionomia del suo territorio, rianimando la comunità”, spiega Giorgi. Il secondo aspetto importante e suggestivo è come studenti e laureati “peschino” nella tradizione e nella cultura locali per reinventarla con le chiavi della modernità. “Molti”, continua Giorgi, “sono diventati titolari di aziende agricole, ma hanno il profilo dei manager, sono diversissimi da un’immagina stereotipata dell’agricoltore. Fanno prodotti di qualità unici e li vendono nelle filiere corte, fanno accoglienza ai turisti, promuovono il territorio, usano le nuove tecnologie per gestire le attività produttive”. Non a caso, nonostante la crisi delle aziende agrituristiche italiane, l’84% delle oltre 25.000 esistenti sono in aree montane. I corsi di laurea specifici sulla montagna in Italia sono pochissimi: oltre a Unimont, c’è il corso di Scienze e tecnologie della Montagna presso l’Università di Torino, che coniuga gli ambiti relativi alla conoscenza e gestione delle risorse naturali con la produzione primaria e la gestione delle imprese, in un’ottica di sostenibilità e adattamento ai cambiamenti climatici. E poi c’è il Corso in Scienze della Montagna e dell’Agricoltura, presso l’Università degli Studi della Tuscia, che forma un laureato con capacità professionali di analisi, progettazione, gestione e promozione economica dei territori montani e delle loro risorse, con particolare riferimento alla realtà appenninica e mediterranea. 2.487 Comuni di fronte a sfide ambientali, sociali, economiche Quanti sono i Comuni montani in Italia? I numeri li dà il Libro Bianco della Montagna, l’ultimo, del 2024, curato proprio da Unimont. Sono 2.487, secondo la classificazione Istat, su un totale di 7.901 Comuni italiani: il 35% della superficie nazionale. Si va dal 100% dei comuni in Valle D’Aosta e Trentino all’1,5% della Puglia. Le sfide che si trovano ad affrontare sono varie: ambientali, sociali, economici e di “governance”. Le minacce ambientali sono quelle del cambiamento climatico, dell’abbandono e di eccessiva antropizzazione e impatto delle attività umane. Quelle sociali sono legate allo spopolamento, all’invecchiamento, alla riduzione dei servizi di base (la popolazione dei comuni montani è calata del 5% in dieci anni, anche se aumentano in Trentino Alto-Adige). Gli interventi andrebbero dunque attuati dove lo spopolamento e l’invecchiamento sono maggiori. “Invece la politica continua a smantellare i servizi nelle aree meno abitate”, denuncia la responsabile di Unimont. “Le risorse finanziarie vengono convogliate verso le aree urbane, prevalentemente in pianura”, dice a sua volta Matteo Vizzarri, “così è difficile far comprendere alle persone il valore di determinate risorse: se io apro il rubinetto a Milano mi devo rendere conto del valore dell’acqua che proviene da una valle alpina”. Per Il Libro Bianco, invece, servirebbe definire politiche e strategie che integrino in unico quadro i provvedimenti da adottare. Cinque le proposte di intervento: definire politiche integrate e strategie specifiche per i territori montani; costituire un tavolo di coordinamento permanente per lo sviluppo dei territori montani; costituire un osservatorio permanente per il monitoraggio dei settori strategici per lo sviluppo dei territori montani; promuovere la costituzione dell’‘ecosistema dell’innovazione’ della montagna; sensibilizzare la società, fare formazione e ricerca per l’innovazione. L'articolo Giornata della Montagna: Unimont e le altre, viaggio tra i corsi di laurea per imparare a proteggerla proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Nobel per la Pace, Maria Corina Machado non ritira il premio a Oslo: “Non si sa dove sia”. Al suo posto la figlia
Che qualcosa non andava lo si era capito ieri, quando il Comitato aveva annullato la prevista conferenza stampa della vigilia. Oggi è arrivata l’ufficialità: Maria Corina Machado, Premio Nobel per la Pace, non parteciperà alla cerimonia per la consegna del riconoscimento a Oslo. “Purtroppo, al momento non si trova in Norvegia. E non salirà sul palco del Municipio di Oslo all’una di oggi, quando inizierà la cerimonia – ha annunciato il direttore dell’Istituto Nobel, Kristian Berg Harpviken -. Non sappiamo dove si trovi”. A ritirare il premio sarà la figlia di Machado, Ana Corina Sosa. “Sua figlia pronuncerà il discorso scritto da Maria Corina stessa”, ha aggiunto Harpviken. Machado è a capo dell’opposizione al regime di Nicolas Maduro in Venezuela e vive in una località segreta dalle elezioni dell’anno scorso. “Vive semplicemente con una minaccia di morte da parte del regime. Questa minaccia si applica anche quando si trova all’estero, sia da parte del regime che dei suoi amici in tutto il mondo”, ha spiegato Harpviken, sottolineando che per questioni logistiche sarebbe stato ancora più impegnativo del previsto far arrivare Machado in Norvegia in sicurezza. Se uscisse dal Venezuela, la donna correrebbe il rischio di essere dichiarata latitante e di non poter rimpatriare. In Norvegia è arrivata invece la madre di Machado, Corina Parisca. È tra gli invitati d’onore, assieme all’argentino Javier Milei, all’ecuadoriano Daniel Noboa e al paraguayano Santiago Orena, oltre al presidente di Panama José Raúl Mulino, che aveva rinnovato l’appoggio “alla lotta per la libertà del popolo venezuelano”. Intanto Donald Trump ha ribadito in un’intervista a Politico che “Maduro ha i giorni contati”, preannunciando attacchi di terra e senza escludere un’invasione americana. Ma questa volta minaccia di mettere nel mirino anche Messico e Colombia nella sua lotta contro il narcotraffico. L’intervistatore gli fa notare che, secondo la Dea, quasi tutto il fentanyl illecito negli Stati Uniti è prodotto in Messico usando precursori chimici dalla Cina e che il Venezuela non è una fonte significativa né un Paese di transito. Il tycoon obietta che le barche “piene di sacchi di droga” colpite dalle forze Usa “arrivano in gran parte dal Venezuela”. Ma quando gli viene chiesto “se considererebbe qualcosa di simile contro Messico e Colombia, che sono ancora più responsabili del traffico di fentanyl negli Stati Uniti”, lui non ha esitazioni: “Sì, lo farei. Certo. Lo farei”. L'articolo Nobel per la Pace, Maria Corina Machado non ritira il premio a Oslo: “Non si sa dove sia”. Al suo posto la figlia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Nobel per la Pace
Francesco Facchinetti ad Atreju: “Meloni sa fare politica, a sinistra invece coltivano odio. Sono qui per darle una mano”
“Prima di tutto sono qua da uomo libero. Sui social mi hanno insultato, poi ho capito che era partita la comunicazione di questa ospitata. Purtroppo dall’altra parta sanno solo coltivare l’odio, l’invidia”. Lo ha detto Francesco Facchinetti dal palco di Atreju, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia, a Roma. “In 30 anni non hanno fatto nulla, Giorgia invece fortunatamente ha fatto politica. Lei sa farsi capire in inglese, sa quello che fa”. Poi ha aggiunto: “Non sono qui per endorsare nessuno, voglio solo dare il mio supporto a Giorgia” Meloni. L'articolo Francesco Facchinetti ad Atreju: “Meloni sa fare politica, a sinistra invece coltivano odio. Sono qui per darle una mano” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Francesco Facchinetti
“David Rossi fu tenuto per il polso”: la perizia del Ris. Commissione d’inchiesta: “Ora la pista è quella dell’omicidio”
Quando David Rossi è precipitato “qualcuno lo teneva per il polso sinistro appeso al balcone”. È un “dato certo”, secondo il tenente colonnello del Ris Adolfo Gregori, consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte dell’allora responsabile della comunicazione del Mps, deceduto cadendo dal balcone del suo ufficio a Rocca Salimbeni, sede della banca a Siena, il 6 marzo 2013. Ascoltato insieme al consulente e medico legale Robbi Manghi davanti all’organismo parlamentare, il carabiniere ha illustrato la perizia svolta sulla caduta dalla finestra e sulle prove di tenuta del cinturino dell’orologio che portava al polso per capire in che modo possa essersi staccato dalla cassa prima dell’impatto al suolo e per chiarire le origini delle lesioni sul polso sinistro. L’UOMO DEL RIS: “QUALCUNO LO SORREGGEVA” Le conclusioni del colonnello del Ris sono abbastanza chiare: “Era appeso al balcone con qualcuno che lo sorreggeva, almeno nell’ultimo istante, e lo teneva per il polso sinistro provocando le lesioni e il distacco dell’orologio”, ha affermato Gregori davanti alla Commissione di inchiesta. Il membro del Reparto investigazione scientifiche dei carabinieri ha sottolineato che sono stati svolti “23 test” tesi ad accertare in che modo possa essere stata provocata la rottura di entrambe le anse e quindi del cinturino dell’orologio di Rossi: “Se si afferra bene la cassa dell’orologio nell’azione di trattenere il corpo ecco che, in determinati modi di afferramento, si stacca la cassa da entrambe le parti dal cinturino”. LA PERIZIA SULL’OROLOGIO DI DAVID ROSSI Ben “quattro volte su 23” è stata riprodotta negli esperimenti questa dinamica: “Per noi è un risultato sicuramente eccezionale. Abbiamo capito come è possibile staccare la cassa dell’orologio da entrambe le anse”. Nel corso dell’esperimento è stata anche osservata la stessa traiettoria relativa alla caduta “della cassa e del cinturino” che si osserva nella precipitazione di Rossi. Durante l’analisi si è anche cercato di capire se invece il cinturino si sia potuto sganciare perché impigliato in un perno centrale presente sul davanzale della finestra di Rocca Salimbeni dalla quale l’ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena precipitò: un’ipotesi tuttavia risultata “remota”. LA COMMISSIONE: “LA PISTA È L’OMICIDIO” Le risultanze del Ris arrivano all’indomani di un’altra novità sul caso, anticipata dalla trasmissione Le Iene, riferita a un’analisi realizzata con un manichino antropomorfo virtuale dall’ingegnere forense Giuseppe Monfreda secondo la quale l’ex manager non si è suicidato. “La pista adesso è quella dell’omicidio o dell’omicidio come conseguenza di altro reato”, ha detto il presidente dell’organo parlamentare, il leghista Gianluca Vinci. “Dopo l’audizione di oggi e il deposito della perizia si apre uno scenario totalmente differente da quello che c’è stato negli ultimi 12 anni”, ha aggiunto. “Sicuramente verrà commissionato un approfondimento su come è avvenuta l’uscita dalla finestra per capire aspetti legati alla dinamica di quella sera – ha detto ancora – Poi stiamo svolgendo una serie di altri approfondimenti sugli impianti tecnologici, cellulare e iPad, per vedere cosa ha fatto Rossi prima di cadere nel vuoto”. LA MOGLIE DEL MANAGER: “RIAPRIRE L’INCHIESTA” Alla luce delle novità emerse dalla consulenza del Ris di Roma, il legale di Antonella Tognazzi, vedova di David Rossi, ha annunciato: “Presenteremo la nostra istanza di riapertura delle indagini. Oggi è una giornata importante. Noi eravamo arrivati con i nostri consulenti a delle conclusioni secondo cui David doveva essere stato picchiato, trattenuto fuori dalla finestra e poi lanciato. Tutto quello che noi sostenevamo trova ora più conferme”. La stessa vedova di Rossi ha detto: “Io spero che, con una verità così urlata, eclatante, oggettiva, ci sia un seguito e che la procura in qualche modo si attivi e riapra le indagini per omicidio”. L'articolo “David Rossi fu tenuto per il polso”: la perizia del Ris. Commissione d’inchiesta: “Ora la pista è quella dell’omicidio” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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