
Non chiedeteci come abbiamo preso l’Hiv: oggi con la malattia si convive – Appello ai giornalisti in vista del 1 dicembre
Il Fatto Quotidiano - Saturday, November 29, 2025Per una volta non scrivo di editoria digitale, ma “apro” il mio blog a un argomento che ritengo molto importante: l’HIV. Nel 1990 ho iniziato il mio volontariato in ASA-Associazione Solidarietà Aids; ho vissuto gli anni difficili, quelli in cui si moriva, in cui l’HIV e l’AIDS facevano paura. Le persone evitavano anche il minimo contatto, per questo noi volontari accoglievamo chi arrivava in associazione prendendo le mani e con un abbraccio. Nata nel 1985, ASA da 40 anni opera sul campo seguendo l’evoluzione del virus e delle terapie. Un impegno che ho raccontato in Anni Positivi. La storia dell’HIV in Italia attraverso i 30 anni di EssePiù, autopubblicato nel 2021 con Amazon.
Lunedì Primo Dicembre – Giornata mondiale contro HIV e AIDS – saremo sommersi da tanti articoli. E poi dal 2 dicembre il solito silenzio tombale. Dodici associazioni, che ogni giorno svolgono attività di informazione e prevenzione, cercando di colmare l’assenza dello Stato e il disinteresse della maggior parte degli operatori di carta stampata e tv, hanno scritto un appello rivolto a giornalisti e blogger. Un invito con suggerimenti per evitare domande invasive, lasciando spazio a interrogativi che aiutano a capire, a raccontare la verità sull’HIV oggi e a combattere lo stigma che è rimasto invariato dagli anni 80.
Ecco l’appello.
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Le persone che vivono con Hiv e il 1° dicembre: basta curiosità, è tempo di conoscere
Ogni anno, quando si avvicina il 1° dicembre — la Giornata Mondiale contro l’HIV e l’AIDS — le persone che vivono con HIV vengono contattate da testate giornalistiche, televisioni, radio, podcast. L’intenzione dichiarata è quella di “dare voce”, “fare informazione”, “combattere lo stigma”. Ma troppo spesso la realtà è un’altra.
Le prime domande che arrivano sono quasi sempre le stesse:
“Come hai preso l’HIV?”
“Quando lo hai scoperto?”
“Hai pianto alla diagnosi?”
“Come hai fatto a dirlo alla tua famiglia?”
Domande intime, invadenti, spesso morbose.
Domande che non servono a spiegare cos’è l’HIV oggi, ma a soddisfare una curiosità antica e colpevole: quella di sapere “che cosa hai fatto” per infettarti. Domande che non cercano di capire, ma di mettere in scena. E che, ancora una volta, spostano lo sguardo dalla realtà del virus alla vita privata di chi lo porta.
Non è così che si combatte lo stigma, ma con la conoscenza.
L’HIV oggi non è più quello degli anni 80. Chi vive con HIV e segue una terapia efficace non trasmette il virus (U=U: Undetectable = Untransmittable), può avere figli, fare sesso, fare sport, amare, invecchiare, viaggiare, desiderare. Eppure, ogni anno, la narrazione pubblica sembra restare ferma nel passato, ancorata alle immagini della paura e della colpa. Chiedere “come l’hai preso” significa ignorare tutto ciò che la scienza ha conquistato e che le persone con HIV hanno dovuto conquistare due volte: prima con il proprio corpo, poi con la propria voce. Chiedere “se hai pianto” significa ridurre un percorso complesso e umano a una scena di pietismo televisivo.
Chiediamo di non essere interrogatə come se fossimo colpevoli o sopravvissutə da compatire. Chiediamo ai media di darci una mano e raccontare la verità sull’HIV oggi:
– che è una condizione cronica gestibile;
– che grazie alle terapie la vita è piena e lunga;
– che la prevenzione e la diagnosi precoce salvano vite;
– che la lotta allo stigma è una questione di salute pubblica e di diritti umani.
Chiediamo un giornalismo che rispetti la privacy e la dignità delle persone, che non chieda come abbiamo preso l’HIV ma come stiamo vivendo oggi. Che dia spazio alla scienza, alla solidarietà, al futuro. Chiediamo un racconto dell’HIV non teso a commuovere, ma a far capire. Perché raccontare l’HIV oggi non significa parlare di malattia, ma di salute, di libertà, di uguaglianza. E chi vive con HIV non deve più essere l’oggetto di uno sguardo curioso, ma il soggetto di un discorso collettivo, maturo e consapevole.
Non chiedeteci come abbiamo preso l’HIV, chiediamoci piuttosto perché dopo quarant’anni se ne parla ancora troppo poco e spesso male. Il 1° dicembre non è la giornata del “come l’hai preso”, ma il giorno in cui ricordiamo che U=U, che la scienza ha vinto, e che ora tocca alla società vincere lo stigma. Raccontiamo questo e restituiamo alle persone con HIV la voce, non la curiosità. Infine, siate coraggiosi e originali, non parlate di HIV solo il primo dicembre: fatelo anche in altre date, farete un servizio al vostro giornale e ai vostri lettori.
Milano Checkpoint ETS
ASA Milano ODV
Arcigay APS
Anlaids ETS
Arcobaleno AIDS ODV
Bergamo Fast Track City
Brescia Checkpoint ETS
Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli
CIG Arcigay Milano ONLUS
Checkpoint Plus Roma APS
Padova Checkpoint
Nadir ETS
NPS Italia ONLUS
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