
“In Italia nessuno sa un ca**o”. Giobbe Covatta in scena tra clima e migranti: “Invasione? Sì, di vecchi come me”
Il Fatto Quotidiano - Saturday, November 29, 2025Giobbe Covatta torna in scena con ‘6 gradi‘, lo spettacolo dedicato al cambiamento climatico. L’appuntamento è per lunedì 1 dicembre all’EcoTeatro di Milano e l’intero ricavato servirà a sostenere le missioni di salvataggio di ResQ – People Saving People nel Mediterraneo. Uno spettacolo che quest’anno compie dieci anni e si è evoluto insieme al pubblico, al modo con cui affrontiamo temi come il riscaldamento globale, ma anche l’immigrazione. Ambasciatore e testimonial di lunga data per Amref Health Africa, Covatta smaschera le nostre ipocrisie, ma anche le semplici abitudini, i pregiudizi e le paure indotte. Per lo più frutto di “ignoranza” perché, dice, il problema dell’Italia “è che nessuno sa un cazzo”.
Visto dal palcoscenico come si è evoluto in 10 anni il tema del cambiamento climatico?
Si è evoluto, ma in peggio. Quando ho scritto lo spettacolo la gente aveva un’ansia per volta, mentre adesso ne ha dieci, con l’attenzione spostata su guerre e paure immediate, quindi il clima è scivolato giù dalla lista. Intanto continuiamo a fare le Conferenze sul clima, dove all’ultima non è successa una minchia esattamente come in tutte le precedenti e tutti se ne vanno dicendo “vabbè, ci aggiorniamo alla prossima”. C’è stato un momento entusiasmante in cui i ragazzi di Fridays for Future sembravano aver riacceso la consapevolezza. Mi ricordo quando a Roma scesero in piazza in 200, una cosa commovente, no? Poi, due ore dopo, 100 mila stavano da McDonald’s. Non è polemica, non accuso nessuno, dico solo che siamo fatti così: gridiamo al consumo energetico, ma col cazzo che spegniamo l’aria condizionata. Compreso me: so che ogni 20 anni raddoppiamo l’esigenza energetica, ma se sento caldo io l’appiccio.
Come stiamo messi col riscaldamento globale?
Male. Siamo a circa 1,7 gradi in più rispetto alla media di 14,9 dell’era preindustriale. Oggi la temperatura media è vicina ai 16,5 gradi e la concentrazione di CO₂ è passata da 300 a 430 parti per milione. E quelle mica dicono “Ah, hanno spento tutto, ce ne andiamo”. Abbiamo immesso in atmosfera una quantità enorme di gas che resterà lì: se da domani spegnessimo tutto, ma pure le sigarette, servirebbero 150 anni per assorbirla. Quindi la temperatura continuerà a salire comunque, anche nello scenario più ottimistico. Io sono ottimista per natura, ma i numeri non è che proprio mi sostengano.
Cosa implica per le prossime generazioni?
Nel mio spettacolo metto l’aumento di 6 gradi in 100 anni per creare un legame emotivo: in 100 anni uno fa in tempo a conoscere i suoi nipoti, i suoi bisnonni, quindi diventa un fatto personale, capisci che la faccenda ti riguarda. Non so se accadrà in 100 o 200 anni, ma cambia poco. Il dramma resta. E la cosa più comica – si fa per dire – è che uno pensa: “C’è un problema enorme, ora chiameranno gli scienziati”. E invece arrivano stormi di analfabeti che non conoscono manco i dati.

Dalla solidarietà con le generazioni future a quella per chi ci vive accanto: lo spettacolo sostiene la Onlus ResQ e la salvaguardia della vita dei migranti nel Mediterraneo. Come sta la solidarietà?
Io credo che gli italiani restino un popolo solidale, il problema è che siamo ignoranti. Ricordate i bambini del Biafra? Due generazioni cresciute con mamma che diceva “Mangia tutto che i bambini del Biafra muoiono di fame”. Poi chiedi dove sta il Biafra e nessuno lo sa. Oggi è uguale per le migrazioni, la cooperazione, lo 0,7% del Pil da destinare all’aiuto dei paesi in via di sviluppo che ci siamo dati come obiettivo (che l’Italia non raggiunge, ndr), il Piano Mattei – che cazz’è ‘stu Piano Mattei? –, nessuno sa una mazza. Non c’è cattiveria, manca proprio la conoscenza.
Cosa risponde a chi teme un’“invasione” dall’Africa?
Bisognerà avvertire Salvini che l’invasione ce l’abbiamo già in casa: siamo noi settantenni. L’Africa non ci invade perché fa figli per venire in Europa, ma perché i figli sono l’unica ricchezza, l’unico welfare possibile, la loro pensione. In Africa si invecchia prima e se a 45 o 50 anni non ce la fai più, ti sostengono i figli. È un modo di vivere completamente diverso dal nostro, ma ha una sua logica. E non lo fanno per farci un dispetto, malgrado quello che raccontano certi politici. Noi invece abbiamo invertito tutto e i nostri trentenni devono lavorare come matti per mantenere una montagna di anziani. Insomma, non è che noi siamo quelli furbi e gli altri sono per forza quelli scemi.
L’Africa la conosce, ci è stato tante volte: perché le persone partono?
Perché non hanno alternative. E c’entra anche il clima e le terre che non sono più coltivabili. E perché non sono più coltivabili? Quella di chi fugge non è una scampagnata, non vengono mica per farsi un selfie con Salvini. Abbandonano genitori, legami, radici per affrontare deserto, violenze, il Mediterraneo sulle barchette, una follia. Non lo si fa a cuor leggero. È molto peggio di quando gli italiani andavano in Belgio a fare i minatori: almeno loro un’idea del futuro ce l’avevano. Oggi chi parte fa letteralmente un salto nel buio, non può essere bollato semplicemente come rompicoglioni, “fuori dalle balle”.
E noi?
Ancora una volta, ti aspetti che chi governa si rivolga agli esperti e invece a occuparsi di problemi enormi ti ritrovi un drappello di ignoranti che non sa nemmeno di cosa parla. Bisognerebbe smetterla di raccontarci favole e iniziare a studiare come stanno davvero le cose: clima, migrazioni, cooperazione. Le risposte ci sono già, solo che nessuno si prende la briga di leggerle. Finché restiamo nella superficialità, continuiamo a inseguire fantasmi e a ignorare i drammi veri.
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