
Garbo, cinquant’anni di carriera senza deviazioni
Il Fatto Quotidiano - Monday, December 1, 2025Garbo è uno dei pochi artisti italiani che possono davvero parlare di coerenza. Cinquant’anni fa registrava i suoi primi demo; oggi continua a muoversi con la stessa lucidità, senza deviazioni, senza compromessi. Giovedì 4 dicembre sarà al Legend Club di Milano (info ticket qui) per presentare Sulle cose che cambiano, il nuovo disco: una fotografia perfetta di un artista che ancora oggi non accetta scorciatoie e continua a interrogare il presente con la stessa necessità degli inizi.
Nei consueti nove punti di questo blog voglio raccontare cosa significa attraversare mezzo secolo di carriera senza mai perdere la propria traiettoria. Cominciamo.
1. L’origine: un bisogno fisico
Immaginatelo nel 1975, ancora senza un ruolo e senza un posto nella musica italiana. Solo un giovane che avverte una pressione interiore che non sa ignorare. “La musica unita alla parola era un bisogno, come alimentarsi e dormire”, racconta oggi. Non cerca un pubblico, non cerca un genere: vuole individuare un varco. E quei primi demo sono proprio questo — il punto in cui la sua identità comincia a premere per uscire.
2. La new wave prima del nome
Quando gli chiedono se sia stato un artista new wave, lui risponde: “Io ho fatto semplicemente musica”. Non perché rinneghi quella stagione, ma perché la intercetta prima che abbia un nome. “Chi la faceva allora non ne era consapevole”. Senza Internet, senza modelli pronti, quelle sonorità nascono in modo simultaneo in Inghilterra, Italia, Francia, Germania, Giappone. È una sintonia generazionale più che un’estetica costruita. La coerenza comincia qui: rifiutare l’etichetta per difendere la propria matrice.
3. Contro il racconto, a favore dell’immagine
La grammatica del cantautorato italiano non è mai stata il suo spazio naturale. “Non ho mai raccontato storie. Mi muovevo con un’attitudine più vicina alla fotografia o al cinema”, spiega oggi. Nei suoi brani non c’è una trama da seguire, ma istantanee: gesti, attimi, tensioni. Nessuna narrazione lineare, nessuna consolazione emotiva. In un panorama che cercava racconto e riconoscibilità, la sua voce si muoveva per fotogrammi: un modo diverso di stare nella canzone, e la prima incrinatura nel modello dominante.
4. L’ingresso in discografia e il limite del consenso
All’inizio degli anni ’80 le case discografiche sono organismi imponenti. Dentro questo sistema, la sua musica entra senza scorciatoie: un nastro ascoltato da qualcuno che riconosce un suono diverso dal solito. È un ingresso laterale, quasi anomalo per l’epoca: “Ho capito da subito che non sarei stato nazionalpopolare”. Non per posa: per incompatibilità naturale. Le richieste di addolcire, smussare, rendere più docile arrivano subito. E altrettanto subito arriva la consapevolezza che piegarsi significherebbe perdere proprio ciò che lo rende necessario.
5. Battiato, il punto di svolta del suono
Il tour con Battiato è un crocevia: quello è il momento preciso in cui il pop italiano cambia pelle. “Ho capito che non si sarebbe più tornati indietro”, sostiene. Non è un caso se il 21 settembre 1981 escono La Voce del Padrone e A Berlino… Va Bene. Battiato apre una strada nuova dentro il pop colto, portando complessità e ironia in un linguaggio accessibile. Garbo, nello stesso giorno, fa un passo diverso: un disco urbano, teso, spigoloso. Strade differenti ma che si toccano sotto l’egida della bellezza. Battiato trova un equilibrio possibile; Garbo sceglie di non cercarlo, orientandosi dove la sua musica gli chiede di stare.
6. Una voce che non somiglia a nessun’altra
Il timbro è subito riconoscibile: asciutto, preciso, senza alcun bisogno di compiacere. Non cede al vibrato, non rincorre la rotondità, non usa il calore come rifugio. È una voce che resta esposta, quasi nuda, e proprio per questo così netta. Negli anni Ottanta, dentro un panorama pieno di enfasi e di recitazioni melodiche, suona come l’antitesi delle pose: dritta, verticale, priva di ammiccamenti. Non chiede approvazione, non cerca rassicurazioni. Inutile aggiungere altro: è perfetta per quell’epoca musicale.
7. L’estetica come frontiera personale
Vestirsi di nero: negli anni Ottanta, in Italia, significava collocarsi subito fuori dal coro. Niente teatralità, niente eccessi, nessun bisogno di marcare la scena con colori ridondanti. Uno stile che ha fatto proseliti: uno spolverino lungo, rigoroso, che diventava un marchio riconoscibile. E poi quel dettaglio che oggi scivola inosservato ma allora era una dichiarazione di intenti: un filo di matita sotto gli occhi, gesto che apparteneva a pochissimi. Un’estetica che non imitava nulla e non rincorreva nessuno: parlava già da sola.
8. Che cosa aspettarsi dal concerto
Garbo non sale sul palco per rimettere in scena un ricordo, ma per riaffermare un linguaggio: un modo lucido e necessario per festeggiare cinquant’anni di carriera inossidabile. Il suo sguardo sul presente è netto: un’epoca che confonde il rumore con la novità e l’immagine con la sostanza. “Oggi gira talmente poco di nuovo che la sincerità, da sola, basta a distinguerti”, dice. Quella stessa sincerità la porterà sul palco del Legend insieme a Eugene (voce, piano + machine), per una performance asciutta, concentrata, senza mediazioni. L’opening act sarà affidato a Lele Battista. E notizia dell’ultima ora, “on stage”, ci sarà anche Andy (Bluvertigo).
9. Il mio set nei meandri cangianti della new wave
Dopo il concerto non andate via. Avrò l’onore e il piacere di suonare i miei dischi. Un DJ set rigorosamente orientato entro i meandri cangianti della new wave: non una cartolina vintage, ma un continuum con il concerto, attraverso una selezione costruita sul passo della serata, tra geometrie elettriche, linee sintetiche e deviazioni improvvise. Ne sentirete delle belle. Ci si vede al Legend.
Come sempre, chiudo con una connessione musicale: una playlist dedicata, disponibile gratuitamente sul mio canale Spotify (link qui sotto). Se vuoi dire la tua, fallo nei commenti — o, meglio ancora, sulla mia pagina Facebook pubblica, dove questo blog vive davvero. Lì il dibattito continua, si contorce, deraglia…e a volte sorprende. E sì: se ne leggono di tutti i colori.
9 Canzoni 9 … Synthetiche
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