Certa stampa è così: carne viva contro Francesca Albanese, guanti bianchi sul genocidio

Il Fatto Quotidiano - Wednesday, December 3, 2025

di Roberto Del Balzo

Bolle di saliva. Globi oculari sporgenti di rabbia. Schiuma, come atto finale che abbandona gli angoli della bocca quando si va oltre la soglia del dicibile. C’è un filosofo, è tedesco, Peter Sloterdijk, che all’interno della sua trilogia “Bolle”, “Globi”, “Schiuma”, sostiene che “i media sono sistemi immunitari collettivi”. Ottima definizione per questi tempi.

Contro Francesca Albanese si è mossa tutta la stampa come un corpo unico, un corpo privo di pensiero autonomo, una massa reagente: il giornale più moralizzatore d’Italia non ha perso un secondo e via via, geronto-giornalisti opinionisti con i capelli bianchi o con il cerone sulla zucca, parodie di giornalisti in televisione 24 ore su 24 come in un canale di televendita, tutti uniti come un’ameba mediatica si sono simultaneamente attivati, anche sui social.

Questo corpaccione corporativista prima ha mimetizzato poi normalizzato tutti i miasmi mefitici che arrivavano da se stesso. L’elenco è lungo ma qualcuno ha visto la stessa elettricità per denunciare l’irruzione dell’Idf nelle redazioni di Al Jazeera? Qualcuno si è sottratto da questo unico essere quando si parlava con tono irrisorio dei funerali dei bambini a Gaza fatti con bambole di plastica (giusto perché dei propri figli non restava più nulla da seppellire). Leggere tutto e guardare tutti talk è difficile ma onestamente si è visto qualche pizzetto vibrare sul mento per questo? Qualche immobile pachiderma dell’editoriale indignato avere una sorta di smarrimento morale almeno? Solo silenzio, o peggio: normalizzazione.

Poi arriva Francesca Albanese e all’improvviso le gote del corpo unico diventano rosse di indignazione, si irrigidisce compatto come una gelatina che vibra sul piatto, tipo quelle cose arrivano giusto in tempo per Natale sulle nostre tavole. Questo accade quando si va oltre la soglia del dicibile, ovvero la storia raccontata da una stampa che si crede libera che sente una vertigine non per i fatti ma solo per li descrive e denuncia.

Leo Longanesi (consigli per questo Natale non richiesti: regalatevi un libro di Leo Longanesi da cui ahimè dovrebbe discendere il giornalismo moderno, giusto per capire dove siamo finiti) diceva in uno dei suoi aforismi: “Non è la libertà che manca in Italia. Mancano gli uomini liberi. È una delle sue massime più celebri e più usate per descrivere la complicità passiva, la mediocrità morale e l’incapacità di assumersi responsabilità pubbliche.

Ora ognuno tragga le sue opinioni: sullo sterminio di Gaza come si sono comportati quelli che oggi attaccano Francesca Albanese oltretutto per parole non dette? Sì, tanti giornalisti hanno speso una parolina nel varietà o nel talk del sabato, seduti, comodi, senza disturbare troppo, innocui, prevedibili, con la cravatta brutta ma col nodo fatto bene, lo stesso nodo che dovrebbero avere in gola ogni volta che deglutiscono davanti allo specchio.

Certa stampa è questo: carne viva per scrivere contro Francesca Albanese, guanti bianchi per raccontare un genocidio. E poi si domandano perché qualcuno ancora cerchi la verità altrove lontano dalla liturgia dell’ovvio. E quando inciampa parlando di “ditino alzato” da parte di Francesca Albanese, rivela solo questo: che ha smesso di dare notizie e ha iniziato a proteggere il proprio ruolo.

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