Il business delle terre rare venezuelane che dalla Cina finiscono in Ue: tra miniere illegali, omicidi e distruzione delle riserve naturali

Il Fatto Quotidiano - Tuesday, December 16, 2025

Dietro l’assedio statunitense sul Venezuela non c’è solo il petrolio – di cui il Paese vanta le più grandi riserve a livello mondiale -, ma anche minerali critici, tra cui coltan ed elementi di terre rare, spesso legati alla transizione ecologica. Tali risorse naturali sono state tirate in ballo nelle recenti trattative tra Caracas e Washington laddove Nicolás Maduro avrebbe “offerto di tutto” – parole di Trump – pur di restare al potere mentre a inizio novembre, all’American Business Forum, María Corina Machado ha parlato del suo Paese come hub energetico delle Americhe e prossima “frontiera dell’innovazione”.

Ma la realtà va già oltre la fantasia e c’è già un flusso costante di terre rare che partono dal Venezuela, passano dalla Colombia, attraverso la guerriglia dell’Eln, Ejército de liberación nacional, e raggiungono la Cina, il grande monopolista di minerali critici, che li trasforma ed esporta in Europa. Dal gigante asiatico proviene il 98% delle terre rare che raggiungono l’Unione europa e che poi ci troviamo negli scaffali, sotto forma di smartphone e auricolari, nelle vetture elettriche e in altri beni di consumo.

Il Paese sudamericano concentra un’importante riserva di minerali critici, prevalentemente nell’Arco Minero, un’area da quasi 112mila chilometri quadri – che equivale al 12,2% del territorio venezuelano – situata nello Stato Amazonas (e quindi nell’Amazzonia venezuelana) dal valore stimato di 2mila miliardi di dollari. Diverse inchieste realizzate da Armando.info, Amazon Underworld e Insight Crime svelano che le risorse dell’Arco Minero non sono sotto il dominio del governo centrale, bensì di gruppi privati e di guerriglie come l’Eln, presente nella metà delle regioni del Paese, con la connivenza di settori deviati della Gnb, la Guardia nazionale bolivariana, già nel mirino delle Nazioni Unite per trame di corruzione e violazione sistematica dei diritti umani. “Ci si doveva limitare a procedure artigianali, rispettose dell’ambiente. Qui invece impiegano macchine pesanti, distruggendo anche le riserve naturali, 3.200 ettari soltanto nella riserva naturale Yacapana“, denuncia l’ong Sos Orinoco. Ma non c’è solo l’impatto ambientale: l’attività estrattiva fa leva sulla povertà della popolazione locale, colpita dalla crisi economica che lacera tutto il Paese. “Qui guadagno in un giorno solo ciò che prenderei altrove nell’arco di un mese”, dice Juan González a Ilfattoquotidiano.it parlando di guadagni di circa “dieci dollari per ogni chilo di coltan”.

Il territorio, fuori dalla miniera, è presidiato dalla Guardia nazionale, che lucra dall’attività estrattiva, mentre all’interno delle miniere comanda l’Eln. “Qui ogni trasgressione si paga con la vita”, sostiene una fonte consultata da Armando.info mentre racconta di aver assistito a un’esecuzione da parte della guerriglia: “Lo hanno messo in ginocchio e gli hanno piantato due pallottole in testa. A sparare era una donna”. Anche Human Rights Watch ha denunciato la condizione inumana dei minatori parlando di “trattamenti brutali“, “smembramenti” e “uccisioni” di minatori dinanzi ad altri lavoratori per garantire l’ordine interno. Gli stessi popoli originari hanno spesso alzato la voce contro l’attività mineraria illegale che, secondo l’ong Provea ha recato “problemi di salute” non indifferenti, tra cui “intossicazioni e malattie croniche che colpiscono soprattutto bambini e anziani”. Compromesse anche le attività agricole che garantiscono la sussistenza alle comunità aborigene, come gli Yanomami, spesso ignorate dal potere centrale.

I minerali estratti vengono distribuiti in sacchi di 40 chilogrammi circa, navigano – di notte, su canoe artigianali o go fast – attraverso il fiume Orinoco. Prima tappa: Colombia. I controlli vengono superati con documentazione e titoli falsi e, anche se l’esercito colombiano ha provveduto a sequestri record di circa 60 tonnellate, la merce viene poi restituita. Documenti falsi, di produzione colombiana, servono ad aggirare le lacune giuridiche e la fragile normativa in vigore. Riuscita la pratica di ripulitura, i minerali vanno in Cina, che conta sulla presenza di importanti stabilimenti e raffinerie. Pechino sorveglia i flussi dalla loro partenza, attraverso imprese presenti nell’Arco Minero. “Non c’è solo la rotta colombiana, ma i minerali escono anche attraverso il Brasile e la Guyana, tramite vie illegali, in assenza di controlli statali”, afferma a Ilfattoquotidiano.it il giornalista Carlos Uzcátegui, già residente nello Stato Bolívar. “Vengono usate anche piste clandestine e stabilimenti militari dismessi mentre molte terre sono diventate inabitabili, come Santa Elena de Uairén e il Kilómetro 88“. Caracas tace sul fenomeno, Bogotà si arrende a una più grande “trama internazionale” – targata Pechino, lontana da Trump – e i gruppi armati si espandono e pongono lo sguardo anche su altre località come la Sierra de Perijá, nello stato Zulia, anch’essa sotto l’Eln, dove si ipotizza la presenza di elementi di terre rare e altri minerali. È una questione di domanda e offerta.

L'articolo Il business delle terre rare venezuelane che dalla Cina finiscono in Ue: tra miniere illegali, omicidi e distruzione delle riserve naturali proviene da Il Fatto Quotidiano.