S everance è una serie prodotta da Ben Stiller che indaga, nelle sue due
stagioni, il rapporto tra lavoro e identità, tra memoria e oblio. La serie si
svolge principalmente negli uffici della Lumon Industries, una multinazionale
che opera nel campo delle biotecnologie e che utilizza una procedura medica di
“scissione” per separare i ricordi personali di alcuni dei suoi dipendenti dai
ricordi lavorativi. Durante le ore passate in ufficio, i dipendenti sottoposti a
scissione non hanno alcun ricordo della loro vita nel mondo esterno; viceversa,
durante le ore trascorse all’esterno, non hanno memoria della loro vita alla
Lumon. La scissione è una pratica che rende i lavoratori più efficienti proprio
in quanto non turbati da fattori esterni. Anche l’architettura della
multinazionale sembra essere piegata a questo scopo: i suoi reparti sono privi
di finestre e isolati tra loro, l’impianto è labirintico, claustrofobico.
Il concorso – l’ultimo libro di Sara Mesa uscito per La Nuova Frontiera nella
traduzione di Elisa Tramontin –, mi ha inevitabilmente fatto pensare a Severance
e alla domanda “Chi sei?” rivolta all’attrice Britt Lower nel ruolo di Helly R.,
che apre il primo episodio. La protagonista del nuovo romanzo di Sara Mesa, si
muove quasi interamente negli spazi di un edificio a pianta circolare che
richiama per certi aspetti la multinazionale di Severance. È un castello
kafkiano senza finestre e privo di vita, come denuncia la presenza dei fiori
nella sala conferenze: “crisantemi avvizziti e gigli ai quali nessuno doveva
cambiare l’acqua da giorni”. Sara Villalba, così si chiama la protagonista del
libro, ha un impiego temporaneo in un ufficio pubblico – il sopranominato
castello kafkiano – e studia per un concorso che dovrebbe stabilizzare la sua
posizione.
Dal suo esordio, l’autrice spagnola ha esplorato diversi generi letterari,
passando dalla poesia alla prosa; Il concorso è il suo quarto romanzo pubblicato
in Italia dopo Cicatrice (2017), Un amore (2021) – finalista al Premio Strega
Europeo –, e La famiglia (2024). È un’opera intima e politica, come quasi tutte
le opere dell’autrice, che si interroga sull’identità, sull’obbedienza, sul
vuoto di senso che investe sempre più settori lavorativi e sulle possibilità che
abbiamo di rompere questo vuoto.
Mesa ha dato al personaggio principale del suo ultimo romanzo il proprio nome. E
come lei, ha lavorato nella pubblica amministrazione. Non è la prima volta che
la scrittrice riflette sul settore pubblico, sulla burocrazia, sulla ricerca di
senso. Precede infatti Il concorso un breve ma tagliente saggio intitolato
Silencio administrativo (2019) che racconta l’iter di Carmen, una donna invalida
e senza fissa dimora che prova a chiedere aiuto agli enti pubblici scontrandosi
però con procedure obsolete e macchinose, silenzi, inadempienze.
> Come quasi tutte le opere dell’autrice, si interroga sull’identità,
> sull’obbedienza, sul vuoto di senso che investe sempre più settori lavorativi
> e sulle possibilità che abbiamo di rompere questo vuoto.
Sara Mesa traghetta alcuni temi di Silencio administrativo sul terreno della
finzione e costruisce Il concorso, una storia che mette a nudo tabù attraverso
domande implicite: cosa accade quando un posto di lavoro si trasforma in una
trappola silenziosa e la quotidianità in un processo usurante? Come può esserci
comunicazione quando la lingua del lavoro è diversa dalla propria?
“L’argomento del lavoro è circondato da tabù”, scrive David Graeber nel libro
Bullshit Jobs (2018), pubblicato da Garzanti e tradotto da Albertine Cerutti.
Antropologo e teorico di spicco del movimento Occupy Wall Street, Graeber compie
un’analisi lucida sulle conseguenze di una società impegnata su larga scala in
attività prive di significato. Una società così costituita, sostiene l’autore,
sarà tenuta insieme dal sospetto, dall’odio e dal rancore di chi è finito in
gabbia. Sarà talmente assuefatta alla mortificazione e al mortifero – i
crisantemi avvizziti e i gigli a cui nessuno ha cambiato l’acqua – da non
accorgersi neppure quando a mancare sono persone in carne ed ossa.
È così che funziona, gli ambienti privi di vita cessano di riconoscere la morte
perché quest’ultima li governa, come nel caso riportato da Graeber
dell’ispettore fiscale finlandese che nel 2022 morì, seduto alla scrivania del
suo ufficio – dell’ufficio tutto suo –, e che rimase così per oltre quarantotto
ore perché i trenta colleghi che gli lavoravano attorno non si erano resi conto
prima dell’accaduto.
Bullshit Jobs esce nel 2018, un anno prima di Silencio administrativo – testo in
cui si annidano, in forma embrionale, le pagine de Il concorso. Sara Villalba,
personaggio principale de Il concorso, lavora in un’ala vuota dell’ufficio, è
sola nella sua postazione. Sola, come l’ispettore fiscale finlandese. La sua
scrivania è stata piazzata in mezzo al nulla – vero protagonista del romanzo. Il
nulla può essere sinonimo di assenza che, nell’opera di Sara Mesa, si traduce in
assenza di relazioni – l’ala vuota dell’ufficio –, assenza di un dialogo col
mondo – la mancanza di finestre –, assenza di istruzioni – nessuno spiega a Sara
Villalba cosa deve fare. La somma di queste assenze rende la sua condizione
esistenziale e professionale disumana. Oltre a raccogliere l’eredità di Graeber
e di autori classici come Musil, Kafka, Moravia e Svevo, Mesa si inserisce nella
riflessione proposta negli ultimi anni anche dal filosofo Byung-Chul Han,
soprattutto attraverso La società della stanchezza (2020), uno dei suoi titoli
più noti.
> Cosa accade quando un posto di lavoro si trasforma in una trappola silenziosa
> e la quotidianità in un processo usurante? Come può esserci comunicazione
> quando la lingua del lavoro è diversa dalla propria?
La nuova protagonista di Mesa fa parte della galleria di personaggi misteriosi e
umbratili che popolano i romanzi precedenti dell’autrice. Nat, protagonista di
Un amore, tiene a lungo nascosto il vero motivo per cui si trova nella località
rurale di La Escapa. Tutti i personaggi di La famiglia celano gli uni agli altri
aspetti della loro personalità, sentimenti, pensieri. Sara Villalba occulta a
sua madre come le vanno le cose in ufficio. Ma se c’è qualcosa che non può
essere occultato è il malessere, perché prima o poi salta fuori, magari sotto
forma di infiltrazioni sul soffitto come quelle che affliggono Nat ogni volta
che piove.
L’oscenità del dolore consiste proprio in questo, nel suo non poter essere
sottratto alla vista degli altri. Restano le infiltrazioni sul soffitto a
testimoniare che qualcosa non va nella struttura, che c’è dell’umido, del
marcio. E cosa ne fa Sara Villalba del suo malessere? Cerca di non ignorarlo
restando in agguato, espressione che compare più volte nel romanzo e cha ha un
triplice significato: Sara sta in agguato perché potrebbe ricevere da un momento
all’altro istruzioni, compiti, incarichi – lei li aspetta, com’è normale che
sia, dal primo giorno che è entrata a lavorare. Sta in agguato per non venire
risucchiata dall’ufficio, dalle sue dinamiche, dal suo linguaggio rigido,
eufemistico, fatto di parole altisonanti pensate per dare lustro e importanza a
ciò che, a ben guardare, non ne ha.
Ma sta in agguato soprattutto per riuscire a vedere una gatta con i suoi
cuccioli che si nasconde tra gli oleandri, nel giardino dell’ufficio. Quando la
scorge, sa di essere viva. Gli animali, nei romanzi di Sara Mesa, incarnano la
vita, l’istinto. Vederli, desiderarli, accoglierli, ha un significato tutto
simbolico. Significa dare fiducia al corpo, riconoscere la sua intelligenza,
capace di anticipare le intenzioni della mente. Nelle pagine finali di Il
concorso, le mani di Sara Villalba sanno tutto, sanno prima, e agiscono in
autonomia per il bene della protagonista.
Sara Villalba è un’eroina involontaria che si ribella alle logiche soffocanti
del suo ambiente di lavoro. In fondo, non cerca altro che una risposta alla
domanda “Chi sei?” – la stessa domanda di carattere identitario con cui deve
fare i conti Helly R. in Severance. La ribellione di Sara Villalba non è
ideologica né strutturata. È fatta di gesti minimi, propri di una persona che
non vuole sparire.
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