N el 1993 esce Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine,
reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, il saggio di
Francesco Orlando che hanno definito un’opera-mondo. Supportato da un elenco di
esempi letterari, Orlando crea una categorizzazione del valore che hanno gli
oggetti quando diventano letteratura. Realizza un albero con dodici categorie di
ruoli e significati che gli oggetti fisici, nel loro rapporto con il tempo,
hanno all’interno di un testo scritto. Una delle prerogative degli oggetti
studiati da Orlando è che essi abbiano una “corporeità”; l’altra che siano
legati in qualche modo al passato. Tra le dodici categorie esiste quella che il
critico chiama del “memore-affettivo”, che si ha quando l’oggetto contiene un
ricordo “sentito soggettivamente e presentato con compiacenza”.
A livello storico Orlando rileva che il “memore-affettivo” subentra, come
modello, al “monitorio-solenne” e nasce insieme al senso moderno della memoria,
che si sviluppa dall’individualismo preromantico e dall’indebolimento delle
concezioni religiose del passato e dei morti. Gli oggetti in letteratura hanno
l’attributo di “memore-affettivo” quando mantengono una sopravvivenza oltre lo
spazio della memoria stessa e quando la loro elencazione crea – con la
definizione di Orlando – un “pellegrinaggio sentimentale”. Si contrappone al
ricordo a occhi chiusi, che invece cerca di far rivivere il passato senza
guardare qualcosa di specifico, e questo pellegrinaggio poche righe più avanti
viene definito “tesorizzazione di reliquie”: cioè una modalità letteraria di
ricordare il passato tramite l’accumulazione di oggetti e immagini.
> Gli oggetti in letteratura hanno l’attributo di “memore-affettivo” quando
> mantengono una sopravvivenza oltre lo spazio della memoria stessa e quando la
> loro elencazione crea – con la definizione di Orlando – un “pellegrinaggio
> sentimentale”.
Nel libro Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia di Michele
Ruol, uscito per TerraRossa nel 2024 e nella cinquina di finalisti allo Strega
2025, ritrovo gli stessi elementi che mi hanno colpito della teoria di Orlando:
il senso del tempo e la percezione dell’affetto a partire da un “assortimento di
merci”. La parola “inventario” nel titolo lega subito il romanzo di Ruol al
saggio del 1993 che Orlando, in epigrafe, dedicava proprio “Alla memoria dei
miei genitori e della loro casa”. Inventario di quel che resta è infatti un
libro sulla memoria di due genitori – che nel libro si chiamano Padre e Madre –
dei figli Maggiore e Minore morti in un incidente.
La casa che fu della loro famiglia unita viene scandagliata nei suoi più piccoli
oggetti e ognuno di essi, dando il titolo ai capitoli, contiene archiviato un
frammento di vita del passato o del presente dei protagonisti. Alla fine il
libro è un vero e proprio elenco, e il romanzo ci fa percepire quella che
Umberto Eco chiama Vertigine della lista in un saggio del 2009. Se la teoria di
Orlando torna in Inventario di quel che resta per la funzione degli oggetti e
del loro legame con il tempo in letteratura, Eco è utile per approfondire la
forma-elenco che Ruol utilizza nel suo romanzo. Proprio Ruol, infatti, dirà in
un podcast di TerraRossa: “Mi appoggio alle immagini, per questo stile e
struttura vanno nella stessa direzione”. La forma-elenco, quindi, non è soltanto
la struttura di Inventario ma anche il tratto più caratteristico dello stile di
Ruol, che fa coincidere l’organizzazione del libro con l’originalità della sua
voce.
Umberto Eco ‒ che come Orlando realizza un elenco di esempi letterari nel saggio
in cui parla di liste e oggetti ‒ parte dallo scudo di Achille, perché la
descrizione che ne fa Omero gli sembra “l’epifania della Forma, del modo in cui
l’arte riesce a costruire rappresentazioni armoniche in cui viene istituito un
ordine”. Dare una forma armonica, gerarchica e strutturata all’espressione,
permette – secondo Eco – di concentrare l’attenzione solo su quello che viene
rappresentato: la forma “limita l’universo del ‘detto’”. Sul piano opposto si
trovano le liste: a differenza delle forme limitate che danno confini alla
materia, Eco spiega che l’elenco o la lista espandono la possibilità di
oggettivare qualcosa di potenzialmente infinito. La forma dà uno spazio finito
alla materia, l’elenco invece approssima continuamente la finitezza dell’oggetto
di cui si parla e restituisce un’idea di infinito inesauribile.
> A differenza delle forme limitate che danno confini alla materia, Eco spiega
> che l’elenco o la lista espandono la possibilità di oggettivare qualcosa di
> potenzialmente infinito.
In questo senso il romanzo-inventario di Ruol permette al lettore di percepire
oggettivamente il passato vivo e umano di Padre, Madre, Maggiore e Minore e il
dolore che riconfigura il presente dei due genitori; allo stesso tempo di
sentire che c’è dell’altro di indicibile, impercettibile e sfuggevole alla
narrazione, cioè la forza dei loro sentimenti e la presenza infinita e
incontenibile dell’umano. Non a caso Ruol ha dichiarato di voler esplorare,
attraverso questo libro, le dinamiche umane che investono soprattutto i due
adulti, prima e dopo il dolore capace di rivoluzionare le loro vite. Insistendo
su Omero, Eco si serve dell’esempio del II canto dell’Iliade dove l’elenco dei
generali greci serve a dare l’idea della grandezza immensa dell’esercito:
“apparentemente l’elenco è finito, ma siccome non si può dire quanti uomini ci
siano per ogni duce, il numero a cui si allude è comunque indefinito”. Poi Eco
spiega in quali casi la completezza della Forma è così poco adattabile alla
composizione da dover ricorrere all’elenco:
> Esiste un altro modo di rappresentazione artistica, quando di ciò che si vuole
> rappresentare non si conoscono i confini, quando non si sa quante siano le
> cose di cui si parla e se ne presuppone un numero, se non infinito,
> astronomicamente grande; o quando ancora di qualcosa non si riesce a dare una
> definizione per essenza e quindi, per parlarne, per renderlo comprensibile, in
> qualche modo percepibile, se ne elencano le proprietà.
Il caso di Ruol mi pare che sia l’ultimo presentato da Eco: il ricorso alla
lista quando l’argomento di cui si vuole parlare è impalpabile, sfuggente, a
volte incomprensibile come – appunto – la perdita in un incidente di entrambi i
figli adolescenti per due genitori. Se tentare un elenco di qualcosa, anche
parziale, è un modo per rendere oggettivo un infinito, allora ricercare i tratti
del dolore di Padre e Madre in un elenco numerato di cose dei loro luoghi
familiari è un modo per oggettivare l’infinità indicibile del dolore che hanno
vissuto. La prima pagina dell’indice di Inventario di quel che resta appare
proprio così e resta uguale per tutte le altre, dalla cucina all’automobile:
Parte prima
Casa
ingresso
1. cornice in argento, 15×22 cm
2. telefono fisso, marca Sirio, color avorio
3. mensola stile rococò
4. fermaporta in vetro di Murano
5. bomboniera di matrimonio in cristallo
cucina
6. televisore a tubo catodico 14 pollici
7. cesto di vimini
8. tagliacarte
9. raccolta di calamite su frigo
10. pentolino da latte
11. lavastoviglie da incasso
12. cavatappi a leva
13, noci, n. 7
salotto
14. motoscafo in legno Riva Aquarama, modellino 1:10
15. tappeto Yalameh rosso e blu
16. tavolo 8 posti in castagno, primi del ‘900
17. penna stilografica Pelikan MK10
18. Lindor rossi, incarti
Se aprissimo soltanto questa pagina del libro sarebbe veramente difficile
credere che quelle precedenti contengano un romanzo. E invece ogni oggetto
puntualmente registrato come in un vero e proprio inventario – anche con le
specifiche tecniche – contiene dentro di sé una storia di vita della famiglia
protagonista e spostandoci negli angoli della casa, poi dell’automobile,
ricostruiamo tutte le loro esistenze. La stessa incredulità davanti a un libro
fatto di liste si prova davanti all’ultima uscita della casa editrice Quodlibet,
intitolata Guida all’installazione di un futuro me (2025) e scritta da Ugo
Coppari. I primi 14 capitoli del libro si intitolano La vita come quantità e il
protagonista, prima di consegnarci le sue liste di cose quotidiane, si presenta
in questo modo:
> Soprattutto è questa la mia ossessione: fare un elenco di quello che ho, di
> quello che ho fatto, di quello che ho mangiato, di quello che ho prodotto in
> una giornata, in linea con la tendenza generale alla quantificazione di sé
> stessi. […] Magari se uno mi vede camminare pensieroso lungo la strada
> potrebbe credere che sto riflettendo sui massimi sistemi, sul cambiamento
> climatico o cose simili, ma in realtà non faccio altro che elaborare liste che
> mi diano la misura della mia presenza nel mondo.
Gli elenchi di Coppari, proprio come dice Eco, servono al personaggio per darsi
(e poi darci) contezza della sua esistenza del mondo. Limitano e rendono
visibile qualcosa di potenzialmente impercettibile e sconfinato. Se un giorno,
nel futuro, un gemello digitale dovesse essere installato in una nuova persona,
il personaggio del libro di Coppari è sicuro che, per replicare sé stesso,
l’alias dovrà conoscere tutte le sue liste. L’elenco delle cose del
protagonista, alle prese con il tentativo di salvare la sua esistenza
dall’erosione del tempo, diventa un esempio di letteratura lirica, autentica,
proprio perché la forma-elenco di cui parla Eco si riempie di tutto ciò che di
infinito e impercettibile sfugge a un libro scritto per esteso.
> Si ricorre alla lista quando l’argomento di cui si vuole parlare è
> impalpabile, sfuggente, a volte incomprensibile come – appunto – la perdita in
> un incidente di entrambi i figli adolescenti per due genitori.
Tornando a Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia, un esempio
dal capitolo 40, “letto singolo con doghe”, ci fa comprendere di cosa si
riempiono le liste di oggetti di Ruol. Nella serata finale dello Strega ha
motivato il suo ricorso alle cose dicendo che, concentrandosi sulla loro
oggettività, voleva non lasciarsi andare a eccessi, sensazionalismi e
spettacolarizzazioni del suo dolore. Una sorta di scudo dalle derive della
narrazione cui è avvezza la letteratura contemporanea, e che proteggendo Ruol ha
permesso agli oggetti di farsi animati, vitali, fantasmatici proprio come le
parole nelle storie. In questo inizio di capitolo conosciamo il nonno, la
nostalgia di Padre per la casa dov’è nato, Maggiore diventare grande e avere
bisogno di un letto più spazioso:
> Quando il nonno paterno era stato ricoverato in una casa di riposo, Padre
> aveva disdetto l’affitto e incaricato una ditta per lo sgombero
> dell’appartamento. Aveva gestito tutto al telefono, raccomandando alla
> residenza di avere un occhio di riguardo per quell’uomo silenzioso, e
> all’impresa di conservare e spedire il suo letto di ragazzo – unico arredo che
> avrebbe tenuto. Era ampio, in legno massiccio, e a parte le doghe che
> scricchiolavano un po’ era ancora in ottime condizioni: sarebbe stato perfetto
> per Maggiore.
Ritroviamo quella filosofia della “cosa-personaggio” di cui più volte ha parlato
Michele Mari a proposito del suo libro Locus desperatus (2024) e che Maria
Giardina ha anche analizzato su Il Tascabile mettendola in dialogo con una “new
wave ‘marie-kondiana’” che ha origine da Il magico potere del riordino. Mentre
nel libro di Mari, però, gli oggetti recuperati contengono il sé di chi li
possiede e permettono al narratore di non allontanarsi dalla propria storia,
come le liste di Coppari, gli oggetti di Ruol invece raccontano la storia di
qualcun altro a chi non la conosce. Per Mari gli oggetti sono una memoria
autoconservativa, che garantisce in un certo senso l’autodeterminazione di chi
li accumula e conserva; Inventario di quel che resta invece racconta ad altri –
i lettori – la storia di qualcuno che, forse, neanche ricorda tutto quello che
il narratore onnisciente ha archiviato nella lista di oggetti.
Ogni cosa è illuminata potremmo dire prendendo in prestito un titolo di Jonathan
Safran Foer che con Inventario di quel che resta ha in comune la ricostruzione
di una storia familiare e il valore di amuleto-raccontastorie delle cose. Lo
studente americano omonimo a Foer intraprende un viaggio in Ucraina alla ricerca
della donna che ha salvato suo nonno, ebreo, dai nazisti durante la Seconda
guerra mondiale. Per ricostruire la storia della sua famiglia si fa aiutare da
Alexander, un ucraino del posto, e suo nonno. Nel libro, in una lettera di Alex
a Jonathan, leggiamo queste righe:
> Caro Jonathan,
> […] Ho imprigionato nella busta gli oggetti che richiedevi, non escludendo le
> cartoline di Lutsk, i registri del censimento dei sei villaggi prima della
> Guerra e le fotografie che tu mi scongiuravi di tenere per cauti propositi.
Qualche pagina più avanti, sempre in una lettera di Alex: “ho imprigionato una
foto della bicicletta in questa busta”. Le buste di cui parla Alex sono ancora
più d’impatto se pensiamo all’omonimo film tratto dal libro di Foer, diretto da
Liev Schreiber nel 2005. Jonathan ha un’intera parete di bustine trasparenti che
racchiudono (in)finiti oggetti contenenti un pezzo della storia di suo nonno e
della sua famiglia. Perché lo fai? – gli chiederà Alex – “ho paura di
dimenticare”, risponde Jonathan. Le cose vanno illuminate, nella loro fisicità,
catalogate, archiviate, inventariate – per tornare a Ruol – perché di esse non
vada persa la storia che contengono, “imprigionata” come ripete Alex nel libro
di Foer.
Una catalogazione, però, può essere di tanti tipi e – riprendendo il titolo di
un capitolo di Eco – “C’è lista e lista”. Dal suo punto di vista semiotico Eco
differenzia la lista pratica (della spesa, di numeri di telefono, di invitati a
una festa) dalla lista “poetica”, cioè che esprime una finalità artistica. Se le
liste pratiche assomigliano quasi a una forma, perché devono corrispondere
rigidamente al contesto che si propongono di servire; le liste poetiche si fanno
“perché non si riesce a enumerare qualcosa che sfugge alle nostre capacità di
controllo e denominazione”. Quella di Ruol, seguendo il ragionamento di Eco,
sarebbe allora un ibrido. È sia una lista pratica, perché è un inventario
strettamente legato alla vera esistenza degli oggetti che popolano la casa dei
protagonisti, sia una lista poetica perché risponde alla mancanza di riferimenti
fattuali con cui poter immaginare la rivoluzione esistenziale del lutto. Da
questo punto di vista l’operazione di Ruol con Inventario rispecchia quella di
Barthes con Frammenti di un discorso amoroso: in quel caso Barthes si chiede
cosa sia l’amore e, per spiegarlo, sceglie di ricostruirne la forma e le
caratteristiche dando le definizioni delle parole che ci si direbbe tra
innamorati. Da una parte una lista finita di situazioni (per Barthes) o di
oggetti (per Ruol), dall’altra l’esplorazione poetica – nel senso di artistica e
psicologica – di quello che è contenuto oltre lo strato fittizio delle parole
(Barthes) e degli oggetti (Ruol). Ecco, infatti, il capitolo 26 “borraccia Gio’
Style Safari 1000”:
> Dimenticata tra le mensole della libreria c’è una borraccia di plastica color
> senape, con la tracolla grigia e il coperchio bianco, che una volta svitato
> diventa un bicchiere. Fino a quando erano andati in vacanza tutti insieme, la
> borraccia li aveva seguiti. I viaggi erano prevedibili nella tempistica e
> nella direzione: primi giorni di gennaio, montagna, e settimane centrali di
> agosto, Puglia, nonno paterno. Viaggiavano sempre di notte, tranne un’estate
> in cui Padre si era fatto convincere dalle proteste congiunte di Madre e figli
> contro la levataccia.
Oltre la borraccia Gio’ Style Safari c’è la storia di un viaggio prima di
quell’incendio nella foresta cui allude il titolo. Oltre la “sedia ergonomica
con rotelle” del capitolo 45 c’è una riflessione sul modo in cui Padre prova a
sviare il dolore attraverso il lavoro. Al di là dell’innaffiatoio – capitolo 52
– il corbezzolo di Madre, fondamentale per il senso filosofico del libro, che
infatti tornerà nel capitolo 99. L’ultimo, corbezzoli.
> Quella di Ruol è sia una lista pratica, perché è un inventario strettamente
> legato alla vera esistenza degli oggetti che popolano la casa dei
> protagonisti, sia una lista poetica perché risponde alla mancanza di
> riferimenti fattuali con cui poter immaginare la rivoluzione esistenziale del
> lutto.
Dalla scelta di Ruol di fermarsi a novantanove oggetti ‒ tanti quanti i voti per
lui alla finale dello Strega ‒ ritorna il concetto di Eco secondo cui la lista è
qualcosa di finito che, però, contiene dentro di sé una tensione perenne
all’infinito e all’impossibilità di contenerlo. La famiglia di Inventario sembra
avere una vita che non finisce più e una storia che continuamente aggiunge
qualcosa al suo svolgimento. È una percezione che, lo dice anche Eco, scaturisce
dall’accumulazione propria delle liste. Accumulare e fermarsi a novantanove
però, senza arrivare alla cifra tonda di cento, dà l’idea di un elenco
incompiuto, imperfetto, che proprio per questo prende vita e si permette di
diventare una storia. L’accumulazione restituisce, quindi, la densità del
concetto, e la scelta della lista è un compromesso con cui dire tutto senza la
pretesa che sia tutto davvero. Perché tutto non si può dire, e allora Ruol si
ferma a 99.
Questo senso di incompleto, di mancata totalità del racconto, è ciò che Eco
riassume con l’indicibilità. In un certo senso sapere di non riuscire a dir
tutto della storia è un modo per rilanciare l’immaginazione del lettore e
lasciare a lui la possibilità di contribuire al racconto – magari attingendo
agli oggetti della propria vita, guardando alla propria esperienza del dolore.
> Di fronte a qualcosa di immensamente grande, o sconosciuto, di cui non si sa
> ancora abbastanza o di cui non si saprà mai, l’autore ci dice di non essere
> capace di dire, e pertanto propone un elenco molto spesso come specimen,
> esempio, accenno, lasciando al lettore immaginare il resto.
Nel caso di una narrazione romanzesca come quella di Inventario di quel che
resta dopo che la foresta brucia di Ruol, accennare e dare un elenco come
esempio è anche, però, un modo per ammettere che quella storia ha una natura
immaginifica – e quindi relativa. L’elenco di oggetti, completo nella sua
incompletezza, è un mezzo con cui svelare le altre infinite possibilità di
storie a partire dalla moltitudine di oggetti alternativi che potevano essere
inclusi nell’elenco. Eco lega il ricorso alle liste al “timore di non poter dire
tutto”: nel caso dei romanzi non solo l’autore teme di non poter dire tutto, ma
forse neanche conosce quel “tutto” della storia immaginata, sapendo che quel
“tutto” non corrisponde mai necessariamente al “reale”. Proprio per questo la
lista è, dalla penna di Ruol, quella che troviamo in Inventario ma potrebbe
essere qualsiasi altra. Questa riflessione quasi ricorda gli esperimenti di
letteratura combinatoria cari, ad esempio, a Queneau o al Calvino di Le città
invisibili o Il castello dei destini incrociati. Una lista è una specie di
combinazione, un tavolo di tarocchi che – se disposti in maniera diversa –
offrono la possibilità di una varietà innumerevole di storie diverse fra loro.
La forma-elenco nel libro di Ruol evidenzia la fantasia combinatoria della
letteratura, capace di scandagliare l’essere umano con la stessa dose di
precisione e imprevedibilità del ragioniere che, nonostante la pazienza con cui
annota gli oggetti nelle stanze, sicuramente ne trascurerà casualmente qualcuno.
> Una lista è una specie di combinazione, un tavolo di tarocchi che – se
> disposti in maniera diversa – offrono la possibilità di una varietà
> innumerevole di storie diverse fra loro.
Se la “copertina di lana rosa” del capitolo 33 fosse verde, che storia
racconterebbe? Se il “dispenser di sapone liquido” fosse una saponetta, e se il
“pallone da football” in cucina fosse invece da pallavolo? La struttura a elenco
di Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia permette di avvertire
l’aleatorietà combinatoria della letteratura che è presente in ogni romanzo
d’invenzione, meglio nascosta quando la forma è più scorrevole e meno
inventariale. L’elenco scoperchia il vaso della “letteratura come menzogna”
direbbe Manganelli e in questo gioco che è l’invenzione ogni registrazione
puntuale si fa beffa di sé stessa e rende consapevole il lettore dell’infinita
quantità di storie alternative – ma altrettanto vere – che potrebbe essere
narrate attraverso altri oggetti concreti. Oltre all’infinita densità della
materia della narrazione, in questo caso l’elaborazione di un lutto, la lista di
Michele Ruol cerca di sfuggire alla delimitazione di un altro infinito: quello
delle storie e della fantasia. “Segno che – dice Eco – alla vertigine
dell’elenco si soggiace per molte e svariate ragioni”.
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