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Simon The Sorcerer: Origins – l’intervista a Massimiliano Calamai, fondatore di Smallthing Studios
Dopo anni di silenzio, Simon the Sorcerer torna a incantare i giocatori con Origins, un prequel che riporta in vita una delle saghe più amate dell’epoca d’oro delle avventure punta e clicca. Dietro al progetto c’è Smallthing Studios, team italiano che ha scelto di affrontare una sfida complessa: rispettare un’eredità storica senza restare prigionieri della nostalgia. Abbiamo parlato con Massimiliano Calamai, Founder, Game Director e Designer dello studio, per approfondire la visione dietro questo ritorno, le difficoltà di reinterpretare un’icona degli anni ’90 e le emozioni che Simon the Sorcerer: Origins intende trasmettere ai giocatori di oggi. Durante la pre-produzione avete dichiarato di aver studiato a fondo gli originali per catturarne lo spirito. Qual è invece un aspetto del vecchio Simon the Sorcerer che avete deciso consapevolmente di non riprendere, anche se amato dai fan, perché avrebbe limitato il linguaggio o il ritmo di un gioco moderno? Fondamentalmente ci sono stati due grandi aspetti che abbiamo dovuto rivedere, per una necessità dovuta al gap di trent’anni. Il primo, ovviamente, è il linguaggio. Massimiliano Calamai – Founder, Game Director e Designer di Smallthing Studios Il Simon degli anni ’90 aveva un modo di esprimersi adatto all’epoca: era molto più irriverente e acido del nostro. Oggi non avrebbe funzionato nello stesso modo, sarebbe risultato fuori luogo. Abbiamo quindi scelto di modificarlo profondamente, mantenendo però intatto lo spirito originale – quella stessa natura di irriverenza, ma più profonda, che nasce dal carattere del personaggio, da una forma di ribellione, piuttosto che da un atteggiamento forzatamente provocatorio. L’altro aspetto è stato il gameplay. Volevamo un’esperienza moderna, adatta a un pubblico più ampio e capace di parlare la lingua del 2025. Abbiamo quindi revisionato tutta la struttura, mantenendo il genere adventure ma rendendolo molto più snello, dove a dominare è la storia e non l’interfaccia. Il giovane Simon di Origins è ancora lontano dal mago sfrontato e cinico che conosciamo. Qual è stata la sfida più difficile nel rappresentare la sua ingenuità senza renderlo banale o caricaturale? C’è un momento del gioco in cui avete sentito di aver davvero centrato il suo tono? In realtà il nostro Simon è molto più vicino al vecchio di quanto si possa pensare. Il Simon originale era, in fondo, un modo per raccontare adolescenti ribelli verso la propria famiglia – e gli sviluppatori dell’epoca lo fecero con i mezzi linguistici e tecnici che avevano. Noi abbiamo approfondito moltissimo questo aspetto: il nostro Simon è un adolescente che vuole dimostrare di valere, di trovare il proprio posto nel mondo, e lo farà a modo suo. Ci siamo concentrati su questa tematica, rendendolo estremamente fedele allo spirito del passato, ma più complesso e sfaccettato. Le avventure punta e clicca hanno sempre avuto una forte dimensione testuale. Avete mai sperimentato, anche solo internamente, approcci più visivi o cinematografici per dare ritmo alla narrazione? E, se sì, quali avete deciso di mantenere? Assolutamente sì, anche se non partendo dal passato, ma cercando un mash-up tra gli anni ’90 e l’attualità. Volevamo un comparto visivo che rendesse omaggio all’epoca, ma senza ricorrere alla pixel art. Abbiamo optato per uno stile cartoon, come se fosse disegnato oggi. Questo ci ha permesso di valorizzare moltissimo la parte recitativa: Simon è, in fondo, un racconto in cui gli aspetti teatrali e comportamentali del personaggio – le espressioni, i gesti, i modi di fare – diventano parte integrante della narrazione e persino dei puzzle. È un titolo fortemente basato sulla cinematografia. Lavorare con un’IP storica come Simon the Sorcerer comporta inevitabilmente vincoli, licenze, approvazioni e aspettative. C’è stato un momento in cui vi siete sentiti bloccati dal peso del passato? E come siete riusciti a trasformarlo in una risorsa creativa invece che in un limite? No, non ci siamo mai sentiti bloccati. È stato un onore ottenere la licenza: il processo è stato complesso, perché coinvolgeva molte proprietà intellettuali e diversi soggetti. Personalmente volevo riportare figure come Chris Barrie ed Erik Borner (i voice actor originali della saga) e ottenere musiche d’impatto che rispettassero il livello del titolo originale. In realtà, tutto questo non è stato un ostacolo, ma uno stimolo: ci ha spinto a riunire elementi e persone del passato per creare un gioco forte e coerente con gli obiettivi che ci eravamo posti. Siamo arrivati al 2025 con i risultati che avevamo immaginato già nel 2020. Spesso nei giochi d’avventura il tono ironico serve a mascherare temi più cupi o malinconici. Avete esplorato anche lati più seri o introspettivi della storia, magari legati al senso di appartenenza o al passaggio all’età adulta di Simon? In realtà Simon non è ancora adulto, perché Origins è un prequel ambientato poche settimane prima del primo capitolo del 1993. È lo stesso Simon, solo leggermente più giovane. Abbiamo però approfondito molto il suo lato umano: tutta l’avventura nasconde una velata nostalgia e la volontà di questo ragazzo, pieno di problemi, di sentirsi parte di un gruppo, della società, di essere qualcuno di valore. È una dimensione “vellutata”, nascosta sotto la superficie ironica del gioco, che emerge attraverso i suoi modi irriverenti: una forma di reazione tipica degli adolescenti, che spesso si mostrano rabbiosi per nascondere fragilità più profonde. Tutta la storia ruota attorno a questo, al rapporto – prima vicino, poi distante – tra un figlio e sua madre. Negli ultimi anni molti giochi narrativi hanno cercato di adattarsi ai social e agli streamer, con puzzle più brevi e un ritmo più veloce. In Origins avete mai discusso internamente di come rendere il gioco “streamer-friendly” o avete scelto consapevolmente di restare fedeli alla lentezza contemplativa del genere? No, abbiamo realizzato esattamente il gioco che volevamo, senza nessuna influenza esterna. Anzi, seguire le tendenze ci avrebbe portato verso scelte stilistiche e ritmiche molto diverse. Noi avevamo un’idea chiara di cosa volessimo ottenere e di dove posizionare il gameplay: un titolo che onorasse il passato ma si presentasse in modo moderno e coerente con il 2025. Abbiamo lavorato in modo molto concentrato, senza lasciarci condizionare da ciò che facevano gli altri, neanche dai titoli più blasonati. Se doveste definire con una sola parola ciò che Simon the Sorcerer: Origins aggiunge all’eredità della saga, quale sarebbe e perché? “Emozioni.” È un titolo letteralmente emozionante: si passa da momenti esilaranti, in cui si ride di gusto – a volte anche in modo inaspettato, grazie alla rottura della quarta parete o alle battute di Simon – a momenti profondi, che commuovono. Il finale, in particolare, è molto importante: chiude un cerchio narrativo e abbraccia una gamma di emozioni tipiche dell’adolescenza, vissute con intensità estrema – rabbia, passione, malinconia. Abbiamo cercato di trasportare tutto questo nella storia di Simon. L'articolo Simon The Sorcerer: Origins – l’intervista a Massimiliano Calamai, fondatore di Smallthing Studios proviene da Il Fatto Quotidiano.
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ARC Raiders, quando stile e accessibilità fanno la differenza
ARC Raiders arriva in un momento in cui gli extraction shooter sembrano voler dimostrare chi è il più punitivo. Embark Studios sceglie un’altra strada. Costruisce un mondo credibile, un’azione intensa e un ritmo che mette al centro il giocatore invece della fatica. È un titolo che non cerca di schiacciare, ma di coinvolgere. E ci riesce grazie a un’estetica forte e a un gameplay che dà spazio sia ai nuovi arrivati sia a chi vuole tensione senza frustrazione. Il risultato è un gioco che ha una propria identità e che si distingue per atmosfera, fluidità e un livello di difficoltà studiato per non annoiare mai. Un equilibrio non scontato e raramente reperibile in altri titoli. Un mondo che vive di dettagli La prima cosa che colpisce è l’estetica. ARC Raiders si svolge in un futuro post apocalittico, invaso da macchine ostili (gli ARC), ma non si tratta della solita ambientazione sci-fi. Qui tutto ha una storia dal retrogusto malinconico: torri spezzate, installazioni metalliche coperte di ruggine, strade abbandonate da anni, droni che sorvolano cieli ormai senza presenza umana. La sensazione è quella di un mondo stanco, ma non morto. È un luogo che parla anche quando non succede nulla. La base sotterranea, Speranza, non è un hub esplorabile. È un punto operativo essenziale dove raccogli missioni, gestisci l’equipaggiamento, crafti ciò che ti serve e prepari la prossima incursione. Anche senza la libertà di movimento, comunica bene l’identità del mondo. Le interfacce, gli npc, i pannelli di comando e il sottofondo metallico delle macchine raccontano la vita dei Raiders in modo diretto. Tutto è funzionale, compatto, costruito per essere un rifugio più che un luogo da vivere. Ogni ritorno dopo un raid è un promemoria della fragilità di questa struttura e del motivo per cui si continua a salire in superficie: mantenere Speranza in piedi. E questo è importante: Embark non ha usato l’Intelligenza Artificiale per generare asset, scenari o modelli. Ogni ambiente è pensato e creato a mano dagli sviluppatori: ciò mantiene forte la direzione artistica e fa sì che ogni luogo sembri parte di una visione precisa. Raid dinamici e ritmati Una volta in superficie, il gioco entra nel vivo. Il ciclo è chiaro: entri, cerchi risorse, combatti, eviti altre squadre oppure provi a collaborare per abbattere dei nemici a dir poco giganteschi. Insomma, decidi quando rischiare e quando scappare. La struttura è familiare, ma qui funziona grazie a un ritmo più umano. Puoi esplorare senza sentirti schiacciato, puoi osservare, ascoltare e scegliere. Ogni area offre motivi per spingersi un po’ oltre, ma non ti spinge a corse disperate fin dal primo minuto. Gli incontri con altre squadre sono il cuore della tensione. Non sai mai se scapperanno, se cercheranno di ignorarti, se collaboreranno con te o se ti attaccheranno mentre combatti un gruppo di ARC. Questi momenti creano storie spontanee che rendono ogni raid diverso dal precedente e ricordi memorabili di scontri contro ARC giganteschi come la Regina. Nemici che si muovono come creature reali Una delle parti più riuscite riguarda i nemici. Non sono semplici robot scriptati. Alcuni droni più complessi si muovono con un realismo sorprendente. Se subiscono danni, reagiscono. Perdono equilibrio, cambiano postura, tentano di stabilizzarsi. Non seguono un’animazione prestabilita. Sembra che “sentano” il colpo. Questo accade perché Embark ha usato tecniche di machine learning per la locomozione delle unità. Non parliamo di IA creativa, ma di sistemi che insegnano ai robot a camminare, bilanciarsi e muoversi in modo naturale. È una scelta che aggiunge molto all’immersione. Durante gli scontri non si ha infatti mai la sensazione di affrontare pupazzi meccanici limitati in aree designate: sono macchine vive, imprevedibili, e fanno paura. IA sì, IA no: cosa c’è davvero nel gioco L’intelligenza artificiale in ARC Raiders è stata usata con precisione chirurgica. Embark l’ha impiegata dove può davvero fare la differenza senza intaccare la direzione creativa. La parte più visibile è la locomozione dei nemici più complessi. Alcune unità robotiche non si muovono seguendo semplici animazioni preconfezionate. Reagiscono agli urti, perdono equilibrio, cercano di ristabilizzarsi e si adattano al terreno in modo naturale. Questo accade grazie a sistemi di machine learning che addestrano i modelli a gestire peso, slancio e movimento come farebbe una creatura reale. Durante gli scontri si nota subito: non sembrano marionette, ma macchine che lottano per restare in piedi, ma soprattutto per uccidere chiunque rilevino. L’IA interviene anche sul fronte audio, ma in modo meno evidente. Le voci generate sono usate per elementi dinamici come nomi di oggetti, ping e comunicazioni contestuali. Serve a mantenere coerenza anche quando vengono aggiunti nuovi contenuti, e consente al team di aggiornare il gioco con più velocità. Nulla, però, sostituisce il lavoro dei doppiatori reali o della scrittura narrativa. Dietro le quinte, alcuni strumenti di IA aiutano a velocizzare compiti ripetitivi, ma non creano asset visivi, non determinano lo stile del gioco e non firmano alcun contenuto artistico. La visione resta completamente umana. Le ambientazioni, i modelli, il mood generale sono frutto del lavoro del team, non di algoritmi generativi. Accessibilità senza perdere profondità ARC Raiders riesce in qualcosa che molti extraction shooter non considerano: accogliere chi arriva da zero. Qui perdi loot se muori, certo, ma non perdi tutto. Torni sempre con qualcosa. C’è sempre una piccola ricompensa che rende la sconfitta meno frustrante. Anche il crafting è pensato per essere chiaro, non un puzzle di materiali rari o ricette incomprensibili. Questo non significa che il gioco sia superficiale. Significa che costruisce difficoltà in modo intelligente. La tensione resta, ma la barriera d’ingresso si abbassa. È un titolo accessibile anche a chi non ha mai provato un extraction shooter, ma ne ha sempre subìto il fascino. Il sistema di progressione funziona bene. Le ricompense arrivano a ritmo costante, la gestione dell’equipaggiamento è intuitiva e la crescita è tangibile. Dopo molte ore spunta una piccola ombra: alcune attività secondarie e alcuni loot tendono a ripetersi. Nulla di grave, ma è il primo settore che potrebbe essere ampliato nei futuri aggiornamenti. Solidità tecnica e cura audiovisiva Dal punto di vista tecnico il gioco è stabile e preciso. Animazioni fluide, effetti visivi potenti, ottimo uso del suono ambientale. Le esplosioni dei droni, i rumori metallici, l’eco delle aree sotterranee e la voce della bussola contribuiscono a costruire un’atmosfera convincente. In certi contesti l’audio fa davvero la differenza ed è qui che Embark Studios dimostra esperienza e capacità di sviluppo. Verdetto ARC Raiders è un extraction shooter che prova a cambiare ritmo al genere. Mescola un’estetica sci fi retrò con elementi attuali e l’arte dell “accrocchiare”, azione tattica con un approccio più accogliente, senza rinunciare alla tensione e al rischio che definiscono questo tipo di giochi. L’uso dell’IA è mirato, trasparente e focalizzato sulla tecnica, non sulla creatività. È una scelta che arricchisce l’esperienza invece di indebolirla. Il gioco non è perfetto, e ha margini di miglioramento nella varietà e nella complessità del loop, ma ciò che offre oggi è già notevole. È visivamente memorabile, coinvolgente, più umano nei ritmi rispetto ai concorrenti e tecnicamente solido. 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Assasin’s Creed Shadows: in arrivo un evento crossover che porterà i giocatori nell’universo de l’Attacco dei Giganti
Cosa unisce Assasin’s Creed Shadows, l’ultimo capitolo di una delle saghe videoludiche più famose degli ultimi anni, e l’Attacco dei Giganti, serie manga e anime molto apprezzata dagli appassionati? A partire dal 25 novembre, e per le 3 settimane successive, Ubisoft renderà disponibile un nuovo evento all’interno di Assasin’s Creed Shadow che vedrà i protagonisti del gioco, Naoe e Yasuke, incontrare una donna misteriosa, Ada, e con lei giungere nel mondo di Shingeki no Kyojin – titolo originale del manga di Hajime Isayama, noto a livello globale anche come Attack on Titan – per trovarsi ben presto impegnati in una missione che li poterà ad affrontare nuovi nemici nel tentativo di salvare un amico della donna. L’evento nel suo complesso sarà affrontabile in circa 30minuti. Per scoprire come è nato il tutto, abbiamo avuto l’opportunità di porre alcune domande al team di Ubisoft che ci ha lavorato, nello specifico a Luc Plante, Level Design Director (Quest) per Assassin’s Creed Shadows. Com’è nata l’idea di una collaborazione tra Assassin’s Creed,una delle saghe videoludiche più conosciute dell’era “moderna”, e l’Attacco dei Giganti, uno dei manga più celebri degli ultimi 10-15 anni? Ottima domanda! Assassin’s Creed negli ultimi capitoli ha iniziato ad avvicinarsi ad altri franchise, ma per la prima volta con Shadows non ci limiteremo ad integrare oggetti ed armi di un altro universo. Inizieremo a portare questi altri franchise nel nostro mondo, raccontando storie nuove con contenuti giocabili. Non abbiamo preso alla leggera questa possibilità, abbiamo cercato un universo che potessere essere affine agli interessi dei nostri giocatori, che si potesse integrare nel nostro, ma che al contempo permettesse di avere un effetto sorpresa. L‘Attacco dei Giganti rispondeva perfettamente a tutto ciò; come hai già accennato, entrambi i franchise esistono da più di 15 anni, il timing dell’operazione è stato perfetto e Kodansha – casa editrice del manga – è stato un grande partner nel corso del processo In che modo passeranno i giocatori dal Giappone feudale di Shadows all’ambientazione dal look germanico del mondo di Shingeki no Kyojin? (o quest’ultima non è stata integrata?) C’è tanto materiale da presentare in poco tempo affinchè i giocatori di Assassin’s Creed che non conoscono già l’Attacco dei Giganti possano comprendere il tutto e dargli un senso. Dunque per noi è stato molto importante che la fusione fra questi due universi fosse senza frizioni e credibile. Abbiamo iniziato con l’introduzione di Ada, un personaggio nuovo ispirato ad AoT, che guiderà Naoe e Yasuke in questo viaggio dal giappone all’altra realtà. La seguiremo giù “nella tana del coniglio”, impersonando i due protagonisti di Shadows arriveremo letteralmente in una cantina che tramite uno strano sistema di cunicoli porta alla Grotta di Cristallo. Fulcro dell’evento sarà La Grotta di Cristallo, che è anche uno dei luoghi chiave nella storia dell’Attacco dei Giganti. Quanto sarà fedele a quella che gli appassionati dell’opera di Isayama hanno visto prima sul manga e poi nell’anime? Molti di noi qui in Ubisoft siamo grandi fan dell’Attacco dei Giganti! Volevamo omaggiare il lavoro originale, ma al contempo stiamo raccontando una storia nostra, una nostra interpretazione del lavoro di Isayama. Una storia che può avere senso dalla prospettiva di Naoe e Yasuke. Vogliamo che gli appassionati di manga e anime sentano di essere in un luogo familiare, vedendo riprodotta l’iconica struttura della caverna con i suoi cristalli, le sue alte colonne, la verticalità, e dei riferimenti diretti come l’uomo incatenato. Pensiamo invece che i giocatori di AC che non conoscono il materiale originale rimarranno stupiti e speriamo che vorranno saperne di più del manga e dell’anime. Coloro che affronteranno l’evento, cosa possono aspettarsi dal punto di vista del gioco? Utilizzando Naoe e Yasuke, si affideranno esclusivamente alle meccaniche che conoscono già o troveranno qualche funzionalità che possa riportare alla mente gli acrobatici combattimenti del Corpo di Ricerca? L’agilità, la destrezza e gli strumenti di Naoe sono perfetti per il Corpo di Ricerca! La grotta di cristallo – un ambiente completamente nuovo e personalizzato per Assassin’s Creed Shadows – ci ha permesso di sfruttare appieno il potenziale del rampino, dell’assassinio con la kusarigama e della zipline, ottenendo trasversalmente una reminescenza dei dispositivi di manovra tridimensionale – equipaggamento usato nel manga dai soldati impegnati a combattere i Giganti, ndr-. È tutto incentrato su velocità, verticalità e vertigini. Questo ambiente è stato sviluppato per supportare il Parkour 2.0, su cui si basa ad esempio il “back eject”. Per quanto riguarda invece Yasuke, ovviamente le sue capacità di combattimento verranno messe alla prova, ma abbiamo anche una sopresa che siamo sicuri farà felici i fan dei vecchi titoli della serie. Senza troppi spoiler, ci saranno dei Giganti? Potrebbe mai essere l’ “Attacco dei Giganti” senza giganti? ???? Potremmo aspettarci future incursioni di Naoe e Yasuke nel mondo popolato dai giganti? Questa è una domanda a cui non posso rispondere, ma come per tutti i giochi della saga di Assassin’s Creed, amiamo i nostri protagonisti. Siamo sempre felici quando le persone danno una propria interpretazione personale, che sia su altri media o nelle fan fiction. L'articolo Assasin’s Creed Shadows: in arrivo un evento crossover che porterà i giocatori nell’universo de l’Attacco dei Giganti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Playstation, le offerte e gli sconti per il Black Friday
Per la settimana del BlackFriday Sony ha previsto delle interessanti offerte legate alla PlayStation 5, ai suoi accessori ed ai suoi giochi, disponibili sia sul proprio store che sui principali canali offline e online. Una delle offerte più vantaggiose, soprattutto in vista dei regali di natale, è quella sulla PlayStation5 nella sua edizione digitale (quella senza lettore blu-ray), che da un prezzo di listino di 499,99€ passa a 349,99€ con uno sconto di 150€. Su Amazon.it allo stesso prezzo si può trovare la console digitale in una confezione che include FC-26 (“Fifa” per i nostalgici) di EA Sports PLAYSTATION BUNDLE PS5® EDIZIONE DIGITALE - EA SPORTS FC 26 €349,99 Acquista su Amazon Shop Per chi invece non vuole rinunciare ai giochi su disco, la PlayStation 5 in edizione standard è offerta da Sony a 449,99€ con uno sconto di 100€ sul prezzo di listino. Scorrendo tra le offerte di Amazon è possibile optare, senza variazioni di prezzo finale, oltre che per la console da sola anche per un pacchetto con incluso NBA 2K26, ultima release del celebre gioco dedicato al basket, o per un pacchetto dedicato a Fortnite . PLAYSTATION 5 CONSOLE SLIM + NBA 2K26 GAME €449,99 Acquista su Amazon Shop Se siete alla ricerca di un nuovo controller DualSense per la vostra Play5, su Amazon sono disponibili in offerta 4 varianti iper colorate – Starlight Blue , Nova Pink , Sterling Silver e Chroma Teal – con prezzi tra i 54,99€ ed i 59,99€, con uno sconto di circa 20€ sul prezzo standard. Su altri canali è invece possibile trovare in offerta anche in offerta il DualSense Edge a 189,99€ con uno sconto di 30€ sul prezzo di listino CONTROLLER WIRELESS DUALSENSE® – CHROMA TEAL €56,89 Acquista su Amazon Shop In offerta in queste giornate legate al BlackFriday anche altri accessori come il PlayStation VR2 a 349€ (sconto di 100€) e gli auricolari Pulse Explore a 189,99€ invece di 219,99€. Per quanto riguarda i giochi invece, sono disponibili offerte fino al 60%, tra cui vi segnaliamo Horizon: Forbidden West a 29,99€ e Death Stranding 2: On the Beach a 59,99€ NOTA: I prodotti consigliati in questo articolo sono selezionati dalla redazione in piena autonomia editoriale, sulla base delle ricerche degli utenti. Dagli acquisti attraverso i link in questo articolo, invece, potremmo ricevere una commissione L'articolo Playstation, le offerte e gli sconti per il Black Friday proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Simon The Sorcerer Origins: il ritorno tutto italiano del giovane mago in una nuova avventura punta e clicca
Tra le avventure punta e clicca più amate degli anni ’90, Simon The Sorcerer occupa un posto speciale. Nato nel 1993 dalla mente di Simon Woodroffe e pubblicato da Adventure Soft, il gioco entrò nel cuore dei giocatori grazie al suo “british humor” e a una scrittura brillante che ricordava i classici LucasArts. Negli anni, la serie purtroppo cambiò più volte mano e direzione, fino a perdere parte del suo fascino originario. Oggi, a distanza di oltre trent’anni, il giovane mago torna a far parlare di sé con Simon The Sorcerer Origins, sviluppato dagli italiani Smallthing Studios sotto la guida di Massimiliano Calamai. Il titolo non è un sequel, ma un prequel che racconta le origini di Simon e il suo primo incontro con il Mondo Magico. L’obiettivo è chiaro: riportare la serie alle sue radici, recuperando lo spirito scanzonato e l’impianto classico che avevano reso celebre il titolo originale. Un vero ritorno alle origini Il primo Simon The Sorcerer si impose come una delle avventure grafiche più riuscite della sua epoca, erede spirituale dei grandi classici LucasArts ma dotata di una personalità tutta sua. La combinazione di enigmi intelligenti, scrittura pungente e un umorismo inglese al tempo stesso surreale e irresistibile contribuì a renderlo un titolo di culto, capace di catturare un’intera generazione di giocatori. Col passare degli anni, però, la serie smarrì la sua rotta. I tentativi di aggiornarla ai gusti moderni — tra grafica tridimensionale, componenti action e scelte stilistiche poco convincenti — finirono per allontanarla da ciò che la rendeva speciale: la leggerezza, il ritmo dei dialoghi e la qualità degli enigmi. L’identità di Simon, con il suo sarcasmo e il suo modo disincantato di affrontare la magia, si era progressivamente diluita. Simon The Sorcerer Origins nasce probabilmente come risposta a quella deriva. Smallthing Studios ha deciso di compiere un passo indietro per farne uno in avanti: recuperare la formula originale e riportarla in vita con sensibilità moderna. Via gli elementi superflui, via il 3D, via l’azione forzata. Al loro posto, il ritorno al “punta e clicca” classico, fondato su esplorazione, dialoghi, oggetti da combinare e situazioni da risolvere con logica e ironia. Il risultato è un titolo che non si limita a citare il passato, ma lo riattualizza: rispettoso delle sue radici, ma pensato per essere godibile anche da chi scopre oggi l’universo di Simon. Un mago riluttante e pieno di carattere La storia segue un giovane Simon ancora ignaro del suo destino. Trasferitosi da poco in una nuova casa, finisce per caso nel Mondo Magico, dove dovrà cercare un modo per tornare indietro tra incantesimi, profezie e maghi pasticcioni. Il tono resta ironico e leggero, ma la scrittura di Origins si distingue nettamente rispetto ai capitoli tedeschi: dialoghi frizzanti, citazioni intelligenti e un umorismo ben calibrato rendono la narrazione un vero punto di forza. Nonostante l’atmosfera scanzonata, il gioco non è affatto semplice. Dopo una prima parte introduttiva, la difficoltà cresce rapidamente grazie a meccaniche che permettono di modificare gli oggetti con diversi cappelli magici, moltiplicando le combinazioni possibili. Gli enigmi sono vari e ben costruiti, capaci di stimolare anche i veterani del genere. Il sistema di interazione è chiaro e intuitivo, con i punti attivi sempre evidenziabili tramite un tasto dedicato. Qualche piccolo rallentamento si nota, come l’obbligo di usare certi oggetti direttamente su Simon invece che dall’inventario, ma si tratta di dettagli. L’unica vera mancanza è un sistema di suggerimenti integrato, che avrebbe potuto alleggerire la seconda metà del gioco, dove gli enigmi si fanno più complessi. Una scelta consapevole, comunque, che lascia al giocatore il piacere – o la frustrazione – di cavarsela da solo. Un design affascinante ma a volte ostinato Come in molte avventure grafiche dal sapore classico, Simon The Sorcerer Origins non è privo di rigidità strutturali. Alcune situazioni rivelano un design un po’ troppo legato alle logiche di vent’anni fa, dove la soluzione di un enigma non dipende tanto dall’intuizione del giocatore quanto dall’aver “sbloccato” la giusta sequenza di dialoghi. Capita, ad esempio, di sapere perfettamente come procedere – quale oggetto usare o dove intervenire – ma di non poterlo fare finché Simon non ha parlato con un determinato personaggio o non ha esaurito tutte le linee di dialogo disponibili. Questo porta a momenti di frustrazione, soprattutto quando la connessione tra la conversazione e il puzzle risulta poco evidente. È una sensazione familiare a chi ha vissuto l’epoca d’oro delle avventure punta e clicca, ma oggi può suonare come un limite evitabile. A volte, inoltre, per ottenere un’informazione cruciale bisogna esaminare più volte lo stesso oggetto o ripetere un’azione già compiuta. Non è un difetto grave, ma interrompe il ritmo dell’avventura e può dare la sensazione che il gioco stia trattenendo il giocatore artificialmente, invece di ricompensarlo per la sua logica o la sua curiosità. È un tipo di design che punta più a replicare la “sensazione d’epoca” che a modernizzare davvero l’esperienza. Detto questo, quando il gioco si affida al puro ragionamento e lascia che siano le connessioni logiche a guidare il giocatore, Origins brilla: gli enigmi risultano stimolanti, coerenti e spesso ingegnosi. È nei momenti in cui il gioco si fida dell’intelligenza di chi gioca che riesce a dare il meglio di sé. Un’arte che profuma di pennello Dal punto di vista artistico, Simon The Sorcerer Origins è una piccola gemma. Lo stile cartoon disegnato a mano richiama immediatamente l’estetica delle avventure anni ’90, ma la rielabora con una sensibilità moderna. Ogni schermata è curata nei dettagli: le luci calde delle taverne, le sfumature dei boschi incantati, le texture delicate dei libri e delle pozioni. Tutto trasmette la sensazione di trovarsi dentro un’illustrazione viva, in cui ogni elemento è stato tracciato con precisione e affetto. La direzione artistica non punta al realismo, ma a costruire un mondo coerente e riconoscibile, in cui ogni ambientazione riflette lo spirito ironico e surreale della serie. Alcune animazioni sono semplificate, e si nota l’uso di piccoli espedienti per mascherare certi limiti tecnici – come mettere Simon davanti agli oggetti per evitare animazioni complesse – ma la resa complessiva è calda e accogliente, come un disegno su carta che prende vita. È uno stile che si fa ricordare e che restituisce al genere quell’identità artigianale che oggi si vede sempre più di rado. Conclusione Simon The Sorcerer Origins è un ritorno riuscito, capace di riportare in vita un’icona dell’avventura grafica con rispetto e intelligenza. Smallthing Studios ha centrato l’obiettivo: restituire a Simon il suo spirito originale senza rinunciare a una presentazione moderna. Non è un gioco perfetto – e qualche rigidità nel design si fa sentire – ma è onesto, ben scritto e, soprattutto, realizzato con passione. Un titolo che parla ai nostalgici, ma che può ancora insegnare qualcosa ai nuovi arrivati su cosa significhi davvero un’avventura punta e clicca. 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