“Non sono un barbone come scrivono i tabloid inglesi”. Kevin Spacey è apparso in
un video pubblicato su Instagram per rettificare il titolo di un articolo
pubblicato sul Telegraph (ripreso da moltissimi media tra cui il
FattoQuotidiano) e rassicurare i suoi numerosissimi fan. In un articolo del 19
novembre Spacey aveva dichiarato: “Vivo in hotel, vivo in Airbnb, vado dove c’è
lavoro”. Ebbene, ha spiegato l’attore due volte premio Oscar, questo non vuole
dire che sia un senza fissa dimora (“homeless” ndr). L’interprete ha detto anche
che non è solito rispondere ai media perché se lo facesse, dovrebbe passare la
maggior parte del tempo a fare solo quello ma di voler spiegare a chi, i
tantissimi, si sono offerti di dare un aiuto o addirittura un alloggio. Spacey
ha elogiato il lavoro del giornalista, ma ha attaccato durante la testata per
aver scelto di “svendere” il lavoro del cronista “consapevolmente con un titolo
fuorviante per il gusto di fare click”.
“Alla luce dei recenti articoli che affermano che sono senza fissa dimora, sento
il bisogno di rispondere non alla stampa, ma alle migliaia di persone che mi
hanno contattato negli ultimi giorni, offrendomi un posto dove stare o
semplicemente chiedendomi se sto bene”. Spacey, oramai finito sotto la lente
mediatica per ogni sospiro dai tempi delle accuse di molestie e violenze (per
ora tutti i procedimenti legali più importanti sono finiti con delle assoluzioni
ndr), ha voluto ringraziare prima di tutto i fan: “Lasciatemi dire che sono
davvero commosso dalla vostra generosità, punto e basta. Mi sembra però
disonesto da parte mia farvi credere che io sia davvero un senzatetto, nel senso
colloquiale del termine”.
In pratica, sottolinea Spacey, “nella mia conversazione con Mick Brown, il
meraviglioso giornalista… ho detto che fondamentalmente vivevo in hotel e Airbnb
e andavo dove c’era lavoro. Proprio come quando ho iniziato la mia carriera in
questo settore, ho lavorato quasi senza sosta per tutto l’anno“. Spacey ha poi
voluto spendere un pensiero affettuoso verso le “tante persone che realmente
vivono per strada, nelle loro auto o in situazioni finanziarie terribili”: “Il
mio cuore è con loro, ma è chiaro dall’articolo stesso del Telegraph che non
sono uno di loro, né stavo cercando di dirlo”.
L'articolo “Non sono un barbone come ha scritto il Telegraph per fare click”, lo
sfogo di Kevin Spacey proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Notte degli Oscar
“Ho detto di no a Spielberg tre volte. Meglio Film Blu di Kieslowski che i
dinosauri”. Risulterebbe un po’ snob, se non fosse per la naturale simpatia che
sprigiona da quel viso semplice, da quel fascino discreto da signora normale.
Juliette Binoche al Torino Film Festival presenta la sua prima regia. Si tratta
di In-I In Motion – tra i titoli in Concorso per il miglior Documentario – dove
vengono mostrati preparativi e versione finale di uno spettacolo di danza del
2007 che vide la Binoche protagonista assieme al danzatore Akram Khan.
Due ore di sudore, fatica, piroette. Una danza eminentemente fisica, con corpi
che non solo si sfiorano ma che si spingono, toccano, plasmano insieme con
veemenza. Inevitabile che in conferenza stampa si affronti proprio il segreto
del cinema: la chimica tra attori in scena oggi regolata sempre più di frequente
da intimacy coordinator. “Un intervento razionale in una situazione che a che
vedere col desiderio non è molto calzante. Capisco comunque dell’esistenza di
questo ruolo a causa di tutti gli errori che sono stati fatti nel passato”,
spiega la 61enne attrice parigina che ha da tempo conquistato non solo il cinema
d’autore europeo ma anche Hollywood.
“Dovrebbe spettare all’attore dire fino a che punto si sente libero di
esprimersi con il proprio corpo e con l’altro attore; e soprattutto andrebbe
valutato se c’è il rischio che il partner in scena o il regista distorcano o
utilizzino in modo non corretto le scene (un riferimento che pare carta carbone
con le vicende di Ultimo tango a Parigi ndr). La situazione ideale sarebbe
quella di girare liberamente una scena, mostrarla agli attori e se sono stati
rispettati consenso e spontaneità si dà l’ok”.
Proprio nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulla
donna, Binoche torna ad affrontare il tema della “forza” maschile e di come
viene esercitata ed interpretata nell’universo femminile: “Siamo abituate come
donne a vedere la rappresentazione del potere come una forza che arriva
dall’esterno. Quando in realtà la forza interiore delle donne è naturale e più
genuina; diamo la vita e la proteggiamo, ce l’abbiamo come struttura genetica a
livello istintivo. Eppure la forza è intesa sempre come qualcosa al maschile.
Tanto che nelle relazioni sentimentali pensiamo di poter ricevere protezione
solo da un uomo. Io stessa per anni ho pensato fosse normale dover trovare un
uomo forte accanto a me, ma è un’illusione, questa figura maschile non esiste”.
Oltre ottanta film all’attivo (“amo Dreyer e La passione di Giovanna D’Arco, ma
anche i film di King Vidor e le interpretazioni di Lillian Gish”), secondo la
leggenda attrice più pagata della storia nel cinema francese, Binoche è comunque
in una fase di cambiamento: “I figli sono andati via di casa. Mi è morto il
gatto. La sofferenza e le chiusure costringono ad aprirsi. Ora del resto mi
sento pronta a fare la regista. Di film di fiction sì. Come artista cerco nuove
sfide. La ripetizione uccide”. Inevitabile quindi si torni a parlare dei grandi
rifiuti della Binoche. A partire dai tre no a Steven Spielberg. “La prima volta
gli dissi di no perché stavo realizzando Gli Amanti del Pont-Neuf, cercavamo
(assieme all’ex Leos Carax, dal quale si separò proprio dopo il film ndr) il
budget per chiuderlo.
La seconda proposta di Spielberg fu per Jurassic Park, ma Kiselowski mi aveva
proposto Film Blu. Lessi lo script di Jurassic Park e la parte che mi voleva
assegnare (quella di Laura Dern ndr) e dissi a Spielberg: avrei fatto volentieri
un dinosauro, ma altro di più stimolante da fare. La terza volta mi chiamò per
Schindler’s list, ma non me la sono sentita. Ero incinta, e il ruolo di una
donna torturata, violentata e uccisa non faceva per me in quel momento. Una
volta ci trovammo a parlare di un suo progetto su Eleonora Duse e Sarah
Bernhardt. Gli dissi che avevo rilevato come lui fosse più interessato a
personaggi maschili che a quelli femminili. Come Scorsese, fanno parte di una
generazione di cineasti appassionati a storie di guerre, di killer, di
violenza”.
L'articolo “Ho detto di no a Spielberg tre volte. Meglio Kieslowski dei
dinosauri”. Juliette Binoche e la libertà di scegliere proviene da Il Fatto
Quotidiano.