Cinque colpi in faccia sparati da trenta centimetri di distanza: così moriva il
23 febbraio 2000 Nicola Vivaldo, trafficante di droga, secondo i magistrati,
vicino alla cosca Gallace di Guardavalle e alla locale di ‘ndrangheta di Rho in
provincia di Milano. Venticinque anni dopo il pm della Dda lombarda Alessandra
Cerreti e il Nucleo investigativo dei carabinieri di via Moscova agli ordini del
colonnello Antonio Coppola, hanno chiuso il caso sull’esecuzione mafiosa
avvenuta a Mazzo di Rho in via Balzarotti con sei arresti eclatanti e un movente
chiaro: Vivaldo, pur vicino alla ‘ndrangheta, era accusato dai boss di essere un
confidente dei carabinieri, tanto da aver fatto arrestare, secondo la
ricostruzione della Procura, il latitante Francesco Aloi, genero di Vincenzo
Gallace. La misura cautelare firmata dal gip Tommaso Perna che in una prima
versione del luglio scorso l’aveva rigettata, riguarda il capo della potente
cosca di Guardavalle Vincenzo Gallace e con lui il fratello Bruno, accusato di
aver fornito le pistole per l’omicidio. Misura, quella per Vincenzo, consegnata
in carcere al 41 bis, come al carcere duro sta il secondo destinatario: Vincenzo
Rispoli, boss della locale di Lonate Pozzolo, già coinvolto nell’inchiesta
Infinito. Esecutore materiale, secondo la Procura, è Massimo Rosi, oggi imputato
nel processo Hydra sul nuovo sistema mafioso lombardo, ed erede di Rispoli
(anche lui imputato) nella gestione della locale. Carcere per omicidio aggravato
dall’aver favorito la mafia, anche per Stefano Sanfilippo, già capo della locale
di Rho, grande amico di Vivaldo nonché padrino di battesimo del figlio che
informò il commando mafioso degli spostamenti della vittima. Commando di cui
faceva parte Stefano S. e soprattutto Emanuele De Castro, già viceré della
‘ndrangheta nel Varesotto, braccio destro di Rispoli e poi collaboratore di
giustizia. Sono infatti le sue parole che danno benzina all’inchiesta, i cui
atti da ieri sono stati depositati nel maxi-processo sul consorzio mafioso tra
Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra romana. Metterà a verbale De Castro nel 2019:
“Ho saputo che le dritte gliele aveva date Stefano Sanfilippo. Riguardo al
movente, mi fu detto che questo qua era un confidente. E tra l’altro l’omicidio
partiva da Guardavalle, dai Gallace. Che Vivaldo fosse un confidente lo appresi
da Rispoli”. Della volontà dei Gallace di uccidere Vivaldo, spiegherà il
collaboratore, era stato informato anche Carmelo Novella, all’epoca capo del
mandamento lombardo e fautore di un’autonomia importante dalla Calabria. Una
scelta scissionista che otto anni dopo, nel 2008, gli costò la vita, su mandato
anche dello stesso Vincenzo Gallace e per mano del poi pentito Antonino Belnome.
“Con Nunzio Novella – dice De Castro – ci arrivò questa ambasciata. Nunzio lo
disse a Massimo Rosi”. L’omicidio dunque è deciso. De Castro recupera le armi,
due calibro 765 silenziate e una 38, procurate da Bruno Gallace e ritirate
sull’autostrada Milano-Como. Rispoli, che per il pm condivide il pensiero dei
Gallace, si occupa di procurare il gruppo di fuoco. Si sceglie Massimo Rosi,
all’epoca portaborse del boss: “Rispoli – prosegue De Castro – mi disse se
volevo partecipare a questa cosa, perché lui non si fidava tanto di Massimo
Rosi, mi disse: ‘Fammi la cortesia, vai pure tu e partecipa pure tu a sta cosa’.
Perciò vado. Prima di andare di ‘sta cosa ne parlammo anche con Nunzio, con
Carmelo Novella, un giorno mi sembra a casa, ne abbiamo parlato e Carmelo ci
confermò ‘sta cosa che era un confidente, dicevano che era un confidente e che
doveva essere ucciso”.
Nel 1997 Francesco Aloi sarà arrestato latitante a Milano. In quel periodo
frequentava il bar Snoopy di Rho riferibile a Nicola Vivaldo. E dunque, annotano
i carabinieri, “emerge chiaramente che l’arresto derivava da una notizia appresa
da fonte confidenziale”. Nel primo fascicolo sull’omicidio è stato poi
recuperato un appunto di un investigatore che riporta le dichiarazione di un
confidente. Si legge: “E’ successo tutto questo perché Nicola si stava
comportando male … ha fatto arrestare troppe persone”. Non solo, durante il
matrimonio del figlio di Stefano Sanfilippo, quest’ultimo “non guardò né rivolse
lo sguardo a Nicola; anzi i due si scambiarono sguardi di provocazione”.
Così la sera del 23 febbraio 2000, il commando si apposta vicino a casa di
Vivaldo. Su una Golf attendono De Castro, Rosi e Stefano S. “Vedemmo scendere
una persona – dice De Castro – , quando andò via questa persona raggiungemmo
l’auto e, giunti vicino alla portiera, fu Massimo Rosi che sparò due o tre colpi
mentre lui era ancora seduto. Io aprii la porta e basta. Massimo Rosi subito
dopo scappò in macchina, mentre io mi assicurai che fosse morto. Eravamo
entrambi armati. Avevamo due 7.65”. Rosi sparò “da 50 centimetri, mi ricordo io
ho aperto lo sportello, mi ha spostato Rosi con la mano e subito ha sparato.
Parrebbe a bruciapelo, ha messo la mano quasi a bruciapelo perché si è messo
vicino erano attaccati, 50/30 centimetri”. Cinque colpi, quattro a segno e al
volto. Oggi Massimo Rosi si trova in carcere per l’inchiesta Hydra. Per lui la
Procura ha chiesto 20 anni di pena.
In galera si trovava anche nel 2019, quando la notizia del pentimento di De
Castro viene pubblicata sui giornali locali. Intercettato a colloquio dirà: “Se
questo parla, mi fa fare il segno della croce. Se parla questo ci vuole la…”. E
ancora: “Dice un sacco di … poi c’è quello, già arrestano normalmente, adesso li
portano via tutti quanti. Il resto posso immaginarlo che mi ricordo una cosa
(…). Cose che abbiamo fatto una vita insieme (…). Guarda sto bastardio qua”.
Sempre in carcere chiede ai parenti di trovargli un lavoro temporaneo solo per
uscire: “Digli che è una cosa provvisoria mi serve solo per farmi uscire di qui,
poi io me ne vado! Non è che sto là, certo! Tanto me ne sbatto le scatole non è
che ci penso tanto!”. Qualche anno dopo, quando Rosi torna libero e finisce
indagato nel procedimento sul Consorzio mafioso con ruolo di vertice e
rappresentante degli interessi della ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo, fa capire di
volersi dare latitante: “Mia moglie mi fa, stamattina alle sei e mezza, quando
ci siamo alzati, mi fa ‘ma lo sai cosa hai detto nel sonno?’. Che cosa ho detto?
Le ho detto: ‘qualche film’. Mi fa ‘no, che stavi parlando col bastardo di
Emanuele De Castro, adesso dobbiamo raccogliere un po’ di soldi perchè me ne
devo andare’, così parlavo. Io adesso vedo com’è il processo, finché non siamo
persi me ne vado”. Dunque, cerchio chiuso per la Procura. Dopo l’omicidio chi
piange Nicola Vivaldo? Solo la famiglia, perché amici e compari non si fanno più
sentire. Dirà la moglie: “Dopo la morte di mio marito, nessuno degli amici di
Guardavalle di Nicola si è fatto vivo con me e nessuno è venuto al funerale”.
***
Nella foto in alto | A sinistra la capa della Dda di Milano Alessandra Dolci
L'articolo Cold case di ‘ndrangheta, cinque spari per il narcos a Rho: 6 arresti
dopo 25 anni. Nell’inchiesta anche i vertici del Consorzio mafioso in Lombardia
proviene da Il Fatto Quotidiano.