Quanto accaduto in Milan-Lazio – il contestato rigore non concesso all’ultimo
minuto per braccio di Pavlovic – rappresenta un punto davvero basso per i
fischietti italiani. Non tanto per la decisione, tutto sommato corretta. Ma per
come è stata presa: davanti al monitor, l’arbitro Collu si è letteralmente
inventato un fallo in attacco pur di non schierarsi, per non rischiare di
sbagliare o dare torto ai colleghi che l’avevano richiamato al Var. Se avesse
confermato la scelta iniziale tutti gli avrebbero fatto i complimenti. Se avesse
dato il rigore, non sarebbe stato uno scandalo, considerato che comunque si
trattava di un tocco netto e decisivo, per quanto oggettivamente involontario.
Così invece ha preso in giro giocatori, allenatori e milioni di tifosi, facendo
capire che questa classe arbitrale è capziosa e in malafede: pur di difendere se
stessa è pronta anche a dichiarare il falso. Dunque non ha più alcuna
credibilità. E non è la prima volta che lo dimostra.
Formalmente, tutto ciò non ha niente a che fare con quello che sta succedendo
all’Aia in queste settimane. Eppure si fa fatica a non pensare che le tensioni,
gli scandali, le manovre sull’associazione e i loro vertici poi non si
ripercuotano anche sulla serenità in campo degli arbitri. È notizia di qualche
giorno che la procura Figc ha notificato la conclusione delle indagini ad
Antonio Zappi, presidente dell’Aia. Gli vengono contestate presunte pressioni
legate al cambio degli organi tecnici di Serie C e Serie D: per far posto a
Orsato e Braschi – due grandi ex arbitri, che lui appena eletto voleva
coinvolgere nel suo nuovo progetto alla guida dell’Aia – Zappi ha “suggerito” ai
dirigenti in carica (Ciampi e Pizzi) di dimettersi, prospettando loro soluzioni
alternative.
Al di là di alcune stranezze nell’inchiesta (le versioni contrastanti fornite
dal denunciante; il ruolo di Viglione, avvocato e uomo ombra della Figc: a lui,
e non alla Procura, arriva l’esposto, a lui si rivolge Ciampi dopo aver parlato
con Zappi) potremmo interrogarci su dove finisca una consueta, magari non troppo
edificante, modalità di gestione del potere e dove inizi l’illecito, rimettendo
alle istituzioni il verdetto. Questo se la giustizia sportiva fosse una cosa
seria. Siccome invece tutti sappiamo che non lo è (la sua mancanza di autonomia
è una delle ragioni per cui il ministro Abodi dovrebbe affrettarsi a toglierla
una volta per sempre dalle mani delle Federazioni), è forte il sospetto che
anche in questo caso la procura stia agendo come manganello del potere politico,
per togliere di mezzo di Zappi, colpevole sicuramente di aver gestito male certe
situazioni, ma forse anche e soprattutto di essersi messo di traverso alla
Federazione (un film già visto col suo predecessore Trentalange…).
Sarà una casualità, l’inchiesta è entrata nel vivo dopo che il n.1 Aia ha
espresso la sua contrarietà ai progetti di riforma di Gravina. Come noto, la
Figc infatti vorrebbe creare un nuovo soggetto (la cosiddetta PGMOL,
Professional Game Match Officials Limited, sul modello inglese) sotto cui far
confluire l’élite arbitrale, circa 20 fischietti professionisti, quindi
praticamente solo la Serie A: una vera e propria società, con soci la Figc e la
Lega Calcio (non l’Aia), la cui direzione tecnica sarebbe affidata probabilmente
ancora a Gianluca Rocchi, l’attuale designatore, vicino ai vertici federali e
invece ormai in disgrazia all’interno della sua Associazione, dove a fine anno
verrebbe sostituito (anche per sopraggiunti limiti di mandato).
Le tempistiche sembrano intrecciarsi. Zappi, che non ha alcuna intenzione di
dimettersi, probabilmente sarà deferito prima di Natale e poi squalificato ad
inizio 2026, per arrivare all’appello a marzo, in coincidenza con gli spareggi
della nazionale, vero spartiacque per la gestione Gravina: se li supererà
indenne, a quel punto il presidente Figc potrà procedere con le sue riforme
(arbitri e magari anche l’assurda riduzione di promozioni e retrocessioni).
Cambiare tutto, per non cambiare nulla come sempre.
La classe arbitrale italiana ha bisogno davvero di essere azzerata e
ricostruita, ma non così. Rocchi guida gli arbitri italiani da anni (saranno 5
il prossimo giugno) e la sua strapagata gestione è stata disastrosa. Sotto di
lui, che non si è mai preso una responsabilità, si è avuto un netto
peggioramento delle prestazioni, non sono cresciuti fischietti giovani e
affidabili. E se è vero che in campo gli errori non sono suoi – anzi, lui è
sempre bravissimo, a parole col senno di poi –, questi sono il frutto anche di
direttive confuse e di una comunicazione supponente. Di un gruppo che non
esiste, dove ognuno ormai va per conto suo. Questa riforma – che avrebbe come
principale se non unico effetto quello di lasciare al comando uno degli artefici
del disastro – assomiglia tanto ad una restaurazione: togliere autonomia agli
arbitri, per rimetterli sotto il potere politico e di chi dovrebbero dirigere.
Il problema non lo risolverà la FederCalcio. Il problema è (anche) la
FederCalcio.
X: @lVendemiale
L'articolo La mani della Federcalcio sugli arbitri allo sbando: l’indagine sul
capo dell’Aia e le trame di Gravina proviene da Il Fatto Quotidiano.