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Urla in faccia, colpi proibiti e lite con Fabregas: è polemica su Mancini in Roma-Como, “graziato dal rosso”
Prima di tutto c’è la vittoria preziosa della Roma contro il Como, l’ennesimo 1 a 0 della squadra di Gasperini che così aggancia il treno scudetto salendo a quota 30 punti, tre in meno della capolista Inter. Ma nel big match del lunedì sera all’Olimpico uno dei grandi protagonisti è stato Gianluca Mancini, al centro delle polemiche per diversi episodi durante e dopo la partita. Il difensore della Roma è stato protagonista di diversi scontri e battibecchi in campo, tanto da rischiare seriamente l’espulsione per somma di ammonizioni. Dopo il fischio finale, anche una lunga e tesa chiacchierata con Cesc Fabregas: i due hanno discusso animatamente, salvo poi minimizzare il tutto davanti ai microfoni. Il primo episodio che ha visto protagonista Mancini si è verificato al 21esimo del primo tempo: il difensore, in piena trance agonistica, ha dato una spallata a Kempf che stava rincorrendo Wesley sulla fascia, facendolo cadere a terra. Poi si è fermato e ha urlato in faccia al difensore del Como. L’arbitro Feliciani lo ha ripreso, ma senza ammonirlo. Al 58esimo invece è arrivato il giallo per proteste. Mancini però avrebbe dovuto ricevere un secondo cartellino e quindi essere espulso nei minuti finali della sfida: a palla lontana, ha rifilato una spallata in pieno petto a Jacobo Ramon, che in quel momento non lo stava guardando. Un colpo proibito, con la palla lontana 50 metri. Certamente non da rosso diretto e quindi da intervento del Var, ma che se visto in campo dal direttore di gara o da uno dei suoi assistenti avrebbe comportato il secondo giallo. Questa la spiegazione dell’ex arbitro Luca Marelli a Dazn: “Comportamento antisportivo chiaro di Mancini, con un pallone molto lontano è andato diretto sull’uomo. Feliciani non lo stava guardando, il quarto ufficiale era rivolto verso la panchina e solo l’assistente avrebbe potuto vedere l’episodio, ma era distante una trentina di metri. Sarebbe stato cartellino giallo, il secondo per Mancini, ma purtroppo nessuno in campo ha potuto osservarlo“. A fine partita, proprio per via di questo episodio, si è scatenata la discussione animata tra Fabregas e Mancini. Poi, sempre ai microfoni di Dazn, il tecnico del Como ha minimizzato: “Con Mancini non è successo nulla, è stata una chiacchierata: gli ho detto la mia su quello che è successo con Ramon, ho visto tutto, ma con rispetto. Questi ragazzi vedono gli altri come giocatori importanti. Va bene la furbizia, ma è stato un momento passionale”. Il difensore della Roma ha invece commentato: “Io a 20 anni rispettavo di più quelli più grandi, sennò prendevo qualche schiaffo. Gli ho detto di stare calmo, a fine partita succede. Con il mister ci siamo chiariti”. Nessuna polemica da parte di Fabregas sul gol della Roma, che invece ha scatenato la rabbia dei tifosi del Como sui social. La rete di Wesley nasce infatti dall’infortunio di Addai: il cross di Rensch è arrivato mentre l’esterno offensivo del Como era a terra per un problema muscolare (poco dopo è stato sostituito). In molti tra i fan lariani hanno accusato la Roma di antisportività, perché a loro dire avrebbero dovuto mettere palla fuori. “In una circostanza simile, bisognava essere molto onesti. E il 99,9% dei calciatori non si sarebbe fermato”: il commento di Fabregas. L'articolo Urla in faccia, colpi proibiti e lite con Fabregas: è polemica su Mancini in Roma-Como, “graziato dal rosso” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Gianpiero Gasperini
Riunione di crisi, poi la conferma (a tempo) di Vanoli: la Fiorentina ora pensa a una figura forte in società
Resta, Paolo Vanoli. Fino a data da concordarsi. Il 15 dicembre a Firenze è stata come la giornata del Gattopardo: tutto è cambiato perché nulla cambi. Anche se la mattina di lunedì sembrava presagire a qualcosa di molto più grosso. Si è cominciato con una riunione tecnica e strategica al Viola Park, prima del brindisi di Natale che non ha visto presenti due degli attori protagonisti: l’ad Ferrari e il ds Goretti. Erano chiusi in una stanza, i due, per parlare del futuro di Vanoli. E forse di un nuovo inserimento in società. Una figura forte (si vociferava di Prandelli, per ora senza però nessun risvolto) che potesse rasserenare gli animi e permettere alla squadra di uscire dalle secche di una classifica che preoccupa oltre misura. Un garante, insomma. Come è stato Ranieri per la Roma lo scorso anno. Ma questo non è successo. Perché, alla fine, nell’incertezza, Vanoli ha diretto il suo allenamento e soprattutto ha capito, pur senza comunicazioni ufficiali, che sarà lui a dirigere la partita di Conference League contro il Losanna. Poi, si vedrà. La situazione a Firenze resta però decisamente critica. L’allenatore non è riuscito a dare una svolta (la media punti è rimasta uguale al periodo di Pioli: 0.4 a partita) ma soprattutto la squadra sembra aver perso quelle certezze, come De Gea o Kean, che l’anno scorso l’avevano trascinata verso ben altri risultati in campionato e pure in Europa. Per questo, in casa Fiorentina, si sta continuando a valutare un possibile nuovo innesto dirigenziale. Per aiutare Goretti e tutto l’ambiente a trovare il giusto equilibrio sia nello spogliatoio, sia sul mercato, dove più di un’operazione è attesa per risollevare le sorti della rosa. Intanto, una conferma, che sa di smentita: non è previsto l’arrivo di Giuntoli a Firenze. Non è in discussione, non ci sono stati contatti. Le trattative, o meglio le valutazioni, continueranno in questi giorni, anche durante il ritiro della squadra che è stato stabilito fino a data da destinarsi. La crisi in casa Fiorentina è decisamente marcata. Un tunnel dal quale al momento si fatica a trovare la luce, in un ambiente dove si è deciso di non cambiare nulla. Per ora. L'articolo Riunione di crisi, poi la conferma (a tempo) di Vanoli: la Fiorentina ora pensa a una figura forte in società proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Bufera sugli arbitri, il presidente Zappi deferito al Tribunale Figc: la strana inchiesta e le ombre di una manovra politica
Puntuale come aveva previsto Il Fatto, è arrivato prima di Natale il deferimento per il presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, Antonio Zappi : il n.1 dei fischietti è accusato dalla Procura federale di presunte pressioni legate al cambio degli organi tecnici di Serie C e Serie D. Un’inchiesta ad orologeria dietro cui, oltre ad una certa ingenuità del diretto interessato e le solite faide intestine all’Aia, sembra nascondersi l’ennesima manovra politica per mettere le mani sulla classe arbitrale italiana. Dopo essere stato eletto, per far posto a Orsato e Braschi – due grandi ex arbitri, che lui appena eletto voleva coinvolgere nel suo nuovo progetto alla guida dell’Aia – Zappi ha “suggerito” ai dirigenti in carica (Maurizio Ciampi e Alessandro Pizzi) di dimettersi, prospettando loro soluzioni alternative. Questi poi sono diventati i suoi principali accusatori, in un’indagine che presenta diverse stranezze (le versioni contrastanti fornite dal denunciante; il ruolo di Viglione, avvocato e uomo ombra della Figc: a lui, e non alla Procura, arriva l’esposto, a lui si rivolge Ciampi dopo aver parlato con Zappi), e che contesta il solito, fumoso art. 4 del codice di giustizia, quello sulla “lealtà sportiva”. In sede di audizione, Zappi aveva chiesto il patteggiamento, che però è stato rifiutato dal procuratore Chiné. Evidentemente la Federazione punta ad una maxi-squalifica per defenestrare Zappi, un po’ come avvenuto già al tempo con Trentalange, costretto alle dimissioni per lo scandalo del procuratore D’Onofrio e poi assolto in tutte le sedi. Sarà una casualità, l’inchiesta è entrata nel vivo dopo che il n.1 Aia ha espresso la sua contrarietà ai progetti di riforma di Gravina. La Figc vorrebbe creare un nuovo soggetto (la cosiddetta PGMOL, Professional Game Match Officials Limited, sul modello inglese) sotto cui far confluire l’élite arbitrale, circa 20 fischietti professionisti, quindi praticamente solo la Serie A: una vera e propria società, con soci la Figc e la Lega Calcio (non l’Aia), la cui direzione tecnica sarebbe affidata probabilmente ancora a Gianluca Rocchi, l’attuale designatore e principale artefice dello sfacelo arbitrale italiano, vicino ai vertici federali e invece ormai in disgrazia all’interno della sua Associazione, dove a fine anno verrebbe sostituito (anche per sopraggiunti limiti di mandato). Zappi, in quanto presidente della vecchia Aia, è uno degli ultimi ostacoli e con lui fuori dall’associazione la svolta sarebbe più semplice. Nonostante il deferimento, comunque, il presidente Aia non ha alcuna intenzione di mollare. Lo ha fatto capire chiaramente in una comunicazione agli associati, in cui ribadisce “la propria totale estraneità e piena legittimità dell’operato”, e per dimostrarlo si dice pronto a rendere pubblici tutti gli atti dell’inchiesta. “Resta ferma – conclude – la volontà di portare avanti un progetto tecnico fondato sulla qualità, sulla crescita e sulla valorizzazione dell’intero movimento arbitrale”. Questo almeno per il momento. Il tema è quanto riuscirà a resistere Zappi, quando dopo le feste al deferimento seguirà la condanna. A quel punto gli arbitri italiani, che in campo continuano a sbagliare ogni domenica, si ritroveranno pure con un presidente squalificato. Comunque vada, sarà un disastro. X: @lVendemiale L'articolo Bufera sugli arbitri, il presidente Zappi deferito al Tribunale Figc: la strana inchiesta e le ombre di una manovra politica proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Finalmente? Ma se cinque mesi fa ci davano per ottavi o decimi perché eravamo finiti”: anche Chivu si arrabbia
“Siamo consapevoli di quello che stiamo facendo e di quello che vogliamo fare. Le parole che utilizziamo, noi sappiamo cosa vogliono dire”. È entrato in punta di piedi e con il tempo Cristian Chivu si sta già prendendo l’Inter. Lo dimostrano le sue esultanze sfrenate a ogni gol a testimonianza di quanto l’allenatore tenga alla causa, lo dimostrano anche le ultime dichiarazioni pre e post vittoria contro il Genoa. Perché il tecnico ex Parma nel corso di questi mesi ha sempre tenuto un profilo basso, ma senza mai dimenticare le dichiarazioni e le etichette applicate sulla sua Inter. “Stiamo cercando di combattere contro tutte le negatività. Si va avanti con consapevolezza e lavoro. Se nello spogliatoio ci siamo detti ‘finalmente’? Cinque mesi fa dovevamo finire ottavi o decimi perché eravamo finiti, ma noi sappiamo dove siamo”. Chivu si sta togliendo qualche sassolino della scarpa: lo ha fatto già nella conferenza stampa pre Genoa (“Dicevano che eravamo falliti e finiti, ma siamo ancora lì, a metterci tutti la faccia e non era scontato”), lo fa soprattutto adesso che l’Inter è per la prima volta in stagione la capolista solitaria del campionato di Serie A. UN MESE DI FUOCO: L’INTER ADESSO SI GIOCA TANTO Il pareggio del Milan contro il Sassuolo, la sconfitta del Napoli contro l’Udinese e poi la contemporanea vittoria per 1-2 dei nerazzurri (gol di Bisseck e ancora Lautaro Martinez) hanno portato l’Inter a 33 punti, a +1 sui rossoneri e +2 sulla squadra di Antonio Conte, che mostra ancora difficoltà quando c’è di mezzo una gara infrasettimanale. “Bisogna mantenere un po’ di coerenza. Ci aspetta una partita importante a Riyad, non pensiamo ad altro. Nel bene e nel male io sorrido sempre, perché la vita è sempre bella“, ha proseguito Chivu che ora però chiede attenzione e concentrazione ai suoi in una fase importante della stagione. Nel prossimo mese infatti ci si gioca il primo titolo dell’anno (la Supercoppa Italiana), il simbolico titolo di “campione d’inverno” in Serie A e la qualificazione agli ottavi di Champions League, che si è complicata dopo le ultime due beffarde sconfitte contro Atletico Madrid e Liverpool. L'articolo “Finalmente? Ma se cinque mesi fa ci davano per ottavi o decimi perché eravamo finiti”: anche Chivu si arrabbia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Juve, come sei caduta in basso: l’offerta di Thether è l’ultima mancanza di rispetto verso la Vecchia Signora
C’era una volta la Juventus. Istituzione, egemonia sul calcio italiano. C’era una volta e non c’è più perché oggi di quel potere intoccabile, non solo metaforicamente, rimane poco o niente. Sul mercato è una squadra con scarso appeal, che attira solo giocatori di seconda fascia. Le rivali dirette per il quarto posto si chiamano Como, Bologna, Roma e oggi tutti scendono in campo convinti di poterla battere o comunque giocarsela alla pari, quando c’è stato un momento in cui le avversarie quasi non si presentavano allo Stadium. Anche gli arbitri hanno finalmente dismesso la famosa sudditanza che per anni ha segnato la Serie A. Insomma, nessuno sembra più rispettare la vecchia signora. E l’offerta di Thether ne è l’ultima dimostrazione. Il particolare momento storico dei bianconeri va al di là della mediocrità dei risultati sportivi: la stagione non è compromessa, come dimostra anche la fondamentale vittoria a Bologna; è difficile pensare che possa regalare grandi soddisfazioni ma si può ancora salvare, centrando i primi quattro posti da cui dipende la qualificazione in Champions. La notizia della settimana però è la proposta d’acquisto di Thether. O meglio lo sarebbe stata, se l’offerta non fosse troppo ridicola, a tratti quasi grottesca, per essere vera. Ci sono diversi motivi per cui Elkann non avrebbe mai potuto prenderla sul serio, e infatti non l’ha fatto. Uno, per la valutazione: offrendo 725 milioni per il 65,4% di Exor, Thether ha valutato il club 1,1 miliardi, 1,4 compresi i debiti. È vero che il prezzo per azione è superiore a quello attuale in Borsa (2,66 euro invece di 2,2), ma parliamo del club più importante d’Italia, con una fanbase di milioni di tifosi e un impianto di proprietà. Se il Milan è stato venduto a 1,2 miliardi di euro, la Juve ne vale sicuramente di più. Poi ci sono tempistiche e modalità della proposta. Arrivata nel bel mezzo della trattativa per la cessione del gruppo Gedi, ed è impensabile che Exor possa concludere contemporaneamente due partite così delicate: equivarrebbe ad una fuga precipitosa dall’Italia, e invece alla famiglia Agnelli sono sempre piaciute le cose ordinate (almeno per le apparenze). Thether aveva dato una settimana di tempo per accettare, Exor ci ha messo ancora meno per rifiutare. Vedremo se il comunicato di John Elkann ha messo un punto alla vicenda o ci saranno sviluppi. Quel che è certo è che dieci anni fa, o anche solo cinque anni fa, quando la Juventus era la vera Juventus, una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere. Un’offerta irricevibile, presentata da un socio di minoranza opaco e sempre più ostile, per approfittare della situazione della società, manco fosse sul mercato alla disperata ricerca di un compratore, o peggio ancora soltanto per farsi pubblicità sulle spalle del club. Nel recente passato è successo all’Inter e Milan in banter era, ai tempi di Thohir e Yonghong Li, mai ai bianconeri. Fino ad oggi. La dice lunga su quanto in basso sia sprofondata la Juventus. Senza entrare nel merito di chi siano Devasini e Ardoino, delle ombre che aleggiano intorno al loro business e che sono state più volte raccontate dal Fatto. Senza tantomeno riabilitare la famiglia Agnelli/Elkann, ciò ha fatto in Italia e nel calcio italiano. Guardandola solo con gli occhi del tifoso juventino, chi oggi si augura la cessione (e sono in tanti) dovrebbe interrogarsi su cosa vorrebbe dire passare dalle mani di Exor a quelle di Thether. Da uno dei più potenti gruppi italiani (benché il legame con l’Italia sia quasi completamente dissolto, e proprio la Juve rischia di rimanerne l’ultimo lembo) a una società di stablecoin con sede legale a El Salvador. Certo, la recente gestione Elkann è stata fallimentare (anche se le vedove di Andrea Agnelli dovrebbero ricordarsi chi ha ridotto la società in queste condizioni, tra bilanci fuori controllo, plusvalenze fittizie e penalizzazioni). I tempi dell’egemonia bianconera probabilmente sono finiti, il nuovo piano industriale si basa sull’autofinanziamento e non fa sognare i tifosi. Ma anche così, con tutti questi limiti e paletti, la Juventus rimane la squadra con maggiori mezzi a disposizione in Serie A, con la proprietà più solida. Magari un giorno Exor venderà davvero la Juventus, perché l’operazione di pulizia dei conti che è stata la priorità del mandato prima di Giuntoli e ora di Comolli (ben più dell’aspetto sportivo) potrebbe essere propedeutica a una cessione. Però un conto è finire nelle mani di Bin Salman (altra indiscrezione non confermata delle ultime ore), un conto di Thether o di chi per lui. Come si dice in questi casi: si sa quel che si lascia, non quel che si trova. X: @lVendemiale L'articolo Juve, come sei caduta in basso: l’offerta di Thether è l’ultima mancanza di rispetto verso la Vecchia Signora proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“È la vittoria più importante da quando sono qui”: perché Spalletti è così felice della sua Juventus (e cosa ancora non va)
“Sicuramente è la vittoria più bella e importante da quando alleno la Juventus, perché affrontavamo una squadra con un valore e una forza definiti, che ha entusiasmo, costruita bene”. A parlare è Luciano Spalletti dopo il successo della sua Juve per 0-1 sul campo del Bologna grazie al gol di Juan Cabal. Una vittoria fondamentale per più motivi: per la classifica in primis, per il morale, per dare continuità in trasferta, per ritrovare serenità dopo le questioni extra campo degli ultimi giorni, con l’offerta di Tether Investments per rilevare il club e il “no” secco di Exor. Perché con questi tre punti la Juventus rivede il quarto posto (-1 dalla Roma, che però giocherà questa sera, 15 dicembre, contro il Como) e ottiene la quinta vittoria in sei partite tra tutte le competizioni. Unica sconfitta: quella per 2-1 sul campo del Napoli. “Questa sera ai ragazzi ho detto ‘bravi veramente’. Avevo visto delle cose fatte bene durante gli allenamenti, soprattutto in questa settimana li avevo trovati energici e reattivi. C’era bisogno di una prestazione che desse tranquillità”, ha spiegato Spalletti. Una vittoria che ha senza dubbio un gusto diverso da quella ottenuta in Champions League contro il Pafos, in cui Spalletti era stato parecchio critico nei confronti della sua squadra: “In alcuni momenti abbiamo fatto proprio il minimo, ci sono state anche delle situazioni imbarazzanti nel primo tempo”, aveva dichiarato il tecnico. Adesso invece è felice della prova dei suoi, dell’approccio, della gestione e della solidità mostrata. LE NOTE LIETE Non ci sono soltanto vittoria e clean sheet tra le note liete dello 0-1 di Bologna per Luciano Spalletti. Ci sono anche le prestazioni di alcuni singoli: partendo dall’uomo partita Juan Cabal, che è entrato, ha fatto gol e poi galvanizzato dalla situazione ha tirato fuori una super prestazione. E ancora il ritorno di Gleison Bremer: il difensore non giocava dal 27 settembre per infortunio, è tornato in campo per circa 20 minuti ed è sicuramente il recupero più importante in casa Juve. Lo è per diversi motivi: per il valore del giocatore in primis, ovviamente. Ma anche perché Bremer è quel centrale che Spalletti aspettava per attuare una rivoluzione e passare alla difesa a quattro, nei suoi pensieri sin da quando è arrivato. E poi c’è Lois Openda, che da subentrato ha tirato fuori forse la sua miglior prestazione stagionale: “Openda l’ho visto molto bene e anche in questo caso bisogna sottolineare la prestazione. Lui è un calciatore differente da David, ha i 60 metri di strappo fatti di potenza pura”. LE NOTE NEGATIVE C’è però ancora qualcosa da aggiustare. Partendo da Jonathan David: l’attaccante canadese non riesce a trovare continuità e anche contro il Bologna è stato un corpo estraneo, con una prestazione decisamente insufficiente. “È uno che lega il gioco e a volte mi sembra più una seconda punta che una prima punta, proprio per questa sua capacità”, ha spiegato Spalletti. David, ma anche Andrea Cambiaso che è stato sostituito da Juan Cabal dopo un’altra prestazione negativa. Tassello dopo tassello però adesso Luciano Spalletti comincia a intravedere la “sua” Juve. L'articolo “È la vittoria più importante da quando sono qui”: perché Spalletti è così felice della sua Juventus (e cosa ancora non va) proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Cade il Napoli, frena il Milan: così l’Inter è in testa alla Serie A con “soli” 33 punti, come dieci anni fa
Ogni tanto date e numeri giocano a intrecciare presente e passato. Quest’anno in vetta alla Serie A si procede a rilento: nessuna delle pretendenti allo scudetto finora ha mostrato la solidità necessaria per tenere un passo costante. Tutte inciampino, a fasi alterne: questa domenica è toccato al Milan, frenato in casa dal Sassuolo, e al Napoli, caduto a Udine. Ne ha approfittato l’Inter, tornata alla vittoria a Marassi con un 2 a 1 sofferto contro il Genoa. Oggi i nerazzurri si godono così la vetta della Serie A: ci erano già arrivati all’undicesima giornata, ma in coabitazione con la Roma. Ora invece la squadra di Chivu è in testa da sola con 33 punti. Dopo 15 giornate, nell’ultimo decennio mai erano bastati così “pochi” punti per essere in cima alla classifica della Serie A. Un anno fa in realtà la situazione non era molto diversa: in testa c’era l’Atalanta a 34 punti, virtualmente insieme alla Fiorentina (i viola avevano una partita in meno, avrebbero poi vinto a gennaio il recupero contro l’Inter). Un dato che meriterebbe una riflessione a parte, se si pensa alla situazione attuale dei bergamaschi ma soprattutto della Fiorentina, desolatamente ultima in classifica, con di fatto 28 punti in meno rispetto alla passata stagione. L’Inter invece rispetto a un anno fa ha due punti in più, mentre il Napoli nonostante la campagna acquisti ma con l’impegno Champions sta praticamente replicando lo stesso campionato finora: adesso ha 31 punti, nel 2024 ne aveva 32. Certo per Antonio Conte pesa la sconfitta in trasferta contro l’Udinese, la settima complessiva stagionale. Il Milan invece ha esattamente 10 punti in più rispetto a un anno fa: è una parziale consolazione dopo il 2 a 2 in casa contro il Sassuolo. Ogni squadra ha le sue giustificazioni per i vari passi falsi. La realtà è che, come appunto accaduto anche l’anno scorso, finora non sta emergendo una dominatrice del campionato. Nella stagioni precedenti, dopo 15 partite, la squadra in vetta aveva già preso un ritmo importante (vedi elenco in basso). Si va dal massimo dei 43 punti della Juventus nel 2018/19 fino ai 36 del Napoli nel 2021/22, quando poi vinse il Milan lo scudetto al fotofinish contro l’Inter. Per ritrovare una squadra da sola in vetta alla classifica con 33 punti dopo 15 giornate bisogna tornare indietro di esattamente dieci anni, alla stagione 2015/16. In vetta allora c’era sempre l’Inter, ma guidata da Roberto Mancini. Subito dietro Fiorentina e Napoli. I nerazzurri non erano una squadra costruita per vincere, venivano da stagioni drammatiche e infatti crollarono a metà campionato, chiudendo al quarto posto (fuori dalla zona Champions) con appena 67 punti. Quel campionato lo vinse la Juventus di Allegri, che aveva cominciato malissimo la stagione e dopo 15 giornate aveva appena 27 punti. I bianconeri furono protagonisti di una rimonta-record suggellata da 24 vittorie in 25 partite. L’attuale Juve di Spalletti è a quota 26 punti dopo la vittoria con il Bologna, ma non sembra sinceramente in grado di ripetere un’impresa di quella portata. La Juve vinse quello scudetto di un decennio fa con 91 punti, mentre un anno fa al Napoli ne bastarono 82. Cosa accadrà quest’anno dipenderà dalle squadre adesso in vetta. Da oggi tocca all’Inter provare a prendere il largo. LA CAPOLISTA DELLA SERIE A DOPO 15 GIORNATE 2025/2026: Inter 33 2024/2025: Atalanta (e Fiorentina) 34 2023/2024: Inter 38 2022/2023: Napoli 41 2021/2022: Napoli 36 2020/2021: Milan 37 2019/2020: Inter 38 2018/2019: Juventus 43 2017/2018: Inter 39 2016/2017: Juventus 36 2015/2016: Inter 33 LA NUOVA CLASSIFICA DELLA SERIE A 1. Inter 33 2. Milan 32 3. Napoli 31 4. Roma 27 (una partita in meno) 5. Juventus 26 6. Bologna 25 7. Como 24 (una partita in meno) 8. Lazio 22 9. Sassuolo 21 10. Udinese 21 11. Cremonese 20 12. Atalanta 19 13. Torino 17 14. Lecce 16 15. Cagliari 14 16. Genoa 14 17. Parma 14 18. Verona 12 19. Pisa 10 20. Fiorentina 6 L'articolo Cade il Napoli, frena il Milan: così l’Inter è in testa alla Serie A con “soli” 33 punti, come dieci anni fa proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il Milan ha un problema con le neopromosse: 3 partite, zero vittorie. Il dato dei gol subiti è preoccupante
Tre partite contro le neopromosse, zero vittorie. Il Milan vince gli scontri diretti (o comunque non li perde), ma fa una fatica incredibile con le piccole. Il bilancio contro Cremonese, Pisa e Sassuolo (tre neopromosse) è di due punti totali su nove disponibili: sconfitta 1-2 contro la Cremonese all’esordio, poi 2-2 con il Pisa e stesso risultato con il Sassuolo nel lunch match di domenica 15 dicembre, nonostante la doppietta di Bartesaghi. IL MILAN SPESSO “BUCATO” DALLE PICCOLE Il dato preoccupante – a maggior ragione se parliamo di una squadra di Massimiliano Allegri – è quello relativo ai gol subiti: sei a San Siro contro tre squadre che lottano per la salvezza. Troppi per una squadra che si trova in alto e vuole lottare per vincere lo scudetto. “Dobbiamo iniziare a prendere meno gol perché ne abbiamo presi due a Parma, due oggi, due a Torino, due col Pisa, due con la Cremonese“. Una statistica che infastidisce e non poco Massimiliano Allegri, che da sempre ha avuto la fase difensiva (e quindi i gol subiti) come suo principale punto di forza. Invece questo Milan adesso segna, ma subisce anche tanto, soprattutto contro le piccole. IL “PROBLEMA” PICCOLE “Sui gol potevamo essere più svegli, dovevamo difendere meglio soprattutto sul secondo. Eravamo a difesa schierata. È troppo facile così, così non possono entrare“. È il vero problema del Milan contro le piccole, come spiega Massimiliano Allegri nel post gara. Perché i rossoneri giocano, affondano, ma sono fragili nelle ripartenze contro squadre che si chiudono a riccio e che quindi costringono Pulisic e compagni ad attaccare con più uomini. Il vero problema del Milan contro le piccole è questo: la squadra non è velocissima nelle transizioni negative e quando le avversarie ripartono, rischiano spesso di far male. E sul 2-2 il Sassuolo ha anche sfiorato in più occasioni il gol del ribaltone. Dei 13 gol subiti in stagione solo 2 sono infatti arrivati contro le grandi (Napoli e Atalanta), poi 11 contro le squadre considerate “piccole“: due contro il Sassuolo, due contro Torino, Pisa, Cremonese e Parma, uno con la Fiorentina. E la maggior parte a San Siro (solo Torino e Parma fuori). INVECE NEGLI SCONTRI DIRETTI… Questo perché contro le big non è il Milan a fare la partita, ma l’esatto opposto. Come per esempio nel caso del derby contro l’Inter, con i nerazzurri a dominare il possesso e il Milan a colpire in contropiede. E se il trend negli scontri diretti è senza dubbio positivo (vittoria contro Lazio, Napoli, Inter e Roma, pareggio contro la Juventus), di sicuro va invertito contro le piccole e in particolare contro le neopromosse, contro cui i rossoneri hanno ottenuto solo due punti a fronte dei nove disponibili. L'articolo Il Milan ha un problema con le neopromosse: 3 partite, zero vittorie. Il dato dei gol subiti è preoccupante proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Scontri tra ultras di Genoa e Inter all’esterno dello stadio: alta tensione prima del match
Scontri tra ultras di Genoa e Inter a circa un’ora dall’inizio della partita. I tafferugli sono avvenuti fuori dal “Ferraris” di Genova, dove alle 18 è in programma la gara di serie A tra il club rossoblu e i nerazzurri. Gruppi di tifosi si sono scontrati all’ingresso del settore ospiti e nei pressi di piazza Romagnosi. A fuoco anche una vettura, colpita da uno dei tanti razzi lanciati. Sul posto vigili del fuoco, ambulanze e forze dell’ordine. Secondo le prime ricostruzioni, alcuni tifosi del Genoa hanno lanciato qualcosa verso i tifosi dell’Inter che erano già nel piazzale dedicato. I tifosi nerazzurri hanno poi forzato il cancello del settore a loro dedicato, uscendo per cercare il contatto con i tifosi di casa. Da lì sono partiti scontri tra le tifoserie e con la polizia, con lancio di oggetti e cassonetti incendiati. L'articolo Scontri tra ultras di Genoa e Inter all’esterno dello stadio: alta tensione prima del match proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Chi è Davide Bartesaghi, il “gigante” del Milan che ha conquistato Allegri e strizza l’occhio alla nazionale
Ben 193 cm, ma grande corsa e buona tecnica di base. Marco Bartesaghi continua a stupire il Milan, i milanisti e strizza l’occhio anche a Gennaro Gattuso in ottica nazionale italiana, dove è già un punto fermo dell’under 21 di Baldini. 20 anni da compiere il 29 dicembre, nel Milan ci è praticamente cresciuto. Ha iniziato da giovanissimo nell’Atalanta, ma già all’età di 7 anni è arrivato nel settore giovanile dei rossoneri e da lì non è più andato via. A suggellare il rapporto tra il Milan e il giovane esterno, la doppietta contro il Sassuolo, che coincide anche con i primi gol in Serie A, anche se non sono serviti per i tre punti. Allegri lo ha messo dentro dopo l’infortunio di Estupinan e lui ha risposto con grande voglia e determinazione, ma soprattutto qualità. Con il tempo si è fatto apprezzare anche da alcuni scettici tifosi rossoneri, diventando ormai un punto fermo. LA CARRIERA DI BARTESAGHI Nato il 29 dicembre 2005 a Erba, è cresciuto nelle giovanili del Milan, club con cui ha firmato il suo primo contratto da professionista nel 2023, valido fino al 2026. La sua è una carriera importante già da giovanissimo, visto che ha debuttato a 17 anni in Serie A, il 23 settembre 2023 entrando nel secondo tempo di Milan–Verona. Due mesi dopo ha esordito anche in Champions League nel dicembre 2023 contro il Newcastle. Nella stagione successiva è stato impiegato sia con la prima squadra che con la formazione under 23, il Milan Futuro, che oggi milita in Serie D ma fino allo scorso anno partecipava al campionato di Serie C. Proprio in Serie C ha messo in mostra tutto il suo talento: fisicamente forte, tecnico e con buone capacità difensive e offensive, tanto da attirare l’attenzione dell’allenatore della prima squadra e dei media già dalla passata stagione. LE CARATTERISTICHE Davide Bartesaghi è un terzino sinistro moderno, capace di unire solidità difensiva e buona spinta offensiva. Dal punto di vista fisico è strutturato, forte nei contrasti e affidabile nei duelli uno contro uno. In fase difensiva ha grande concentrazione, senso della posizione e intelligenza tattica, qualità importanti che lo hanno reso prezioso per Allegri. In fase offensiva Bartesaghi è ordinato e intelligente: accompagna l’azione sulla fascia, sa sovrapporsi e mettere cross precisi, senza peròscoprirsi eccessivamente. Tecnicamente è pulito nel controllo di palla e nel passaggio, mentre tatticamente dimostra maturità, adattandosi bene ai ritmi della prima squadra. In più, contro il Sassuolo ha mostrato anche buona propensione al gol. L'articolo Chi è Davide Bartesaghi, il “gigante” del Milan che ha conquistato Allegri e strizza l’occhio alla nazionale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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