Paolo Crepet sbarca questa sera al Teatro degli Arcimboldi di Milano con “Il
reato di pensare”. Un invito a riflettere sulla necessità del pensiero libero
dalla pressione del “politicamente corretto”. Crepet affronta in questo
spettacolo il tema della libertà di pensiero che, come si legge nelle note dello
spettacolo, “oggi sempre più limitata da schemi ideologici, autocensure e nuove
forme di controllo invisibili. Un monito a difendere il valore dell’originalità
e della disobbedienza intellettuale, contro chi vorrebbe imporre dogmi
ideologici e controllare la mente umana”.
Il professore si è raccontato a Il Corriere della Sera: “Non mi sembra che
Milano abbia voglia di pensare. Io ho conosciuto le Milano della musica, della
moda, del design… Ma, ultimamente, mi annoio: mancano i graffi, le scoperte,
come quando apparì Elio Fiorucci o il Capolinea sui Navigli coi primi grandi del
jazz negli Anni 70 (…) La capitale? È confusa. Non sa bene dove andare. Io l’ho
frequentata tanto con Oliviero Toscani, nelle trattoriacce dove parlavamo sempre
di progetti, cosa impossibile nei locali assordanti di oggi“.
E ancora: “Ricordo tante serate con Fiorucci che ci raccontava delle bellezze
della New York anni 60 -70: ero giovane e imparavo tantissimo, perché c’era il
tempo per imparare. Il miracolo che farò agli Arcimboldi saranno le persone che
stanno un’ora e mezza ad ascoltare me che sto seduto, non giro neanche sul
palco. La gente paga il biglietto per fare una cosa che nessuno fa mai, perché
nessuno sta un’ora e mezza ad ascoltare sua moglie”.
Poi il discorso si sposta sull’altra Milano quella delle dipendenze: “Le droghe
hanno successo perché i giovani che non pensano fanno comodo al potere e persino
ai genitori che danno la paghetta. Ci stupiamo che questi siano ‘figli di buona
famiglia’, ma che significa ‘di buona famiglia’ se non che diamo valore solo ai
soldi?”.
Il professore ha spiegato: “Oggi, la buona famiglia è quella dove papà, coi
jeans strappati a 48 anni, va a giocare a padel. Questa è una buona famiglia? La
buona famiglia gioca a Shangai (…) A 48 anni giocano per essere ancora più
giovani dei figli adolescenti. Ci piace vivere a velocità ipersonica senza
sapere dove andiamo (…) non puoi fare Shanghai e mandare i messaggini. Lo
Shanghai è un tempo senza fretta, in cui non corro dall’altra parte della città
per bere sette drink”.
L'articolo “La buona famiglia gioca a Shangai. Invece i padri vanno a padel per
essere ancora più giovani dei figli adolescenti”: la riflessione di Paolo Crepet
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