Il Giappone continua a essere il posto preferito in cui tornare, secondo “Japan
Brand Survey”, una recente ricerca condotta quest’anno da Dentsu, la
multinazionale giapponese che opera nel settore dei media e del marketing
digitale. Più della metà delle turiste e dei turisti intervistati dichiarano di
volere pianificare nuovamente un viaggio qui. E questo nonostante il visibile
ridimensionamento della presenza di cinesi, a seguito delle disposizioni di
Pechino che – come ritorsione nei confronti di quanto affermato dalla prima
ministra Takaichi Sanae rispetto a un intervento militare del Giappone se la
Cina attaccasse Taiwan – ha ridotto in maniera significativa i voli per Tokyo e
Osaka, consigliando vivamente a cittadini/e di non recarsi nel Paese da punire,
dove rischiano di essere “trattati male”.
Se il turismo va a gonfie vele, i problemi interni sono molteplici e uno di
questi riguarda la salute psichica della popolazione giovanile.
Da uno studio condotto quest’anno dal governo e citato dal quotidiano Asahi
Shimbun, si apprende che il 43% dei giapponesi ventenni si sente alienato e
soffre di solitudine. Inoltre in Giappone il suicidio risulta la principale
causa di morte tra gli adolescenti e i ventenni, portando il Paese ad avere il
tasso più alto di mortalità per suicidio tra i paesi del G7.
Per affrontare la situazione è nato un progetto congiunto dell’Università della
città di Yokohama insieme a Dai Nippon Printing Co, società che opera nel
settore della stampa in tre aree: comunicazioni informatiche, forniture
industriali e stile di vita, ed elettronica. Si tratta di un progetto clinico di
ispirazione “fantasy” (iniziato il primo ottobre, si concluderà a giugno 2026)
teso a determinare se psichiatri /e che in sedute online si fingono personaggi
dei cartoni animati possano migliorare il trattamento della depressione tra i
giovani. Questo metodo o tipologia di approccio terapeutico nipponico “Anime
Therapy” è in realtà da attribuirsi a un giovane psichiatra italiano, Francesco
Pantò, che da diversi anni risiede in Giappone. Dopo la laurea in medicina a
Roma si è trasferito a Tokyo dove ha perfezionato da autodidatta lo studio della
lingua giapponese, preso la specializzazione in psichiatria, superato l’esame di
abilitazione per potere esercitare la professione e lavora ormai da alcuni anni
con il suo approccio di “Anime Ryoho” ovvero terapia dell’animazione, con l’idea
che possa essere utile soprattutto a prevenire le malattie mentali, e a
costruire percorsi di crescita per la cura dei più giovani tra cui i casi di
hikikomori, problemi di alienazione varia e depressione. Mio Ishii, assistente
professore di psichiatria presso la YCU e responsabile del progetto, afferma:
“Quello che ci proponiamo è sviluppare servizi che i giovani possano utilizzare
quando avvertono lievi disturbi mentali” e ancora: “Molti giovani tra i 15 e i
29 anni soffrono di psicopatologie, ma hanno pochissime possibilità di accedere
facilmente a servizi adeguati dal punto di vista medico”. Oltretutto le famiglie
giapponesi non ricorrono facilmente all’aiuto psicologico e psichiatrico per una
sorta di “vergogna sociale” ancora diffusa nel Paese rispetto alle problematiche
di salute mentale.
Gli psichiatri e gli psicologi clinici coinvolti nel progetto dovranno seguire
un corso di formazione, dopo il quale assumeranno il ruolo di uno dei sei
personaggi anime identificati da Pantò: una sorella maggiore (ane), una sorella
minore (imōto), una madre (haha), un principe (ōji), un fratello minore (otōto)
e uno zio affascinante (ojisan). Sono tutti personaggi affetti da varie
difficoltà e problemi: i consulenti ne indosseranno i costumi per conversare con
i soggetti scelti per la sperimentazione (circa venti ragazze/i tra i 18 e i 29
anni) utilizzando un modificatore della voce.
Saranno i soggetti a scegliere quale personaggio sarà il proprio consulente, per
poi partecipare a due sedute online della durata di 60 minuti a settimana, per 4
settimane.
La squadra dei ricercatori studierà la sicurezza e la fattibilità delle sedute
di “Anime Ryoho”. Verranno inoltre raccolti dati, tra cui “i cambiamenti nei
punteggi numerici relativi alla depressione, la soddisfazione per le sedute di
consulenza, il livello di fiducia sviluppato con il consulente, nonché il
battito cardiaco e i modelli di sonno durante il periodo di prova.”
Se i risultati di questa sperimentazione daranno esiti positivi, tale
metodologia potrebbe cominciare a essere ampiamente utilizzata.
L'articolo Anime Therapy, contro la depressione giovanile i giapponesi si
affidano a psichiatri travestiti da cartoni animati proviene da Il Fatto
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