“Penso che ancora non siete pronti per questa musica”. Un giorno andrà fatto un
piccolo monumento a Michael J. Fox – e uno enorme a Robert Zemeckis – per
essersi trovati insieme sul set di Ritorno al Futuro. In attesa dei prodi
scultori, l’oggi 63enne Fox ripercorre nel libro Il ragazzo del futuro (TEA)
quella sua magica doppia sortita (“il mio viaggio nel continuum
spazio-temporale”, lo chiama) quando nel 1985, a 23 anni, di mattina e
pomeriggio negli studi della Paramount girava gli episodi della seconda stagione
di Casa Keaton e durante la sera/notte si scapicollava negli studios Universal
per Ritorno al futuro. Alex Keaton e Marty McFly. Un ragazzino col golfino che
sogna Ronald Reagan affermandosi in un presente conservatore in tv e l’altro che
esplode arrivando con lo skateboard e il piumino arancione senza maniche,
saltellando futuristicamente nel passato al cinema. In mezzo Michael che dorme
tre o quattro ore per notte sperando di sfondare nel mondo dello spettacolo.
Il doppio lavoro dell’attore canadese è uno di quegli incastri del destino che
riempie il gustoso registro degli aneddoti di Hollywood. Il produttore di Casa
Keaton che dice no a Spielberg (produttore di Ritorno al futuro) per avere Fox,
praticamente ancora signor nessuno. Eric Stoltz che interpreta per sei settimane
la parte di Marty nel film, ma regista e produzione non vedono l’ora di
cacciarlo. Fox che viene a sapere della vicenda e che senza nemmeno pensarci un
attimo, di fronte alla nuova insistenza di Zemeckis e Spielberg, accetta di
sostituire il licenziato Stoltz. O meglio: Paramount e Universal si accordano
senza farsi del male. Solo che in mezzo, a distruggersi di fatica, contento e
felice, correndo a perdifiato proprio come spesso recitava nelle parti dei film
che interpretava negli anni Ottanta, c’è un ragazzino di 23 anni che dal 16
gennaio 1985 non ne sbaglia più una nei tre mesi successivi.
“Oggi la produzione di un film chiede due settimane di margine prima e dopo
qualsiasi altro impegno: il contratto di Ritorno al futuro non richiedeva
nemmeno un’ora di margine”. Una pallina da flipper, insomma. Fox racconta quel
suo tour de force con ammirevole e dolce saggezza di chi sa che quella scelta è
stata il numero della vita e di quello bisogna solo che accontentarsi.
Un’automobile (non la DeLorean) dove si può sdraiare nel viaggio di due ore lo
attende sempre tra uno studio e l’altro in questa missione della recitazione che
sa di antico arrabattato mestiere.
Eppure lui mantiene una lucidità e una tensione unici: il copione che ogni
giorno viene riscritto insieme agli attori di Casa Keaton per poi recitare
cinque episodi compressi in un solo pomeriggio (il venerdì); le scene
fisicamente impegnative, alcune con gesti o battute improvvisate da Fox proprio
per impressionare Zemeckis e andarsi a prendere la sua carriera. La prima scena
sul set cinematografico del resto è quella in cui Fox viene vestito con un
tutone giallo e un cappuccio/visiera dove non respira e non vede niente per il
suo andirivieni nel passato assieme a Doc (Christopher Lloyd), poi si passa per
la rilettura piccante di lui senza mutande nel letto di mamma Lorraine da
giovane nel 1955, fino alla celebre sequenza di Johnny B. Goode suonata, si fa
per dire, alla chitarra (“dissi a Bob e al direttore della fotografia:
riprendetemi le mani mentre suono”). Fox ci mette quella tonalità comica che
Stoltz non era riuscito a donare, agguantando Marty per la camiciola e scrivendo
un capitolo della storia del cinema.
A detta di Fox, peraltro, la DeLorean era un vero cesso a pedali, piena di
lamiere penzolanti e taglienti. Mentre nello splendido apparato fotografico
originale ritroviamo il nostro piccolo eroe spesso sdraiato per terra, su
muretti, sopra ai ripiani di un cucinotto del set di Ritorno al Futuro a
riposarsi. “Pare che Einstein abbia anche detto: ‘Il tempo è ciò che impedisce
alle cose di accadere tutte in una volta’. E questa è la sua funzione: nel tardo
inverno e primavera 1985 il tempo se n’è andato per i fatti suoi”, scrive Fox
con la sua consueta disincantata ironia. In appendice del libro c’è anche il
ricordo affettuoso del recentissimo incontro tra Fox e Stoltz, qualche loro
chiacchiera ma non troppo, un po’ come se Ringo Starr incontrasse Pete Best e ci
venisse preclusa qualche cattiveria su Paul, John e George.
L'articolo Michael J. Fox – 23 anni, due set, un mito: il tour de force tra Casa
Keaton e Ritorno al Futuro proviene da Il Fatto Quotidiano.