Il Piemonte accorpa scuole a Torino per non perdere i fondi Pnrr: così aggira le promesse

Il Fatto Quotidiano - Friday, November 28, 2025

di Davide Trotta

Dell’accento accorato posto unanimemente dalle parti politiche sulla scuola potrebbero farsi portavoce le parole di Così fan tutte: “Come l’araba fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Ecco, dove stiano effettivamente misure concrete per promuovere la scuola nel nostro Paese non è dato sapere. O forse sì. Lo possiamo vedere per esempio dall’ultimo provvedimento con cui la Regione Piemonte elude la promessa fatta dalla Città metropolitana di Torino quest’estate, per cui non ci sarebbero stati dimensionamenti di alcuni istituti scolastici in futuro.

E invece cucù, la Regione aggira tutti e deposita palla in rete, invero un autogol in nome del Pnrr, che pone vincoli inderogabili: bisogna far quadrare i conti entro il 2027, altrimenti i fondi stanziati ai comuni dovranno tornare indietro. Evidentemente l’alibi della denatalità, in forza del quale si giustificava la necessità di ridurre il numero di scuole, non era abbastanza probante. Quindi ora se ne sbandiera uno nuovo. E quando si tratta di tagliare, c’è l’imbarazzo della scelta: scuola o sanità sono le vittime prescelte da immolare sull’altare dell’economia.

Questa è la volta della scuola. Uno alla volta, per carità. C’era una volta lo spread, ora il nuovo spauracchio si chiama Pnrr, creatura prodigiosa – quasi come la fenice – atta a velare qualsiasi nefandezza, non ultimo l’accorpamento di scuole che l’unica cosa in comune che hanno sono banchi e cattedre: esperimenti di laboratorio degni del Frankenstein più ispirato e anni di matematica elementare, in cui ci insegnavano che pere e mele non si sommano tra loro, malamente messi a frutto.

Ora, potremmo anche cedere alla tentazione di credere alla fenice se solo i tagli alla scuola non avessero inferto ferite vieppiù profonde sul tessuto scolastico sclerotizzato già da decenni, anche in assenza del Pnrr. Potremmo altresì credere alla fenice se solo Torino non avesse abdicato ormai da tempo perfino al suo ruolo di traino industriale. Nessuna meraviglia pertanto se nella Regione ora si vuole sacrificare qualche istituto scolastico, nell’incuria di tradizioni e specificità di indirizzi su cui si sono progressivamente formati saperi e identità. Ma dietro a queste operazioni orientate al ribasso non è malagevole scorgere una deminutio intellettuale, contrazioni di competenze e capacità di lettura del reale che, simili a doglie, preannunciano l’ennesimo parto logorante. A rischio che quel corpo, che è il nostro paese, a forza di partorire diventi definitivamente sterile.

A compendiare qualsiasi operazione svolta sotto l’egida del Pnrr bastino le sibilline parole di Giulio Tremonti che sotto il governo Berlusconi sentenziava nelle vesti di ministro dell’economia “con la cultura non si mangia”. Preconizzando in certo senso i destini attuali. Nondimeno, di questa operazione scombiccherata balza all’occhio soprattutto il mancato confronto con le scuole da parte della Regione che, forse erede di una tradizione monarchica di sabauda memoria, ha dimenticato di aprire un tavolo di confronto con le parti coinvolte. Da ultimo può essere utile ricordare che la Regione Piemonte, secondo il Sole24Ore “scivolata nella serie B delle regioni europee”, è la stessa che ha dislocato la sua prestigiosa quanto illustre sede di Piazza Castello verso una sconsacrata quanto anonima sede di periferia, certo sempre in obbedienza a ragioni di economia.

Se è vero che la forma è sostanza, si comprende una volta di più come mai procedure della politica (forma) e sua credibilità (sostanza) procedano sullo stesso piano, sempre più orientato verso il basso.

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