Incappo nell’overbooking, resto a terra e nemmeno mi risarciscono: la mia disavventura con Wizzair

Il Fatto Quotidiano - Saturday, November 29, 2025

Se c’è un settore in Europa che sembra al contempo iper-regolamentato ma nei fatti è il far west, beh, questo settore è quello dell’aviazione. In particolare, il mondo dei diritti dei consumatori nelle compagnie low cost. Pochi argomenti intasano tanto forum, sub reddit, chat e blog come le vicende di passeggeri che cercano di rivalersi su ritardi, cancellazioni e, soprattutto, sulla regina dei micro-abusi legali: l’overbooking.

Io ne sono stato vittima involontaria, finendo in una delle tante situazioni kafkiane che hanno fatto guadagnare a Wizz Air il primato nella mia classifica personale di peggior compagnia quando il flusso “biglietti low cost, no frills e pochi diritti” si inceppa. Ossia: quando smetti di prenotare e provi a farti valere.

La storia: a metà agosto arrivo all’aeroporto di Fiumicino con il brutto presentimento di essere la prossima vittima dell’overbooking (la famigerata pratica che consente alle compagnie di vendere più biglietti dei posti disponibili). Tremo per il periodo dell’anno, picco della stagione e soprattutto perché Wizz aveva disabilitato il check-in online e mi invitava a recarmi al desk. Sul telefono era comparso solo uno strano pop-up: “Ti andrebbe di fare il volontario in caso di overbooking, in cambio di 100€ in voucher?”. Ovviamente ho cliccato su no. La direttiva 251/2004 stabilisce termini precisi per l’overbooking, mentre Wizz tentava un goffo negoziato in cui loro guadagnano, fanno un danno ai passeggeri, non pagano un centesimo di risarcimento e se la cavano con 100€ in voucher non convertibili in denaro.

Dopo anni di cause, incertezze interpretative e milioni in avvocati, l’Ue sembrava aver regolamentato l’overbooking nei minimi dettagli, fino a prevedere colazione, chiamata e persino invio di un fax a carico della compagnia.

Comunque, arrivo al gate e sono effettivamente il designato a restare a terra. Senza fare scene, senza bisogno di interventi della sicurezza (pare capiti molto spesso con l’overbooking) accetto: due notti in hotel a Fiumicino a spese della compagnia e un risarcimento di 400€ previsto dal modulo Ue per voli intracomunitari oltre 1.500 km, con riprenotazione sul volo successivo, 48 ore dopo.

Passano 90 giorni ma del risarcimento neanche l’ombra. Dopo settimane di chiamate che non portano a nulla e email non risposte, Wizz comunica che non avrò nessun risarcimento. Motivo? Avrei accettato il voucher da 100 € come alternativa. “Ha accettato volontariamente facendo click sull’opzione sì”, mi ripetono anche al telefono. Peccato che io abbia assolutamente cliccato su no e abbia in mano un modulo del formato previsto dalla direttiva Ue, firmato da un loro dirigente di terra.

D’altronde la direttiva è chiara e serve ad evitare situazioni simili: l’articolo 4, par. 1, stabilisce che la rinuncia al posto deve essere volontaria ed esplicita, con prova concreta. Non basta un “probabilmente ha cliccato”. Nessun voucher può sostituire un diritto minimo garantito dalla legge. Un amico avvocato conferma: Wizz non potrebbe nemmeno chiedere indietro il voucher; si sarebbe trattato di un “regalo” extra, da aggiungere al risarcimento previsto. Ma in nessun caso può sostituire il risarcimento.

Ma la perla finale, dopo settimane di mail tutte uguali, arriva dal servizio clienti italiano, alla decima telefonata: “Il modulo firmato non vale nulla, viene dato a tutti”. Un’affermazione curiosa, considerando che quel documento è previsto dal Reg. 261/2004 e attesta ufficialmente il disservizio. Se non vale nulla, perché lo compilano? Per sport? Per collezionismo? In realtà il personale di terra non ha neanche menzionato la possibilità del voucher. Ma la questione, qui, è molto più complessa: dietro la vicenda c’è un meccanismo economico preciso. Le autorità stimano che circa il 50% dei passeggeri aventi diritto non richieda la compensazione o abbandoni dopo il primo rifiuto. Le compagnie lo sanno e lo sfruttano: negano, ignorano solleciti, chiudono ticket in modo arbitrario, rimandano pratiche. Anche diffide o ingiunzioni spesso non cambiano nulla.

Solo nel Regno Unito, scrive The Guardian, Wizz Air ha ancora 1.601 “sentenze pendenti” per oltre 2 milioni di sterline mai pagate. In almeno un caso, un passeggero ha dovuto far bussare l’ufficiale giudiziario agli uffici per far valere i suoi diritti. Possibile che per avere ragione serva per forza far portare via via sedie, tavoli e computer della compagnia?

In Italia, Wizz è già stata richiamata diverse volte dall’ENAC, ma il regolamento europeo non prevede strumenti coercitivi per costringere le compagnie a pagare i risarcimenti. Un classico esempio di “diritto cosmetico”: bello da leggere, difficile da applicare.

La vera domanda non è perché un volo costi così poco, ma quanto costa davvero quando qualcosa va storto. Le low cost hanno democratizzato il volo? Sì. Ma hanno anche creato un sistema in cui chi non conosce ogni riga del Reg. 261/2004 o non ha tempo ed energie per una trafila che può durare mesi o anni e regala decine o centinaia di euro a queste macchine macina-soldi, che moltiplicati per migliaia di passeggeri fanno milioni di euro che le compagnie risparmiano. Il modello è semplice: il passeggero medio rinuncia, e gli altri devono andare in tribunale.

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