G20 Johannesburg, il Sudafrica non sarà invitato a Miami 2026: chi osa sfidare Washington paga il prezzo

Il Fatto Quotidiano - Monday, December 1, 2025

Doveva essere una svolta storica: per la prima volta un grande paese africano alla guida del G20, con l’obiettivo di mettere al centro le priorità del continente e del Sud globale. Invece, la presidenza sudafricana si è trasformata in un test durissimo sull’ordine multilaterale, messo a dura prova dal boicottaggio americano e culminato con l’annuncio che Pretoria, secondo la richiesta americana, non sarà invitata al G20 del 2026 a Miami.

Fin da subito, l’agenda sudafricana incentrata su “solidarietà, uguaglianza, sostenibilità” è stata etichettata dalla Casa Bianca come “anti-americana”, troppo concentrata su inclusione e clima. Il boicottaggio del vertice di Johannesburg è stato giustificato rilanciando la falsa narrativa, priva di basi solide, di un presunto “genocidio dei bianchi” e di una sistematica discriminazione contro gli agricoltori afrikaner, spostando lo scontro su un piano puramente simbolico.

Nel frattempo, dazi al 30% sulle esportazioni sudafricane, tra i più alti imposti all’Africa, e canali di cooperazione congelati. Il messaggio è chiaro: chi osa sfidare Washington paga il prezzo, anche solo provando a riequilibrare l’agenda globale. Parallelamente, l’episodio sudafricano accelera lo spostamento verso format alternativi – dai Brics ad altre piattaforme sud-sud – dove i paesi del Sud globale percepiscono minore rischio di umiliazione e maggiore margine di influenza.

Ma Pretoria non ha solo incassato i colpi. Di fronte al rifiuto americano di partecipare e alla richiesta di bloccare qualsiasi dichiarazione congiunta, il governo sudafricano ha scelto di andare avanti, con il sostegno di Cina, paesi del Sud globale e diversi partner europei. Essere riusciti comunque ad approvare una dichiarazione sul debito e due testi ambientali rappresenta sul piano politico un segnale: un paese africano alla guida del G20 può imporre un’agenda propria e costruire coalizioni, anche in contesto ostile. Ed è proprio questo che l’amministrazione Trump vuole punire. Pretoria resta formalmente membro, ma viene messa in “quarantena diplomatica”, esclusa dagli spazi decisionali del foro. Una sanzione politica unilaterale mascherata da decisione multilaterale.

Questo braccio di ferro crea un precedente pericoloso. Se il paese ospitante può usare il ruolo di “padrone di casa” per escludere un membro sgradito, domani la stessa logica può essere usata contro qualsiasi governo non allineato. Il rischio è che il G20, nato per gestire crisi globali attraverso il dialogo, si trasformi in un club condizionato dall’umore politico della Casa Bianca.

Per chi guarda all’Africa come soggetto politico e non come oggetto di decisioni altrui, la domanda è netta: che senso ha parlare di “ordine multilaterale” se un membro del foro può essere messo al bando per aver rappresentato le istanze del proprio continente? La risposta oggi passa da Johannesburg. Ma riguarda tutte le capitali del Sud globale che, guardando a Miami 2026, si chiedono se sedersi al tavolo significhi davvero partecipare, o solo accettare le regole scritte da cowboy americani.

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