Un’operazione in mare aperto per impedire all’Iran di ricostituire il suo
arsenale dopo i raid americani e israeliani di giugno. A raccontare del blitz è
il Wall Street Journal che, sulla base di resoconti di ufficiali Usa, scrive di
come a novembre le forze americane sarebbero salite a bordo di una nave
nell’oceano Indiano per sequestrare materiale partito dalla Cina e diretto a
Teheran.
Quando le forze speciali statunitensi hanno abbordato il cargo, la nave sarebbe
stata a centinaia di miglia dalla costa dello Sri Lanka. L’imbarcazione ha poi
potuto riprendere il viaggio, affermano le fonti del Wsj, secondo cui gli Stati
Uniti avevano monitorato attentamente la spedizione e le informazioni di
intelligence raccolte suggerivano il carico fosse destinato ad aziende iraniane
specializzate nell’approvvigionamento di componenti per il programma
missilistico della Repubblica Islamica.
Nel carico c’erano componenti potenzialmente utili per la realizzazione di armi
convenzionali, ha detto un ufficiale. Il materiale è stato distrutto, ha
aggiunto, e le componenti sequestrate erano ‘dual-use’. Nessun dettaglio è stato
fornito sull’armatore né sul nome della nave. No comment dal Comando
Indo-Pacifico, che ha condotto il blitz. Nessuna risposta è arrivata anche dalle
richieste di commento da parte del giornale ai ministeri degli Esteri di Cina e
Iran.
L'articolo “Gli Usa hanno attaccato una nave partita dalla Cina e diretta in
Iran” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Usa
Negli Stati Uniti la guida automatica di una Tesla si è rivelata decisiva per le
sorti di un uomo. Come raccontato dal signore su X (il cui profilo è Wenlll), si
è sentito male mentre si trovava al volante della sua supercar. Impossibilitato
a proseguire, l’uomo ha attivato il sistema FSD (Supervised), ossia il
meccanismo di guida automatica della Tesla, chiedendo alla macchina di portarlo
all’ospedale più vicino. Pochi minuti dopo l’arrivo nella struttura, l’uomo ha
avuto un arresto cardiaco ed è stato rianimato. In questo caso, l’intervento
della tecnologia avanzata della Tesla si è rivelato essenziale per le sorti del
suo proprietario.
UNA MACCHINA GENIALE
L’uomo è in convalescenza dopo l’operazione a cuore aperto subita il 14
novembre. Il cittadino del Nevada deve ringraziare la sua auto – e sé stesso per
i soldi spesi – per aver accelerato i tempi. L’attesa di un’ambulanza, infatti,
si sarebbe potuta rivelare fatale. Il proprietario della macchina ha dichiarato:
“Il FSD di Tesla mi ha letteralmente salvato la vita e potenzialmente anche
quella di altri sulla strada”. Il veicolo può contattare i servizi di emergenza
e fornire assistenza grazie all’intelligenza artificiale integrata, capace di
offrire indicazioni utili in caso di necessità.
L'articolo “La macchina mi ha salvato la vita, se sono vivo é grazie a lei”: a
un infarto mentre guida, la sua Tesla se ne accorge e guida da sola verso il
pronto soccorso proviene da Il Fatto Quotidiano.
Paura per Andy Dick. Come mostrato in un filmato pubblicato sui social da TMZ,
l’attore della saga di Zoolander è stato ritrovato privo di sensi per strada. La
causa del malessere è un’overdose da oppioidi. La star di Hollywood è stata
soccorsa da alcuni passanti che lo hanno scosso e sollevato con la forza. Le
persone hanno chiamato il 911 e hanno chiesto l’aiuto dei paramedici. Questi
ultimi hanno somministrato a Dick una dose di Narcan, un farmaco che inverte gli
effetti degli oppiacei assunti dall’attore. Dopo essersi ripreso, il 60enne ha
rifiutato di essere trasportato in ospedale. Intervistato telefonicamente da
TMZ, Andy Dick ha dichiarato di essere sollevato di stare bene, senza aggiungere
dettagli riguardo la sua situazione.
LE DIPENDENZE E I PROBLEMI CON LA LEGGE
Negli Stati Uniti Andy Dick è tanto conosciuto per la stand-up comedy quanto per
i suoi reati. L’uomo è stato più volte accusato di molestie e aggressioni. Come
confessato nel 2011 a WTF, programma condotto da Marc Maron, l’attore si è
pentito di aver esagerato con l’alcol: “Avrei più successo nel settore se non
bevessi. Non mi pento di bere, ma a volte mi pento di bere troppo e mi pento di
alcuni momenti di blackout: sono troppi per poterli contare”. Troppi momenti
complicati che hanno portato Dick ad altrettanti casi mediatici tra cui
l’arresto nel 2008 per le molestie su una minorenne e un secondo fermo per
violenze domestiche nel 2021. Nel 2017, come raccontato dal sito People,
l’attore fu cacciato dal set della commedia “Vampire dad” per comportamenti
scorretti.
> Former comedian Andy Dick has fallen from grace so completely. TMZ has a video
> of him overdosing on drugs. I hope he gets the help he needs. This is just so
> sad to see. pic.twitter.com/QOiIQxMimi
>
> — Ian Miles Cheong (@ianmiles) December 10, 2025
L'articolo L’attore Andy Dick trovato a terra in mezzo alla strada privo di
sensi: “È vivo solo grazie alla prontezza di alcuni passanti” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
L’attorney general Pam Bondi ha pubblicato su X un video sul sequestro di una
petroliera al largo del Venezuela che mostra personale armato Usa calarsi sulla
nave da un elicottero, per poi muoversi sul ponte con le armi puntate. L’Fbi,
Homeland Security Investigations e la Guardia Costiera degli Stati Uniti, col
supporto del Dipartimento della Guerra, ha spiegato, “hanno eseguito un mandato
di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio sanzionato
proveniente da Venezuela e Iran“. “Per diversi anni – ha dichiarato – la
petroliera è stata sanzionata dagli Stati Uniti a causa del suo coinvolgimento
in una rete illecita di trasporto di petrolio a supporto di organizzazioni
terroristiche straniere. Questo sequestro, completato al largo della costa
venezuelana, è stato condotto in modo sicuro e protetto, e la nostra indagine
insieme al Dipartimento della Sicurezza Interna per prevenire il trasporto di
petrolio sanzionato continua”. Il sequestro è avvenuto in acque internazionali,
ha dichiarato un alto funzionario statunitense, e si è svolto senza incidenti o
vittime, sia tra il personale statunitense che tra l’equipaggio della
petroliera. La nave, chiamata Skipper, trasportava greggio venezuelano, ha
aggiunto il funzionario. La petroliera era stata precedentemente associata al
petrolio iraniano, e un giudice federale aveva emesso un mandato per il suo
sequestro a causa di questi legami.
L'articolo Elicotteri militari e fucili spianati: così i soldati Usa hanno
sequestrato la petroliera al largo del Venezuela. Il video proviene da Il Fatto
Quotidiano.
L’amministrazione Usa guidata da Donald Trump ha sequestrato una petroliera al
largo delle coste del Venezuela. La notizia, anticipata dall’agenzia di stampa
internazionale Reuters, è stata confermata da Trump parlando con i giornalisti
alla Casa Bianca: “Come probabilmente saprete, abbiamo appena sequestrato una
petroliera al largo delle coste del Venezuela. Una grande petroliera, molto
grande, in realtà la più grande mai sequestrata. E stanno succedendo altre cose,
vedrete più tardi”, ha detto. Secondo fonti citate dall’agenzia Associated
press, l’operazione è stata condotta dalla Guardia costiera statunitense insieme
alla Marina. Il tycoon non è entrato nel dettaglio dei motivi dell’azione,
limitandosi a dire che il sequestro è avvenuto “per una buona ragione”. La
vicenda è destinata a far salire la tensione già alta tra i governi di
Washington e Caracas, dovuta al massiccio rafforzamento militare statunitense
nella regione: appena il giorno prima, il Pentagono aveva fatto sorvolare il
golfo del Venezuela da due jet da combattimento, sfiorando lo spazio aereo del
Paese sudamericano.
Il Venezuela possiede le maggiori riserve petrolifere accertate al mondo e
produce circa un milione di barili al giorno: esclusa dai mercati petroliferi
globali dalle sanzioni statunitensi, la compagnia petrolifera statale (la Pdvsa)
vende la maggior parte della sua produzione a prezzi fortemente scontati alle
raffinerie cinesi. Le transazioni di solito coinvolgono una complessa rete di
intermediari poco trasparenti, poiché le sanzioni hanno allontanato i trader più
affermati. Molte sono società di comodo, registrate in giurisdizioni note per la
loro segretezza. Gli acquirenti utilizzano “petroliere fantasma” che nascondono
la loro posizione e consegnano i loro carichi di valore in mezzo all’oceano
prima che raggiungano la destinazione finale. Nonostante le crescenti pressioni
sul presidente venezuelano Nicolás Maduro, Trump finora non era mai intervenuto
concretamente per ostacolare i flussi petroliferi del Paese.
L'articolo Trump sequestra una petroliera al largo del Venezuela: “È per un buon
motivo”. La mossa accresce le tensioni con Caracas proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Al momento è una proposta del Customs and Border Protection (Cbp), l’Agenzia
americana per la protezione delle frontiere. Ma il contenuto della misura è
molto rilevante: gli Stati Uniti chiederanno a tutti i turisti stranieri di
fornire i dati relativi agli ultimi cinque anni di attività sui social media per
poter entrare nel Paese. Una proposta, pubblicata sul Federal Register, che
renderebbe così obbligatorio il controllo dei profili online anche per i
visitatori che provengono dagli Stati che normalmente non necessitano di visto,
come Regno Unito e Paesi dell’Unione europea, Italia compresa.
Secondo i media statunitensi, la nuova regola dovrebbe entrare in vigore già
all’inizio del 2026. Al momento, per i turisti italiani (come i cittadini di
altri 41 Paesi) possono entrare negli Stati Uniti, per un soggiorno fino a 90
giorni, senza visto ma solamente richiedendo online e prima del viaggio
l’autorizzazione elettronica obbligatoria “Esta” (Electronic System for Travel
Authorization). Tra poco, nella stessa procedura, i richiedenti dovranno fornire
non solo le proprie generalità, ma anche numeri di telefono e indirizzi email
utilizzati negli ultimi cinque anni, oltre ai dati anagrafici dei familiari più
stretti.
Il Dipartimento di Stato ha inoltre chiesto ai funzionari consolari di
monitorare eventuali “segnali di ostilità” verso gli Stati Uniti nei contenuti
social degli aspiranti visitatori. Una stretta che arriva mentre
l’amministrazione di Donald Trump ha già rafforzato i controlli sulla “presenza
online” per diverse categorie di visti, dagli H-1B (il visto di lavoro
temporaneo destinato a lavoratori stranieri altamente specializzati) agli
ingressi per studio e scambi culturali, a pochi mesi dai Mondiali di calcio che
si terranno anche negli Stati Uniti a giugno.
La proposta ha già provocato le critiche delle organizzazioni per i diritti
digitali, come la Electronic Frontier Foundation, che denunciano il rischio di
una sorveglianza eccessiva e intimidatoria sui viaggiatori. Ci saranno 60 giorni
di tempo per inviare osservazioni sulla proposta, che conferma ulteriormente
l’ampio giro di vite dell’amministrazione Trump non solo sull’immigrazione
legale ma su tutti i criteri d’ingresso nel Paese.
L'articolo Per entrare negli Usa bisognerà mostrare l’attività sui social degli
ultimi 5 anni. E vale anche per i turisti italiani proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Cher convola a nozze? Forse sì. L’indiscrezione arriva da una fonte interna al
tabloid The Mirror, che riporta la volontà della cantante e attrice di giurare
amore eterno ad Alexander Edwards. I 40 anni di differenza d’età non sembrano
essere un problema per i (probabili) futuri coniugi che, sempre secondo il
tabloid inglese, avrebbero già individuato il periodo delle nozze: maggio 2026,
in occasione del compleanno dell’artista. Per Cher, dunque, il matrimonio con
Alexander sembra essere più di un’idea. Il produttore discografico sarebbe il
terzo marito della cantante statunitense, dopo Sonny Bono e Gregg Allman.
MANCA LA CONFERMA
È bene sottolineare che, al momento, manca una conferma ufficiale dalla coppia.
L’entourage di Cher ha timidamente smentito le nozze, anche se per Cher e
Alexander Edwards non si tratta della prima volta in cui spunta il tema
matrimonio. Nel 2022 i tabloid avevano rivelato che i due artisti sarebbero
presto diventati marito e moglie. La cantante aveva detto: “Ai miei coetanei non
piaccio molto. Mentre ai giovani non importa se sei buffa o stravagante, o vuoi
fare stupidaggini e hai una forte personalità. Non rinuncerei alla mia
personalità per nessuno”. Dunque l’amore per Alexander è puro, uno di quelli in
cui non serve cambiare per l’altra persona perchè quest’ultima ti ama
incondizionatamente. Alcuni utenti sui social hanno richiamato l’attenzione di
Cher sul lato economico. I “soli” 40 anni di differenza tra i due non sono nulla
rispetto al divario tra i patrimoni. Il musicista può contare su 2 milioni di
dollari, la star del pop su una cifra che ammonta a circa 360 milioni. “Non sono
nata ieri” aveva risposto Cher ai fan che hanno messo in dubbio l’amore di
Edwards per la quasi 80enne.
CHI È ALEXANDER EDWARDS
Cher ha messo in chiaro che Alexander Edwards è l’amore della sua vita. “AE”, il
nome d’arte del produttore, sarebbe il terzo marito della statunitense dopo i
matrimoni con Sonny Bono e Gregg Allman. La cantante ha avuto altre relazioni
con vip come Tom Cruise e Val Kilmer. Il prossimo potrebbe essere Edward.
39enne, il musicista è vicepresidente dell’etichetta discografica Def Jam
Recordings. In passato ha avuto con Amber Rose, ex di Kanye West. In
un’intervista la modella ha dichiarato che Alexander l’avrebbe tradita con 12
donne diverse. La fedeltà non è certo un pregio del produttore, che potrebbe
avere difficoltà con i vincoli (spirituali e burocratici) del matrimonio.
L'articolo “Cher sta per sposarsi con Alexander Edwards, 40 anni più piccolo”:
la rivelazione del Mirror e la rabbia della cantante per le insinuazioni sul
“vero amore” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Le recenti dichiarazioni, sull’Unione europea, di Donald Trump e di Elon Musk –
con quest’ultimo arrivato a sostenere apertamente che la Ue dovrebbe essere
“abolita” – segnano un punto di discontinuità sconvolgente se confrontato con la
storia dei tradizionali rapporti tra Stati Uniti ed Europa unita. In
particolare, se consideriamo come e quanto gli Usa abbiano non solo
ufficialmente e legittimamente “auspicato” e “assecondato” il processo di
unificazione europeo, ma quanto lo abbiano deliberatamente, e astutamente,
“influenzato” e “manipolato” fin dagli albori.
È noto, e ormai ampiamente documentato, che l’Europa occidentale del dopoguerra
venne ricostruita dentro un perimetro rigidamente americano: dai fondi del Piano
Marshall alla creazione di un mercato perfettamente complementare a quello
statunitense fino al vincolo atlantico tramite la Nato, prerequisito
obbligatorio per ogni Paese che volesse salire sul treno dell’integrazione.
In una intervista del 2015, Morris Mottale, professore di relazioni
internazionali, politica comparata e studi strategici presso la facoltà di
Scienze Politiche della Franklin University, università americana con sede a
Sorengo, vicino a Lugano, ha avallato una tesi ben precisa. E cioè che l’Unione
europea – lungi dall’essere un’idea frutto della spontanea aggregazione di un
“comune sentire” dei popoli – sia una costruzione in vitro degli americani
finalizzata a togliere le briglie alla circolazione dei capitali tra le due
sponde dell’atlantico: “Gli Stati Uniti non hanno mai nascosto che la creazione
di un’Europa unita e da loro controllata fosse la premessa della propria
politica estera. Per costruirla hanno utilizzato e utilizzano la Nato”.
E gli Usa non si sono limitati a un lavoro di soft power, per così dire, ma
hanno direttamente coinvolto il deep state per incanalare quello che è sempre
stato descritto come uno “spontaneo afflato” dei popoli europei verso la
“giusta” (cioè voluta dagli americani) direzione. A confermare questo quadro vi
sono ricerche d’archivio condotte negli ultimi anni. Nel 2000, venne pubblicato
su The Telegraph, dal giornalista Evans Pritchard, il risultato delle indagini
svolte da Joshua Paul, studioso della Georgetown University. Lo scoop in
questione portò alla luce documenti attestanti il fatto che organismi legati
all’intelligence americana, inclusa la Cia, avevano finanziato e sostenuto per
anni movimenti, think tank e personalità politiche favorevoli all’unificazione
europea, considerando quest’ultima un tassello fondamentale della strategia
occidentale nel pieno della Guerra fredda.
Secondo Joshua Paul, un memorandum del 1950, sottoscritto dal generale William
Donovan, già direttore dell’Oss (antesignano della Cia) durante il secondo
conflitto mondiale, indicava nell’American Committee for a United Europe (Acue)
il “veicolo” per la realizzazione degli obiettivi statunitensi. Nella direzione
dell’Acue troviamo proprio Donovan e alcuni altri ufficiali della Cia. L’Acue
finanziò il “Movimento europeo”, l’organizzazione su cui confluirono nel 1948
numerosi movimenti unitari europei (di cui facevano parte Winston Churchill,
Konrad Adenauer, Léon Blum e Alcide De Gasperi) che nel 1958 arrivò a incamerare
il 53,5% dei propri fondi proprio dagli Usa. In uno di questi memorandum, la
sezione “affari europei” del dipartimento di stato Usa “suggeriva” al
vicepresidente della Comunità Economica Europea (Cee), Robert Marjolin, di
“portare avanti in segreto” i progetti di Unione monetaria finché “l’adozione di
tali proposte diventerà virtualmente inevitabile”.
Per tutte le suesposte ragioni, le parole di Trump e soprattutto quelle di Musk,
appaiono oggi come una sorta di “oggetto verbale non identificato” nella storia
delle relazioni transatlantiche, un elemento totalmente alieno rispetto
all’approccio di tutte le amministrazioni Usa per quasi un secolo. E meritano
una riflessione.
Forse, i cittadini europei – prima di cedere al sussulto “patriottico” ed
euro-sovranista invocato dagli attuali vertici della Ue – dovrebbero chiedersi:
1) se sia mai esistito un desiderio autenticamente popolare di fusione dal basso
delle singole sovranità nazionali del vecchio continente in quella entità cui
diamo il nome di Unione; 2) se questa entità – alla luce delle vicende degli
ultimi anni, della scarsa legittimazione dei suoi apici e dell’opaca e quasi
“illeggibile” modalità di funzionamento della medesima – possa realmente
definirsi “democratica; 3) se, e in che misura, lungo questo cammino, i popoli
europei siano stati “usati” e manipolati (tramite una ben precisa operazione di
intelligence) da certe realtà d’oltreoceano; 4) se quello evocato da Musk – al
netto delle considerazioni, dei dubbi, delle riserve che il personaggio in
questione solleva a ogni piè sospinto – non sia, dopotutto, uno scenario da
prendere in seria considerazione.
www.francescocarraro.com
L'articolo Perché credo che le parole di Trump e Musk sull’abolizione dell’Ue
meritino una riflessione proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo giorni di preoccupazione per i ritardi dell’Arena di Santa Giulia, ora
dalle testate statunitensi arriva un nuovo allarme: la pista da hockey delle
Olimpiadi di Milano-Cortina è più corta rispetto agli standard previsti dalla
NHL. È quanto riportano The Athletic, il portale di sport del New York Times, ma
anche ESPN e altri media nordamericani, che definiscono la situazione
“incomprensibile” a ormai meno di due mesi dall’arrivo a Milano dei campioni
della NHL, la lega di hockey più prestigiosa al mondo. La sensazione comune,
almeno oltreoceano, è che Milano-Cortina non stia offrendo l’accoglienza attesa
per la disciplina più amata dal pubblico americano. E ora, oltre ai ritardi,
anche le dimensioni della pista rischiano di trasformarsi in un caso
internazionale alle porte delle Olimpiadi.
Secondo quanto emerso dalle ricostruzioni pubblicate negli Stati Uniti, la
superficie di gioco misura circa 3 o 4 piedi in meno rispetto ai canonici 200
piedi delle piste NHL. L’autorevole The Athletic ha riferito che l’IIHF, ovvero
la Federazione internazionale di hockey su ghiaccio, ha approvato una pista da
hockey lunga 196.85 piedi, quindi più corta di quasi un metro. Un clamoroso
errore? No, o almeno non sembra. Perché le misure standard di una pista previste
dalla federazione internazionale stabiliscono una lunghezza esattamente di 197
piedi. Sono le piste nordamericane a essere tradizionalmente più grandi: la NHL,
che è appunto la principale lega professionista al mondo, prevede misure diverse
per favorire lo spettacolo. Il punto però riguarda gli accordi presi da Cio (il
Comitato Olimpico Internazionale), Federazione di hockey e NHL. Per capirci
qualcosa bisogna procedere con ordine.
I campioni di hockey che giocano nella NHL hanno saltato le ultime due edizioni
delle Olimpiadi: l’ultima partecipazione risale al 2014. Dopo una lunga
trattativa, però, la lega americana ha concesso il ritorno dei propri giocatori
ai Giochi proprio in occasione di Milano-Cortina 2026. Un evento attesissimo
negli Usa e in Canada, dove l’hockey è considerata la vera disciplina regina
delle Olimpiadi invernali, molto più dello sci alpino. Tra gli accordi presi con
la NHL, però, ci sarebbe stato anche quello di prevedere una pista da hockey che
rispetti gli standard americani, non quelli internazionali tradizionalmente
usati in Europa. Questo almeno sostengono The Athletic, Espn e altre testate
specializzate. Questo si intuisce anche dalla rabbia di Pete DeBoer, assistente
allenatore della Nazionale canadese, che in un’intervista radiofonica a
Sportsnet ha dichiarato: “La superficie del ghiaccio sembra che sarà più piccola
rispetto agli standard della NHL di circa 90 o 120 centimetri. Non capisco come
sia successo”.
Perché alla fine gli standard richiesti dalla NHL non sono stati rispettati?
Difficile saperlo oggi, quando l’impianto è ancora in costruzione. Le testate
statunitensi parlano anche “preoccupazione crescente”, legata soprattutto al
fatto che l’arena non è ancora stata testata: la prima prova ufficiale è attesa
solo a gennaio, a poche settimane dal debutto olimpico. I giornali americani
hanno evidenziato con fastidio che i giocatori NHL, al ritorno ai Giochi dopo 12
anni di assenza, “giocheranno in un palazzetto che non è mai stato utilizzato”.
E non esiste un piano alternativo.
A peggiorare il quadro c’è la natura stessa della struttura: Santa Giulia è nata
come arena privata per i concerti, il problema della dimensione della pista
potrebbe essere anche il meno grave. Infatti, come rivelato da Altreconomia,
l’impianto presenta alcuni problemi di visibilità in base alle normative
previste per gli eventi di hockey su ghiaccio. Lo ha scritto nero su bianco
oltre un anno fa la commissione Impianti sportivi del Coni. Per giocare i match
olimpici di hockey è stata prevista una deroga, poi a Santa Giulia non vedranno
mai più né ghiaccio, né puck, né pattini. L’unico evento sportivo praticabile
con successo nella nuova arena sarà il tennis. Come se non bastasse, anche i
lavori sul fronte logistico sono in ritardo. La nuova linea del tram che servirà
il palazzetto non sarà pronta in tempo: gli spettatori dovranno affidarsi ai bus
sostitutivi.
Alcune fonti hanno riferito a ESPN che non ci sono indicazioni sulla possibilità
che la NHL arrivi a ritirare i suoi atleti dalle Olimpiadi. Ma il sito
HockeyFeed ha rivelato che gli americani avrebbero preferito di gran lunga
disputare i match di hockey all’Inalpi Arena di Torino, l’impianto nato proprio
per i Giochi del 2006 e ora utilizzato per le Atp Finals. Già solo questo è uno
smacco per Milano e per le prossime Olimpiadi invernali.
L'articolo Milano-Cortina, la denuncia dagli Usa: “La pista da hockey nella
nuova arena è più corta rispetto agli standard NHL” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“È stata una scena particolarmente difficile e brutale”. Attimi di terrore nelle
vie di Tullahoma, nel Tennessee, dove un uomo di 50 anni, James Alexander Smith,
e la sua nipotina di tre mesi sono stati uccisi dai due cani di famiglia di
razza pitbull. Quando gli agenti sono arrivati sul posto, intorno alle 15 di
mercoledì, i cani stavano ancora sbranando le vittime. L’ufficio del procuratore
distrettuale ha reso noto che gli animali sono stati abbattuti per fermare
l’attacco, ma per Smith e la bambina non c’era già più nulla da fare. “È stata
una scena particolarmente difficile e brutale”, si legge nella nota del
procuratore riportata dall’Independent. “Chiediamo di pregare per la famiglia
delle vittime e per i soccorritori che stanno affrontando il trauma di quanto
accaduto”, ha aggiunto precisando che “i cani sono stati uccisi per fermare
l’attacco”. Tuttavia, quando i pitbull sono stati soppressi, sia Smith che la
nipotina erano già deceduti.
Un vicino di casa, Brian Kirby, ha riferito a un’emittente locale di aver visto
poco prima una donna urlare in strada. Quando ha tentato di avvicinarla, la
donna è rientrata rapidamente nella sua abitazione. Pochi istanti dopo sono
arrivate le forze dell’ordine, che hanno messo fine all’attacco. Kirby ha
aggiunto che i cani coinvolti non erano nuovi a comportamenti aggressivi e
sostiene che uno di loro avesse ucciso in passato il suo gatto di otto anni.
Nonostante ciò, il vicino ha voluto precisare di non attribuire intenzionalità
ai proprietari: “Non credo che pensassero che potesse accadere una cosa simile.
Non è stato fatto di proposito. Le persone tengono animali e dovrebbero
semplicemente tenerli meglio sotto controllo, questo è tutto”. Ha poi aggiunto:
“Non sto dando la colpa a loro. Sono più devastati di chiunque altro, perché
riguardava la loro famiglia. È difficile da comprendere”. Gli altri cani
presenti nella casa sono stati sequestrati dal servizio di controllo animale di
Tullahoma. Una decisione definitiva sul loro futuro non è ancora stata presa.
L'articolo “Una scena brutale”: nonno e nipotina di 3 mesi sbranati a morte da i
loro due pittbull. Un vicino di casa: “Quei cani avevano già ucciso il mio
gatto” proviene da Il Fatto Quotidiano.