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“Gli Usa hanno attaccato una nave partita dalla Cina e diretta in Iran”
Un’operazione in mare aperto per impedire all’Iran di ricostituire il suo arsenale dopo i raid americani e israeliani di giugno. A raccontare del blitz è il Wall Street Journal che, sulla base di resoconti di ufficiali Usa, scrive di come a novembre le forze americane sarebbero salite a bordo di una nave nell’oceano Indiano per sequestrare materiale partito dalla Cina e diretto a Teheran. Quando le forze speciali statunitensi hanno abbordato il cargo, la nave sarebbe stata a centinaia di miglia dalla costa dello Sri Lanka. L’imbarcazione ha poi potuto riprendere il viaggio, affermano le fonti del Wsj, secondo cui gli Stati Uniti avevano monitorato attentamente la spedizione e le informazioni di intelligence raccolte suggerivano il carico fosse destinato ad aziende iraniane specializzate nell’approvvigionamento di componenti per il programma missilistico della Repubblica Islamica. Nel carico c’erano componenti potenzialmente utili per la realizzazione di armi convenzionali, ha detto un ufficiale. Il materiale è stato distrutto, ha aggiunto, e le componenti sequestrate erano ‘dual-use’. Nessun dettaglio è stato fornito sull’armatore né sul nome della nave. No comment dal Comando Indo-Pacifico, che ha condotto il blitz. Nessuna risposta è arrivata anche dalle richieste di commento da parte del giornale ai ministeri degli Esteri di Cina e Iran. L'articolo “Gli Usa hanno attaccato una nave partita dalla Cina e diretta in Iran” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“La macchina mi ha salvato la vita, se sono vivo é grazie a lei”: a un infarto mentre guida, la sua Tesla se ne accorge e guida da sola verso il pronto soccorso
Negli Stati Uniti la guida automatica di una Tesla si è rivelata decisiva per le sorti di un uomo. Come raccontato dal signore su X (il cui profilo è Wenlll), si è sentito male mentre si trovava al volante della sua supercar. Impossibilitato a proseguire, l’uomo ha attivato il sistema FSD (Supervised), ossia il meccanismo di guida automatica della Tesla, chiedendo alla macchina di portarlo all’ospedale più vicino. Pochi minuti dopo l’arrivo nella struttura, l’uomo ha avuto un arresto cardiaco ed è stato rianimato. In questo caso, l’intervento della tecnologia avanzata della Tesla si è rivelato essenziale per le sorti del suo proprietario. UNA MACCHINA GENIALE L’uomo è in convalescenza dopo l’operazione a cuore aperto subita il 14 novembre. Il cittadino del Nevada deve ringraziare la sua auto – e sé stesso per i soldi spesi – per aver accelerato i tempi. L’attesa di un’ambulanza, infatti, si sarebbe potuta rivelare fatale. Il proprietario della macchina ha dichiarato: “Il FSD di Tesla mi ha letteralmente salvato la vita e potenzialmente anche quella di altri sulla strada”. Il veicolo può contattare i servizi di emergenza e fornire assistenza grazie all’intelligenza artificiale integrata, capace di offrire indicazioni utili in caso di necessità. L'articolo “La macchina mi ha salvato la vita, se sono vivo é grazie a lei”: a un infarto mentre guida, la sua Tesla se ne accorge e guida da sola verso il pronto soccorso proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L’attore Andy Dick trovato a terra in mezzo alla strada privo di sensi: “È vivo solo grazie alla prontezza di alcuni passanti”
Paura per Andy Dick. Come mostrato in un filmato pubblicato sui social da TMZ, l’attore della saga di Zoolander è stato ritrovato privo di sensi per strada. La causa del malessere è un’overdose da oppioidi. La star di Hollywood è stata soccorsa da alcuni passanti che lo hanno scosso e sollevato con la forza. Le persone hanno chiamato il 911 e hanno chiesto l’aiuto dei paramedici. Questi ultimi hanno somministrato a Dick una dose di Narcan, un farmaco che inverte gli effetti degli oppiacei assunti dall’attore. Dopo essersi ripreso, il 60enne ha rifiutato di essere trasportato in ospedale. Intervistato telefonicamente da TMZ, Andy Dick ha dichiarato di essere sollevato di stare bene, senza aggiungere dettagli riguardo la sua situazione. LE DIPENDENZE E I PROBLEMI CON LA LEGGE Negli Stati Uniti Andy Dick è tanto conosciuto per la stand-up comedy quanto per i suoi reati. L’uomo è stato più volte accusato di molestie e aggressioni. Come confessato nel 2011 a WTF, programma condotto da Marc Maron, l’attore si è pentito di aver esagerato con l’alcol: “Avrei più successo nel settore se non bevessi. Non mi pento di bere, ma a volte mi pento di bere troppo e mi pento di alcuni momenti di blackout: sono troppi per poterli contare”. Troppi momenti complicati che hanno portato Dick ad altrettanti casi mediatici tra cui l’arresto nel 2008 per le molestie su una minorenne e un secondo fermo per violenze domestiche nel 2021. Nel 2017, come raccontato dal sito People, l’attore fu cacciato dal set della commedia “Vampire dad” per comportamenti scorretti. > Former comedian Andy Dick has fallen from grace so completely. TMZ has a video > of him overdosing on drugs. I hope he gets the help he needs. This is just so > sad to see. pic.twitter.com/QOiIQxMimi > > — Ian Miles Cheong (@ianmiles) December 10, 2025 L'articolo L’attore Andy Dick trovato a terra in mezzo alla strada privo di sensi: “È vivo solo grazie alla prontezza di alcuni passanti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Elicotteri militari e fucili spianati: così i soldati Usa hanno sequestrato la petroliera al largo del Venezuela. Il video
L’attorney general Pam Bondi ha pubblicato su X un video sul sequestro di una petroliera al largo del Venezuela che mostra personale armato Usa calarsi sulla nave da un elicottero, per poi muoversi sul ponte con le armi puntate. L’Fbi, Homeland Security Investigations e la Guardia Costiera degli Stati Uniti, col supporto del Dipartimento della Guerra, ha spiegato, “hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio sanzionato proveniente da Venezuela e Iran“. “Per diversi anni – ha dichiarato – la petroliera è stata sanzionata dagli Stati Uniti a causa del suo coinvolgimento in una rete illecita di trasporto di petrolio a supporto di organizzazioni terroristiche straniere. Questo sequestro, completato al largo della costa venezuelana, è stato condotto in modo sicuro e protetto, e la nostra indagine insieme al Dipartimento della Sicurezza Interna per prevenire il trasporto di petrolio sanzionato continua”. Il sequestro è avvenuto in acque internazionali, ha dichiarato un alto funzionario statunitense, e si è svolto senza incidenti o vittime, sia tra il personale statunitense che tra l’equipaggio della petroliera. La nave, chiamata Skipper, trasportava greggio venezuelano, ha aggiunto il funzionario. La petroliera era stata precedentemente associata al petrolio iraniano, e un giudice federale aveva emesso un mandato per il suo sequestro a causa di questi legami. L'articolo Elicotteri militari e fucili spianati: così i soldati Usa hanno sequestrato la petroliera al largo del Venezuela. Il video proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Trump sequestra una petroliera al largo del Venezuela: “È per un buon motivo”. La mossa accresce le tensioni con Caracas
L’amministrazione Usa guidata da Donald Trump ha sequestrato una petroliera al largo delle coste del Venezuela. La notizia, anticipata dall’agenzia di stampa internazionale Reuters, è stata confermata da Trump parlando con i giornalisti alla Casa Bianca: “Come probabilmente saprete, abbiamo appena sequestrato una petroliera al largo delle coste del Venezuela. Una grande petroliera, molto grande, in realtà la più grande mai sequestrata. E stanno succedendo altre cose, vedrete più tardi”, ha detto. Secondo fonti citate dall’agenzia Associated press, l’operazione è stata condotta dalla Guardia costiera statunitense insieme alla Marina. Il tycoon non è entrato nel dettaglio dei motivi dell’azione, limitandosi a dire che il sequestro è avvenuto “per una buona ragione”. La vicenda è destinata a far salire la tensione già alta tra i governi di Washington e Caracas, dovuta al massiccio rafforzamento militare statunitense nella regione: appena il giorno prima, il Pentagono aveva fatto sorvolare il golfo del Venezuela da due jet da combattimento, sfiorando lo spazio aereo del Paese sudamericano. Il Venezuela possiede le maggiori riserve petrolifere accertate al mondo e produce circa un milione di barili al giorno: esclusa dai mercati petroliferi globali dalle sanzioni statunitensi, la compagnia petrolifera statale (la Pdvsa) vende la maggior parte della sua produzione a prezzi fortemente scontati alle raffinerie cinesi. Le transazioni di solito coinvolgono una complessa rete di intermediari poco trasparenti, poiché le sanzioni hanno allontanato i trader più affermati. Molte sono società di comodo, registrate in giurisdizioni note per la loro segretezza. Gli acquirenti utilizzano “petroliere fantasma” che nascondono la loro posizione e consegnano i loro carichi di valore in mezzo all’oceano prima che raggiungano la destinazione finale. Nonostante le crescenti pressioni sul presidente venezuelano Nicolás Maduro, Trump finora non era mai intervenuto concretamente per ostacolare i flussi petroliferi del Paese. L'articolo Trump sequestra una petroliera al largo del Venezuela: “È per un buon motivo”. La mossa accresce le tensioni con Caracas proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Per entrare negli Usa bisognerà mostrare l’attività sui social degli ultimi 5 anni. E vale anche per i turisti italiani
Al momento è una proposta del Customs and Border Protection (Cbp), l’Agenzia americana per la protezione delle frontiere. Ma il contenuto della misura è molto rilevante: gli Stati Uniti chiederanno a tutti i turisti stranieri di fornire i dati relativi agli ultimi cinque anni di attività sui social media per poter entrare nel Paese. Una proposta, pubblicata sul Federal Register, che renderebbe così obbligatorio il controllo dei profili online anche per i visitatori che provengono dagli Stati che normalmente non necessitano di visto, come Regno Unito e Paesi dell’Unione europea, Italia compresa. Secondo i media statunitensi, la nuova regola dovrebbe entrare in vigore già all’inizio del 2026. Al momento, per i turisti italiani (come i cittadini di altri 41 Paesi) possono entrare negli Stati Uniti, per un soggiorno fino a 90 giorni, senza visto ma solamente richiedendo online e prima del viaggio l’autorizzazione elettronica obbligatoria “Esta” (Electronic System for Travel Authorization). Tra poco, nella stessa procedura, i richiedenti dovranno fornire non solo le proprie generalità, ma anche numeri di telefono e indirizzi email utilizzati negli ultimi cinque anni, oltre ai dati anagrafici dei familiari più stretti. Il Dipartimento di Stato ha inoltre chiesto ai funzionari consolari di monitorare eventuali “segnali di ostilità” verso gli Stati Uniti nei contenuti social degli aspiranti visitatori. Una stretta che arriva mentre l’amministrazione di Donald Trump ha già rafforzato i controlli sulla “presenza online” per diverse categorie di visti, dagli H-1B (il visto di lavoro temporaneo destinato a lavoratori stranieri altamente specializzati) agli ingressi per studio e scambi culturali, a pochi mesi dai Mondiali di calcio che si terranno anche negli Stati Uniti a giugno. La proposta ha già provocato le critiche delle organizzazioni per i diritti digitali, come la Electronic Frontier Foundation, che denunciano il rischio di una sorveglianza eccessiva e intimidatoria sui viaggiatori. Ci saranno 60 giorni di tempo per inviare osservazioni sulla proposta, che conferma ulteriormente l’ampio giro di vite dell’amministrazione Trump non solo sull’immigrazione legale ma su tutti i criteri d’ingresso nel Paese. L'articolo Per entrare negli Usa bisognerà mostrare l’attività sui social degli ultimi 5 anni. E vale anche per i turisti italiani proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Cher sta per sposarsi con Alexander Edwards, 40 anni più piccolo”: la rivelazione del Mirror e la rabbia della cantante per le insinuazioni sul “vero amore”
Cher convola a nozze? Forse sì. L’indiscrezione arriva da una fonte interna al tabloid The Mirror, che riporta la volontà della cantante e attrice di giurare amore eterno ad Alexander Edwards. I 40 anni di differenza d’età non sembrano essere un problema per i (probabili) futuri coniugi che, sempre secondo il tabloid inglese, avrebbero già individuato il periodo delle nozze: maggio 2026, in occasione del compleanno dell’artista. Per Cher, dunque, il matrimonio con Alexander sembra essere più di un’idea. Il produttore discografico sarebbe il terzo marito della cantante statunitense, dopo Sonny Bono e Gregg Allman. MANCA LA CONFERMA È bene sottolineare che, al momento, manca una conferma ufficiale dalla coppia. L’entourage di Cher ha timidamente smentito le nozze, anche se per Cher e Alexander Edwards non si tratta della prima volta in cui spunta il tema matrimonio. Nel 2022 i tabloid avevano rivelato che i due artisti sarebbero presto diventati marito e moglie. La cantante aveva detto: “Ai miei coetanei non piaccio molto. Mentre ai giovani non importa se sei buffa o stravagante, o vuoi fare stupidaggini e hai una forte personalità. Non rinuncerei alla mia personalità per nessuno”. Dunque l’amore per Alexander è puro, uno di quelli in cui non serve cambiare per l’altra persona perchè quest’ultima ti ama incondizionatamente. Alcuni utenti sui social hanno richiamato l’attenzione di Cher sul lato economico. I “soli” 40 anni di differenza tra i due non sono nulla rispetto al divario tra i patrimoni. Il musicista può contare su 2 milioni di dollari, la star del pop su una cifra che ammonta a circa 360 milioni. “Non sono nata ieri” aveva risposto Cher ai fan che hanno messo in dubbio l’amore di Edwards per la quasi 80enne. CHI È ALEXANDER EDWARDS Cher ha messo in chiaro che Alexander Edwards è l’amore della sua vita. “AE”, il nome d’arte del produttore, sarebbe il terzo marito della statunitense dopo i matrimoni con Sonny Bono e Gregg Allman. La cantante ha avuto altre relazioni con vip come Tom Cruise e Val Kilmer. Il prossimo potrebbe essere Edward. 39enne, il musicista è vicepresidente dell’etichetta discografica Def Jam Recordings. In passato ha avuto con Amber Rose, ex di Kanye West. In un’intervista la modella ha dichiarato che Alexander l’avrebbe tradita con 12 donne diverse. La fedeltà non è certo un pregio del produttore, che potrebbe avere difficoltà con i vincoli (spirituali e burocratici) del matrimonio. L'articolo “Cher sta per sposarsi con Alexander Edwards, 40 anni più piccolo”: la rivelazione del Mirror e la rabbia della cantante per le insinuazioni sul “vero amore” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Matrimonio
Pettegolino
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Perché credo che le parole di Trump e Musk sull’abolizione dell’Ue meritino una riflessione
Le recenti dichiarazioni, sull’Unione europea, di Donald Trump e di Elon Musk – con quest’ultimo arrivato a sostenere apertamente che la Ue dovrebbe essere “abolita” – segnano un punto di discontinuità sconvolgente se confrontato con la storia dei tradizionali rapporti tra Stati Uniti ed Europa unita. In particolare, se consideriamo come e quanto gli Usa abbiano non solo ufficialmente e legittimamente “auspicato” e “assecondato” il processo di unificazione europeo, ma quanto lo abbiano deliberatamente, e astutamente, “influenzato” e “manipolato” fin dagli albori. È noto, e ormai ampiamente documentato, che l’Europa occidentale del dopoguerra venne ricostruita dentro un perimetro rigidamente americano: dai fondi del Piano Marshall alla creazione di un mercato perfettamente complementare a quello statunitense fino al vincolo atlantico tramite la Nato, prerequisito obbligatorio per ogni Paese che volesse salire sul treno dell’integrazione. In una intervista del 2015, Morris Mottale, professore di relazioni internazionali, politica comparata e studi strategici presso la facoltà di Scienze Politiche della Franklin University, università americana con sede a Sorengo, vicino a Lugano, ha avallato una tesi ben precisa. E cioè che l’Unione europea – lungi dall’essere un’idea frutto della spontanea aggregazione di un “comune sentire” dei popoli – sia una costruzione in vitro degli americani finalizzata a togliere le briglie alla circolazione dei capitali tra le due sponde dell’atlantico: “Gli Stati Uniti non hanno mai nascosto che la creazione di un’Europa unita e da loro controllata fosse la premessa della propria politica estera. Per costruirla hanno utilizzato e utilizzano la Nato”. E gli Usa non si sono limitati a un lavoro di soft power, per così dire, ma hanno direttamente coinvolto il deep state per incanalare quello che è sempre stato descritto come uno “spontaneo afflato” dei popoli europei verso la “giusta” (cioè voluta dagli americani) direzione. A confermare questo quadro vi sono ricerche d’archivio condotte negli ultimi anni. Nel 2000, venne pubblicato su The Telegraph, dal giornalista Evans Pritchard, il risultato delle indagini svolte da Joshua Paul, studioso della Georgetown University. Lo scoop in questione portò alla luce documenti attestanti il fatto che organismi legati all’intelligence americana, inclusa la Cia, avevano finanziato e sostenuto per anni movimenti, think tank e personalità politiche favorevoli all’unificazione europea, considerando quest’ultima un tassello fondamentale della strategia occidentale nel pieno della Guerra fredda. Secondo Joshua Paul, un memorandum del 1950, sottoscritto dal generale William Donovan, già direttore dell’Oss (antesignano della Cia) durante il secondo conflitto mondiale, indicava nell’American Committee for a United Europe (Acue) il “veicolo” per la realizzazione degli obiettivi statunitensi. Nella direzione dell’Acue troviamo proprio Donovan e alcuni altri ufficiali della Cia. L’Acue finanziò il “Movimento europeo”, l’organizzazione su cui confluirono nel 1948 numerosi movimenti unitari europei (di cui facevano parte Winston Churchill, Konrad Adenauer, Léon Blum e Alcide De Gasperi) che nel 1958 arrivò a incamerare il 53,5% dei propri fondi proprio dagli Usa. In uno di questi memorandum, la sezione “affari europei” del dipartimento di stato Usa “suggeriva” al vicepresidente della Comunità Economica Europea (Cee), Robert Marjolin, di “portare avanti in segreto” i progetti di Unione monetaria finché “l’adozione di tali proposte diventerà virtualmente inevitabile”. Per tutte le suesposte ragioni, le parole di Trump e soprattutto quelle di Musk, appaiono oggi come una sorta di “oggetto verbale non identificato” nella storia delle relazioni transatlantiche, un elemento totalmente alieno rispetto all’approccio di tutte le amministrazioni Usa per quasi un secolo. E meritano una riflessione. Forse, i cittadini europei – prima di cedere al sussulto “patriottico” ed euro-sovranista invocato dagli attuali vertici della Ue – dovrebbero chiedersi: 1) se sia mai esistito un desiderio autenticamente popolare di fusione dal basso delle singole sovranità nazionali del vecchio continente in quella entità cui diamo il nome di Unione; 2) se questa entità – alla luce delle vicende degli ultimi anni, della scarsa legittimazione dei suoi apici e dell’opaca e quasi “illeggibile” modalità di funzionamento della medesima – possa realmente definirsi “democratica; 3) se, e in che misura, lungo questo cammino, i popoli europei siano stati “usati” e manipolati (tramite una ben precisa operazione di intelligence) da certe realtà d’oltreoceano; 4) se quello evocato da Musk – al netto delle considerazioni, dei dubbi, delle riserve che il personaggio in questione solleva a ogni piè sospinto – non sia, dopotutto, uno scenario da prendere in seria considerazione. www.francescocarraro.com L'articolo Perché credo che le parole di Trump e Musk sull’abolizione dell’Ue meritino una riflessione proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Milano-Cortina, la denuncia dagli Usa: “La pista da hockey nella nuova arena è più corta rispetto agli standard NHL”
Dopo giorni di preoccupazione per i ritardi dell’Arena di Santa Giulia, ora dalle testate statunitensi arriva un nuovo allarme: la pista da hockey delle Olimpiadi di Milano-Cortina è più corta rispetto agli standard previsti dalla NHL. È quanto riportano The Athletic, il portale di sport del New York Times, ma anche ESPN e altri media nordamericani, che definiscono la situazione “incomprensibile” a ormai meno di due mesi dall’arrivo a Milano dei campioni della NHL, la lega di hockey più prestigiosa al mondo. La sensazione comune, almeno oltreoceano, è che Milano-Cortina non stia offrendo l’accoglienza attesa per la disciplina più amata dal pubblico americano. E ora, oltre ai ritardi, anche le dimensioni della pista rischiano di trasformarsi in un caso internazionale alle porte delle Olimpiadi. Secondo quanto emerso dalle ricostruzioni pubblicate negli Stati Uniti, la superficie di gioco misura circa 3 o 4 piedi in meno rispetto ai canonici 200 piedi delle piste NHL. L’autorevole The Athletic ha riferito che l’IIHF, ovvero la Federazione internazionale di hockey su ghiaccio, ha approvato una pista da hockey lunga 196.85 piedi, quindi più corta di quasi un metro. Un clamoroso errore? No, o almeno non sembra. Perché le misure standard di una pista previste dalla federazione internazionale stabiliscono una lunghezza esattamente di 197 piedi. Sono le piste nordamericane a essere tradizionalmente più grandi: la NHL, che è appunto la principale lega professionista al mondo, prevede misure diverse per favorire lo spettacolo. Il punto però riguarda gli accordi presi da Cio (il Comitato Olimpico Internazionale), Federazione di hockey e NHL. Per capirci qualcosa bisogna procedere con ordine. I campioni di hockey che giocano nella NHL hanno saltato le ultime due edizioni delle Olimpiadi: l’ultima partecipazione risale al 2014. Dopo una lunga trattativa, però, la lega americana ha concesso il ritorno dei propri giocatori ai Giochi proprio in occasione di Milano-Cortina 2026. Un evento attesissimo negli Usa e in Canada, dove l’hockey è considerata la vera disciplina regina delle Olimpiadi invernali, molto più dello sci alpino. Tra gli accordi presi con la NHL, però, ci sarebbe stato anche quello di prevedere una pista da hockey che rispetti gli standard americani, non quelli internazionali tradizionalmente usati in Europa. Questo almeno sostengono The Athletic, Espn e altre testate specializzate. Questo si intuisce anche dalla rabbia di Pete DeBoer, assistente allenatore della Nazionale canadese, che in un’intervista radiofonica a Sportsnet ha dichiarato: “La superficie del ghiaccio sembra che sarà più piccola rispetto agli standard della NHL di circa 90 o 120 centimetri. Non capisco come sia successo”. Perché alla fine gli standard richiesti dalla NHL non sono stati rispettati? Difficile saperlo oggi, quando l’impianto è ancora in costruzione. Le testate statunitensi parlano anche “preoccupazione crescente”, legata soprattutto al fatto che l’arena non è ancora stata testata: la prima prova ufficiale è attesa solo a gennaio, a poche settimane dal debutto olimpico. I giornali americani hanno evidenziato con fastidio che i giocatori NHL, al ritorno ai Giochi dopo 12 anni di assenza, “giocheranno in un palazzetto che non è mai stato utilizzato”. E non esiste un piano alternativo. A peggiorare il quadro c’è la natura stessa della struttura: Santa Giulia è nata come arena privata per i concerti, il problema della dimensione della pista potrebbe essere anche il meno grave. Infatti, come rivelato da Altreconomia, l’impianto presenta alcuni problemi di visibilità in base alle normative previste per gli eventi di hockey su ghiaccio. Lo ha scritto nero su bianco oltre un anno fa la commissione Impianti sportivi del Coni. Per giocare i match olimpici di hockey è stata prevista una deroga, poi a Santa Giulia non vedranno mai più né ghiaccio, né puck, né pattini. L’unico evento sportivo praticabile con successo nella nuova arena sarà il tennis. Come se non bastasse, anche i lavori sul fronte logistico sono in ritardo. La nuova linea del tram che servirà il palazzetto non sarà pronta in tempo: gli spettatori dovranno affidarsi ai bus sostitutivi. Alcune fonti hanno riferito a ESPN che non ci sono indicazioni sulla possibilità che la NHL arrivi a ritirare i suoi atleti dalle Olimpiadi. Ma il sito HockeyFeed ha rivelato che gli americani avrebbero preferito di gran lunga disputare i match di hockey all’Inalpi Arena di Torino, l’impianto nato proprio per i Giochi del 2006 e ora utilizzato per le Atp Finals. Già solo questo è uno smacco per Milano e per le prossime Olimpiadi invernali. L'articolo Milano-Cortina, la denuncia dagli Usa: “La pista da hockey nella nuova arena è più corta rispetto agli standard NHL” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Una scena brutale”: nonno e nipotina di 3 mesi sbranati a morte da i loro due pittbull. Un vicino di casa: “Quei cani avevano già ucciso il mio gatto”
“È stata una scena particolarmente difficile e brutale”. Attimi di terrore nelle vie di Tullahoma, nel Tennessee, dove un uomo di 50 anni, James Alexander Smith, e la sua nipotina di tre mesi sono stati uccisi dai due cani di famiglia di razza pitbull. Quando gli agenti sono arrivati sul posto, intorno alle 15 di mercoledì, i cani stavano ancora sbranando le vittime. L’ufficio del procuratore distrettuale ha reso noto che gli animali sono stati abbattuti per fermare l’attacco, ma per Smith e la bambina non c’era già più nulla da fare. “È stata una scena particolarmente difficile e brutale”, si legge nella nota del procuratore riportata dall’Independent. “Chiediamo di pregare per la famiglia delle vittime e per i soccorritori che stanno affrontando il trauma di quanto accaduto”, ha aggiunto precisando che “i cani sono stati uccisi per fermare l’attacco”. Tuttavia, quando i pitbull sono stati soppressi, sia Smith che la nipotina erano già deceduti. Un vicino di casa, Brian Kirby, ha riferito a un’emittente locale di aver visto poco prima una donna urlare in strada. Quando ha tentato di avvicinarla, la donna è rientrata rapidamente nella sua abitazione. Pochi istanti dopo sono arrivate le forze dell’ordine, che hanno messo fine all’attacco. Kirby ha aggiunto che i cani coinvolti non erano nuovi a comportamenti aggressivi e sostiene che uno di loro avesse ucciso in passato il suo gatto di otto anni. Nonostante ciò, il vicino ha voluto precisare di non attribuire intenzionalità ai proprietari: “Non credo che pensassero che potesse accadere una cosa simile. Non è stato fatto di proposito. Le persone tengono animali e dovrebbero semplicemente tenerli meglio sotto controllo, questo è tutto”. Ha poi aggiunto: “Non sto dando la colpa a loro. Sono più devastati di chiunque altro, perché riguardava la loro famiglia. È difficile da comprendere”. Gli altri cani presenti nella casa sono stati sequestrati dal servizio di controllo animale di Tullahoma. Una decisione definitiva sul loro futuro non è ancora stata presa. L'articolo “Una scena brutale”: nonno e nipotina di 3 mesi sbranati a morte da i loro due pittbull. Un vicino di casa: “Quei cani avevano già ucciso il mio gatto” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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