Lavoro somministrato, l’indennità di disponibilità è un diritto: la sentenza del Consiglio di Stato parla a tutti

Il Fatto Quotidiano - Wednesday, December 3, 2025

A cura di Aldo Andrea Presutto*

C’è un tempo nel lavoro somministrato che non si vede, ma pesa sulla vita di chi lavora. È il tempo dell’attesa: quando il lavoratore non è ancora in missione, non ha compiti concreti eppure deve restare pronto in vista di una eventuale chiamata. Un tempo sospeso e imprevedibile, fuori dal suo controllo. Può durare ore, giorni o settimane, ma in quel tempo il lavoratore non può organizzare liberamente la propria giornata né programmare altre attività.

La legge tutela questo periodo con un diritto semplice ma fondamentale: l’indennità di disponibilità. Si tratta di un compenso riconosciuto per il solo fatto di essere pronto in caso di chiamata per lavorare. Riconosce il valore del tempo dell’attesa e sottolinea che la disponibilità del lavoratore è parte essenziale del funzionamento del sistema di somministrazione.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 7853 del 2025 ha riportato l’istituto al centro del dibattito, chiarendo con precisione significato e portata. Il caso riguardava l’Agenzia Ali, che durante la pandemia aveva sospeso i rapporti di lavoro e smesso di pagare l’indennità, puntando invece sulla cassa integrazione in deroga. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro aveva contestato questa scelta, sostenendo che la mancata corresponsione dell’indennità violava le norme di tutela dei lavoratori. L’agenzia, dal canto suo, sosteneva che non esistesse un obbligo generalizzato e che, non applicando il contratto collettivo nazionale, fosse libera di ignorare il pagamento.

Il Consiglio di Stato ha respinto queste argomentazioni con decisione, ribadendo che l’indennità è un diritto previsto dalla legge, indipendente da contratti collettivi o regolamenti interni dell’azienda. Nessuna regola interna può cancellarla. Il lavoratore ha diritto al compenso per tutto il periodo in cui resta in attesa di una missione, non solo per i quindici giorni eventualmente previsti da regole aziendali. La contrattazione collettiva può definire quanto spetta, mai se spetta.

E non si tratta di un rimborso eventuale: l’indennità è parte integrante della retribuzione, incide sui contributi e rientra pienamente nel sistema degli istituti economici previsti per il lavoro somministrato.

La sentenza ha chiarito anche il ruolo essenziale dell’Ispettorato. Il suo intervento non tutela solo i diritti dei singoli lavoratori, ma garantisce la correttezza e l’equilibrio dell’intero mercato. Se un’agenzia elude l’indennità, il danno non ricade solo su chi è in attesa, ma sulla credibilità e sul funzionamento del sistema della somministrazione. L’Ispettorato diventa così il presidio della legalità sostanziale: uno strumento che rende effettive le norme di protezione e impedisce che la flessibilità si trasformi in precarietà senza regole.

Il messaggio della Corte è chiaro: la flessibilità non può implicare vuoto di tutele. Il lavoratore in disponibilità non è “in pausa”, è parte importante del sistema stesso della somministrazione. Eliminare l’indennità significherebbe trasformare l’attesa necessaria in subordinazione senza reddito, un risultato contrario alla legge e alla logica stessa della somministrazione.

Questa pronuncia parla a tutti, non solo alle agenzie. Ricorda che un modello di lavoro flessibile funziona solo se accompagnato da garanzie solide e non negoziabili. L’indennità di disponibilità protegge chi è più vulnerabile, chi resta pronto a partire anche quando non ha compiti immediati. È una tutela invisibile ma indispensabile, che riconosce il valore del tempo dell’attesa e sostiene l’equilibrio del lavoro somministrato.

*Abilitato all’esercizio della professione forense, con oltre dieci anni di esperienza nel settore legale delle agenzie per il lavoro. Svolge attività di consulenza e divulgazione scientifica

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