
Rinnovabili, installazioni in calo. E la rimodulazione del Pnrr dimezza i fondi per le Comunità energetiche
Il Fatto Quotidiano - Wednesday, December 3, 2025La rimodulazione del Pnrr proposta daI Governo Meloni è stata servita, con il taglio alla dotazione per le Comunità energetiche rinnovabili che scende a 795,5 milioni di euro dai 2,2 miliardi previsti inizialmente. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica prima ha dato la notizia, a ridosso della scadenza del bando, scatenando le proteste del settore e, poi, ha annesso le rassicurazioni. Ma non bastano. Anche perché, le Cer non sono l’unica nota dolente sul fronte delle rinnovabili. Dopo anni di crescita che hanno segnato l’entrata in funzione di oltre due milioni di impianti (fonte Terna), l’Italia registra nel 2025 un brusco rallentamento: cala il numero di impianti e il Paese si conferma indietro rispetto all’obiettivo 2030 del decreto aree idonee. Numeri a parte, dopo una scia di ritardi e problemi, a chi sceglie di investire nelle Comunità energetiche rinnovabili non bastano le rassicurazioni del Mase. “Il ministero si farà parte attiva nel ricercare ulteriori risorse alle Cer, in caso di fabbisogno, sia attraverso l’eventuale rifinanziamento della misura, sia tramite il ricorso ad altri piani di investimento nazionali o europei”. L’ennesima ‘mossa’ del Governo non migliora una situazione di incertezza e tensione. “Giova ricordare – ha scritto il Mase nei giorni scorsi – che al 20 novembre 2025, l’obiettivo originario Pnrr di nuova capacità di generazione elettrica da Fer pari ad almeno 1730 megawatt è stato superato con oltre 1759 megawatt”. A tanto ammontano, in effetti, le richieste registrate dal Gse (per 772,5 milioni di euro). Ma giova anche ricordare che, rispetto agli obiettivi che si è posto il Governo Meloni con il Decreto Cer, ossia quello di raggiungere i 5 GW di potenza da impianti rinnovabili entro il 2027, l’Italia ha realizzato negli ultimi cinque anni appena 115 megawatt.
Il nodo delle Comunità energetiche rinnovabili
E che qualcosa non abbia funzionato, lo hanno certificato anche i dati forniti solo poche settimane fa dal Gse a ilfattoquotidiano.it. Per quel che riguarda la misura Pnrr destinata ai comuni con meno di 50mila abitanti, al 30 settembre 2025 i contributi concessi ammontavano a 425 milioni di euro. Il ministero ha giustificato le scelte della rimodulazione, ma il settore respira incertezza. “Riteniamo inopportuna, fuorviante e poco rispettosa di chi in questi mesi ha investito risorse e tempo per l’autorizzazione di progetti, la narrazione secondo cui gli obiettivi attesi di potenza da incentivare sarebbero stati raggiunti” è il commento del Coordinamento Free, che chiede al Governo di “trovare una nuova dotazione finanziaria (anche con fondi differenti da quelli Pnrr)”. Ma quali risorse intacca la rimodulazione? Si parla dei fondi per progetti di comunità (1,6 miliardi di euro) e gruppi di autoproduzione (600 milioni) con contributi a fondo perduto fino a un massimo del 40% delle spese ammissibili, per potenziare o realizzare nuovi impianti fotovoltaici di soci. “L’importo iniziale di 2,2 miliardi era stato definito nel 2021 – ha scritto lo stesso Mase nei giorni scorsi – sulla base di simulazioni che ipotizzavano un sostegno interamente erogato sotto forma di prestiti a tasso zero fino al 100% dei costi ammissibili, una modalità – secondo il ministro – poco conciliabile con la reale dinamica attuativa e con le effettive esigenze finanziarie delle potenziali iniziative progettuali Cer”. In conformità alla disciplina europea sugli aiuti di Stato, dunque, si è passati a un contributo a fondo perduto pari al 40% del costo dell’investimento. Data la necessità di rispettare le tempistiche indicate da Bruxelles (pena la mancata erogazione dei finanziamenti), però, il governo italiano ha proposto una rimodulazione del Pnrr. Ma il Mase rassicura: “I progetti che non avranno accesso ai fondi resteranno comunque in graduatoria per eventuali scorrimenti o rifinanziamenti”.
Il risultato scarso di un percorso a ostacoli
Ma quello delle Cer continua ad essere un percorso a ostacoli. Il decreto per gli incentivi destinati alle comunità energetiche e all’autoconsumo diffuso (Decreto Cacer) è arrivato in ritardo di 19 mesi, il 23 gennaio 2024. Più di un anno dopo, un altro decreto ministeriale ha prorogato dal 31 marzo 2025 al 30 novembre 2025 il termine per la presentazione da parte dei Comuni delle richieste per accedere al contributo per l’installazione e la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili inseriti in configurazioni di comunità energetiche, gruppi di autoconsumatori e autoconsumatore individuale a distanza. E se la misura era stata inizialmente indirizzata ai Comuni sotto i 5mila abitanti, a giugno 2025, vista la carenza di domande, il Mase ha esteso la platea anche ai Comuni fino a 50mila abitanti, confermando la scadenza del 30 novembre 2025 per presentare le domande. Ma molti problemi burocratici non sono stati risolti, come raccontato a ilfattoquotidiano.it dal vicepresidente di Italia Solare, Andrea Brumgnach. Un quadro dipinto anche da Legambiente e Kyoto Club che, in queste ore, al Forum Qualenergia, ricordano i dati sulle rinnovabili e presentano un report proprio sulle Cer. Ad oggi, considerando tutte le configurazioni relative all’autoconsumo, parliamo di 1.532 impianti (dati aggiornati a settembre 2025) che vedono il coinvolgimento di quasi 10mila utenze, stando al report di Legambiente. Tra queste configurazioni ci sono, in particolare, 597 Comunità energetiche rinnovabili per 67.695 kW complessivi (883 impianti), 288 gruppi di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente per 6.632 kW, (367 impianti) e 225 autoconsumatori individuali a distanza (39.709 kW, 259 impianti). Questi numeri restano bassi. A pesare, sono burocrazia, ostacoli fiscali, consueti ritardi nelle autorizzazioni, dinieghi da parte del distributore di zona fino ad arrivare ai tagli del Governo.
La versione del Mase
Secondo il ministero dell’Ambiente “la riduzione della dotazione deve essere letta come un necessario riallineamento responsabile alle esigenze reali e alle stringenti scadenze del Pnrr, che ha consentito di riassegnare risorse in eccesso ad altri interventi oggi più bisognosi, evitando il rischio di ‘reversal’ e tagli finanziari a chiusura del Piano”. E assicura che eventuali progetti che dovessero risultare ammissibili, ma non immediatamente finanziabili nell’ambito dell’attuale dotazione “potranno essere oggetto di prioritario monitoraggio, in modo da intercettare nuove risorse non appena disponibili”. Ma per il Coordinamento Free “la riallocazione di ingenti risorse, inizialmente destinate alle Cer, senza una corretta mappatura della previsione di spesa, rischia di danneggiare chi ha fatto affidamento su una ampia disponibilità di fondi, garantita fino a pochi giorni prima della scadenza naturale del bando”. Di fatto, a soli pochi giorni dalla comunicazione ufficiale, il sito del Gse indicava che le risorse richieste al 27 novembre 2025 ammontano a oltre 1.160. “Quindi, già oggi – scrive il coordinamento – esistono domande prive di copertura che hanno raggiunto quasi i 400 milioni di euro”.
Le associazioni contro i segnali del Governo sulle Cer
“L’annuncio a una decina di giorni dalla scadenza naturale del bando è stata una mossa sbagliata, perché ha creato nuova incertezza a chi aveva intenzione di partecipare al bando e a un mondo che si sta muovendo grazie alla proroga, necessaria, di quella scadenza” commenta a ilfattoquotidiano.it Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente. “La cosa importante è che questi progetti vengano finanziati e il governo dovrebbe dire, al più presto, con quali modalità” aggiunge. Sulla stessa linea il Coordinamento Free: “La scelta di riduzione della dotazione finanziaria, assunta a ridosso della scadenza del bando è un segnale di scarsa affidabilità istituzionale che genera incertezza e colpisce duramente migliaia di cittadini, famiglie, piccole e medie imprese e amministrazioni locali”.
Il punto sulle rinnovabili: un brusco rallentamento
Ma quello delle Cer è solo uno dei nodi del settore delle rinnovabili, come raccontano Legambiente e Kyoto Club. Nei primi dieci mesi del 2025, è calato del 27% il numero degli impianti rinnovabili realizzati rispetto allo stesso periodo del 2024. Sono quasi 182mila, oltre 67mila in meno. E le nuove installazioni si fermano a 5.400 megawatt (di cui 4.813 MW da solare fotovoltaico e 444 MW di eolico), un valore inferiore di 642 MW rispetto ai primi 10 mesi del 2024. Segno meno anche per la produzione di energia elettrica che si attesta a 98.712 GWh, con un -2,5% rispetto allo stesso periodo del 2024, conseguenza dovuta ad un importante calo di produzione dell’idroelettrico con meno 22,8%. Meno peggio il solare fotovoltaico: anche se registra una contrazione sia di potenza installata (-12,2%) sia del numero di impianti (-27%), l’aumento della produzione, rispetto al 2024, è del 24,3%, segno che gli impianti fotovoltaici installati sono mediamente più grandi ed efficienti.
I ritardi del decreto aree idonee
Lontano, invece, dal raggiungimento l’obiettivo 2030 del decreto Aree Idonee. Tra gennaio 2021 e ottobre 2025, secondo i dati aggiornati dell’osservatorio di Legambiente, sono pochi più di 23mila i megawatt di nuova potenza installata da fonti rinnovabili su un totale di 80mila richiesto entro il 2030. Ergo: l’Italia ha raggiunto solo il 28,9% dell’obiettivo al 2030. Tra l’altro, la crescita è stata lentissima negli ultimi due anni, considerando che nel 2023 era a quota 23,8%. Dodici le regioni che a ottobre 2025 non hanno ancora fatto la propria parte. Valle d’Aosta e Molise restano sotto al 15% del proprio target, mentre Calabria, Umbria, Sardegna, Toscana e Sicilia non superano il 20%.
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