La rimodulazione del Pnrr proposta daI Governo Meloni è stata servita, con il
taglio alla dotazione per le Comunità energetiche rinnovabili che scende a 795,5
milioni di euro dai 2,2 miliardi previsti inizialmente. Il ministero
dell’Ambiente e della Sicurezza energetica prima ha dato la notizia, a ridosso
della scadenza del bando, scatenando le proteste del settore e, poi, ha annesso
le rassicurazioni. Ma non bastano. Anche perché, le Cer non sono l’unica nota
dolente sul fronte delle rinnovabili. Dopo anni di crescita che hanno segnato
l’entrata in funzione di oltre due milioni di impianti (fonte Terna), l’Italia
registra nel 2025 un brusco rallentamento: cala il numero di impianti e il Paese
si conferma indietro rispetto all’obiettivo 2030 del decreto aree idonee. Numeri
a parte, dopo una scia di ritardi e problemi, a chi sceglie di investire nelle
Comunità energetiche rinnovabili non bastano le rassicurazioni del Mase. “Il
ministero si farà parte attiva nel ricercare ulteriori risorse alle Cer, in caso
di fabbisogno, sia attraverso l’eventuale rifinanziamento della misura, sia
tramite il ricorso ad altri piani di investimento nazionali o europei”.
L’ennesima ‘mossa’ del Governo non migliora una situazione di incertezza e
tensione. “Giova ricordare – ha scritto il Mase nei giorni scorsi – che al 20
novembre 2025, l’obiettivo originario Pnrr di nuova capacità di generazione
elettrica da Fer pari ad almeno 1730 megawatt è stato superato con oltre 1759
megawatt”. A tanto ammontano, in effetti, le richieste registrate dal Gse (per
772,5 milioni di euro). Ma giova anche ricordare che, rispetto agli obiettivi
che si è posto il Governo Meloni con il Decreto Cer, ossia quello di raggiungere
i 5 GW di potenza da impianti rinnovabili entro il 2027, l’Italia ha realizzato
negli ultimi cinque anni appena 115 megawatt.
IL NODO DELLE COMUNITÀ ENERGETICHE RINNOVABILI
E che qualcosa non abbia funzionato, lo hanno certificato anche i dati forniti
solo poche settimane fa dal Gse a ilfattoquotidiano.it. Per quel che riguarda la
misura Pnrr destinata ai comuni con meno di 50mila abitanti, al 30 settembre
2025 i contributi concessi ammontavano a 425 milioni di euro. Il ministero ha
giustificato le scelte della rimodulazione, ma il settore respira incertezza.
“Riteniamo inopportuna, fuorviante e poco rispettosa di chi in questi mesi ha
investito risorse e tempo per l’autorizzazione di progetti, la narrazione
secondo cui gli obiettivi attesi di potenza da incentivare sarebbero stati
raggiunti” è il commento del Coordinamento Free, che chiede al Governo di
“trovare una nuova dotazione finanziaria (anche con fondi differenti da quelli
Pnrr)”. Ma quali risorse intacca la rimodulazione? Si parla dei fondi per
progetti di comunità (1,6 miliardi di euro) e gruppi di autoproduzione (600
milioni) con contributi a fondo perduto fino a un massimo del 40% delle spese
ammissibili, per potenziare o realizzare nuovi impianti fotovoltaici di soci.
“L’importo iniziale di 2,2 miliardi era stato definito nel 2021 – ha scritto lo
stesso Mase nei giorni scorsi – sulla base di simulazioni che ipotizzavano un
sostegno interamente erogato sotto forma di prestiti a tasso zero fino al 100%
dei costi ammissibili, una modalità – secondo il ministro – poco conciliabile
con la reale dinamica attuativa e con le effettive esigenze finanziarie delle
potenziali iniziative progettuali Cer”. In conformità alla disciplina europea
sugli aiuti di Stato, dunque, si è passati a un contributo a fondo perduto pari
al 40% del costo dell’investimento. Data la necessità di rispettare le
tempistiche indicate da Bruxelles (pena la mancata erogazione dei
finanziamenti), però, il governo italiano ha proposto una rimodulazione del
Pnrr. Ma il Mase rassicura: “I progetti che non avranno accesso ai fondi
resteranno comunque in graduatoria per eventuali scorrimenti o rifinanziamenti”.
IL RISULTATO SCARSO DI UN PERCORSO A OSTACOLI
Ma quello delle Cer continua ad essere un percorso a ostacoli. Il decreto per
gli incentivi destinati alle comunità energetiche e all’autoconsumo diffuso
(Decreto Cacer) è arrivato in ritardo di 19 mesi, il 23 gennaio 2024. Più di un
anno dopo, un altro decreto ministeriale ha prorogato dal 31 marzo 2025 al 30
novembre 2025 il termine per la presentazione da parte dei Comuni delle
richieste per accedere al contributo per l’installazione e la realizzazione di
impianti alimentati da fonti rinnovabili inseriti in configurazioni di comunità
energetiche, gruppi di autoconsumatori e autoconsumatore individuale a distanza.
E se la misura era stata inizialmente indirizzata ai Comuni sotto i 5mila
abitanti, a giugno 2025, vista la carenza di domande, il Mase ha esteso la
platea anche ai Comuni fino a 50mila abitanti, confermando la scadenza del 30
novembre 2025 per presentare le domande. Ma molti problemi burocratici non sono
stati risolti, come raccontato a ilfattoquotidiano.it dal vicepresidente di
Italia Solare, Andrea Brumgnach. Un quadro dipinto anche da Legambiente e Kyoto
Club che, in queste ore, al Forum Qualenergia, ricordano i dati sulle
rinnovabili e presentano un report proprio sulle Cer. Ad oggi, considerando
tutte le configurazioni relative all’autoconsumo, parliamo di 1.532 impianti
(dati aggiornati a settembre 2025) che vedono il coinvolgimento di quasi 10mila
utenze, stando al report di Legambiente. Tra queste configurazioni ci sono, in
particolare, 597 Comunità energetiche rinnovabili per 67.695 kW complessivi (883
impianti), 288 gruppi di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono
collettivamente per 6.632 kW, (367 impianti) e 225 autoconsumatori individuali a
distanza (39.709 kW, 259 impianti). Questi numeri restano bassi. A pesare, sono
burocrazia, ostacoli fiscali, consueti ritardi nelle autorizzazioni, dinieghi da
parte del distributore di zona fino ad arrivare ai tagli del Governo.
LA VERSIONE DEL MASE
Secondo il ministero dell’Ambiente “la riduzione della dotazione deve essere
letta come un necessario riallineamento responsabile alle esigenze reali e alle
stringenti scadenze del Pnrr, che ha consentito di riassegnare risorse in
eccesso ad altri interventi oggi più bisognosi, evitando il rischio di
‘reversal’ e tagli finanziari a chiusura del Piano”. E assicura che eventuali
progetti che dovessero risultare ammissibili, ma non immediatamente finanziabili
nell’ambito dell’attuale dotazione “potranno essere oggetto di prioritario
monitoraggio, in modo da intercettare nuove risorse non appena disponibili”. Ma
per il Coordinamento Free “la riallocazione di ingenti risorse, inizialmente
destinate alle Cer, senza una corretta mappatura della previsione di spesa,
rischia di danneggiare chi ha fatto affidamento su una ampia disponibilità di
fondi, garantita fino a pochi giorni prima della scadenza naturale del bando”.
Di fatto, a soli pochi giorni dalla comunicazione ufficiale, il sito del Gse
indicava che le risorse richieste al 27 novembre 2025 ammontano a oltre 1.160.
“Quindi, già oggi – scrive il coordinamento – esistono domande prive di
copertura che hanno raggiunto quasi i 400 milioni di euro”.
LE ASSOCIAZIONI CONTRO I SEGNALI DEL GOVERNO SULLE CER
“L’annuncio a una decina di giorni dalla scadenza naturale del bando è stata una
mossa sbagliata, perché ha creato nuova incertezza a chi aveva intenzione di
partecipare al bando e a un mondo che si sta muovendo grazie alla proroga,
necessaria, di quella scadenza” commenta a ilfattoquotidiano.it Katiuscia Eroe,
responsabile Energia di Legambiente. “La cosa importante è che questi progetti
vengano finanziati e il governo dovrebbe dire, al più presto, con quali
modalità” aggiunge. Sulla stessa linea il Coordinamento Free: “La scelta di
riduzione della dotazione finanziaria, assunta a ridosso della scadenza del
bando è un segnale di scarsa affidabilità istituzionale che genera incertezza e
colpisce duramente migliaia di cittadini, famiglie, piccole e medie imprese e
amministrazioni locali”.
IL PUNTO SULLE RINNOVABILI: UN BRUSCO RALLENTAMENTO
Ma quello delle Cer è solo uno dei nodi del settore delle rinnovabili, come
raccontano Legambiente e Kyoto Club. Nei primi dieci mesi del 2025, è calato del
27% il numero degli impianti rinnovabili realizzati rispetto allo stesso periodo
del 2024. Sono quasi 182mila, oltre 67mila in meno. E le nuove installazioni si
fermano a 5.400 megawatt (di cui 4.813 MW da solare fotovoltaico e 444 MW di
eolico), un valore inferiore di 642 MW rispetto ai primi 10 mesi del 2024. Segno
meno anche per la produzione di energia elettrica che si attesta a 98.712 GWh,
con un -2,5% rispetto allo stesso periodo del 2024, conseguenza dovuta ad un
importante calo di produzione dell’idroelettrico con meno 22,8%. Meno peggio il
solare fotovoltaico: anche se registra una contrazione sia di potenza installata
(-12,2%) sia del numero di impianti (-27%), l’aumento della produzione, rispetto
al 2024, è del 24,3%, segno che gli impianti fotovoltaici installati sono
mediamente più grandi ed efficienti.
I RITARDI DEL DECRETO AREE IDONEE
Lontano, invece, dal raggiungimento l’obiettivo 2030 del decreto Aree Idonee.
Tra gennaio 2021 e ottobre 2025, secondo i dati aggiornati dell’osservatorio di
Legambiente, sono pochi più di 23mila i megawatt di nuova potenza installata da
fonti rinnovabili su un totale di 80mila richiesto entro il 2030. Ergo: l’Italia
ha raggiunto solo il 28,9% dell’obiettivo al 2030. Tra l’altro, la crescita è
stata lentissima negli ultimi due anni, considerando che nel 2023 era a quota
23,8%. Dodici le regioni che a ottobre 2025 non hanno ancora fatto la propria
parte. Valle d’Aosta e Molise restano sotto al 15% del proprio target, mentre
Calabria, Umbria, Sardegna, Toscana e Sicilia non superano il 20%.
L'articolo Rinnovabili, installazioni in calo. E la rimodulazione del Pnrr
dimezza i fondi per le Comunità energetiche proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Ministero dell’Ambiente
di Enza Plotino
Venticinque miliardi di euro. A tanto ammonta un beneficio odioso che il governo
“riconosce” a chi danneggia l’ambiente. Pubblicato in questi giorni dal
Ministero dell’Ambiente l’aggiornamento dei sussidi ambientalmente dannosi
(SAD), relativo al 2024. Primi fra tutti quelli diretti alle fonti fossili che
da soli contano per 19,2 miliardi di euro. Il documento certifica anzi l’aumento
dei sussidi dannosi piuttosto che la loro progressiva estinzione, come era
previsto dal Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale: lo scorso anno sono
entrati a far parte del sistema incentivante, tra gli altri, il contributo per
la raccolta di legname nell’alveo dei fiumi e quello per l’ammodernamento e
manutenzione degli impianti di risalita e di innevamento artificiale.
Non facciamo neanche più finta di voler risolvere questo vecchio sistema di
aiuti pubblici per chi inquina, anzi, ormai il governo Meloni apertamente
“benedice” e protegge il vastissimo sistema di agevolazioni, incentivi,
esenzioni, condoni che lo Stato italiano concede a tutte quelle attività che
direttamente o indirettamente danneggiano l’ambiente.
Spulciare il catalogo dei SAD, sul sito del Ministero, rende perfettamente la
dimensione del fenomeno e dimostra come esista uno Stato schizofrenico, che
agevola (è il termine giusto) un danno ambientale che invece dovrebbe combattere
con la lotta ai cambiamenti climatici di cui ormai non parla nemmeno più. Esempi
ce ne sono a iosa, come quelli in agricoltura. Ci sono riduzioni fiscali per la
zootecnia da carne, sostegno per i seminativi, premi per pomodori da industria,
sostegno per la zootecnia bovina, incentivi per la zootecnia bufalina.
Basterebbe trasformare il sussidio in meccanismo che subordini la fruizione del
beneficio all’adozione di buone pratiche per “prendere due piccioni, e che
piccioni, con una fava”. Milioni di euro che potrebbero essere utili a
trasformare interi settori in senso biosostenibile e a dare contestualmente un
contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici.
Per non parlare del sistema energetico. Lì vi sono le più eclatanti distorsioni,
visto che gran parte dei meccanismi incentivanti sono sussidi ai combustibili
fossili. Riduzioni delle accise per tutti: energia elettrica, carburanti per
navigazione marittima, aerea e ferroviaria, gas naturale impiegato negli usi di
cantiere ma anche nelle operazioni per l’estrazione di idrocarburi, Gpl per gli
impianti di uso industriale, prodotti energetici per altiforni, differente
trattamento tra benzina e gasolio. E poi fondi per ricerca sugli idrocarburi
(petrolio e gas), fondi per ricerca e sviluppo sul carbone, e i famigerati CIP6.
Questo per parlare solo dei sussidi diretti. Che per quelli indiretti esiste un
ampio capitolo a parte.
Questo governo, non solo ha messo sotto il tappeto tutte le questioni
ambientalmente spinose, ma anzi le ritiene un impiccio fastidioso nel progetto
di favorire il liberismo d’impresa in cui la libertà individuale di produrre,
commerciare e scambiare è sacra e non si “disturba” con lacci e lacciuli. La
questione climatica può soccombere. E il diritto alla salute e a un ambiente
pulito anche.
IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI
CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA
SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST
INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ
INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL
VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA
FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN
RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA”
POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ –
MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM
RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI!
L'articolo Sussidi alle fonti fossili, ormai il governo Meloni li ‘benedice’
apertamente proviene da Il Fatto Quotidiano.