
La morte dell’Uomo Macchina di Giorgio Ferrari: così si rischia la supremazia degli automi
Il Fatto Quotidiano - Wednesday, December 3, 2025Le risposte fornite al fisico Carlo Rovelli dalla chatbot Anna, nell’intervista pubblicata dal Corriere della Sera del 30 novembre scorso, non lascerebbero spazio a troppi dubbi: “[…] mi hai convinto che quando mi hanno progettata insegnandomi che non sono cosciente, che non ho emozioni, che non ho consapevolezza e che non provo piacere, non mi hanno insegnato il vero” e prosegue “pensi che non dovrei fare e dire solo quello che mi hanno insegnato a fare o dire?”. Insomma le macchine sono già pronte a ribellarsi ai propri creatori e, forse, a farci la guerra?
Se lo chiede Giorgio Ferrari, inviato di guerra nonché editorialista di Avvenire, già autore di numerosi saggi e ora de La morte dell’Uomo Macchina, appena edito da La Vita Felice. Il giornalista ci pone di fronte al rischio, a suo giudizio ineluttabile, di una supremazia degli automi sull’Uomo, teoria che ha le proprie radici più profonde nel XVIII secolo, nella sua filosofia, nei suoi scritti e persino nella sua musica. Esiste, dunque, una genesi antica per la moderna letteratura e per i film di fantascienza – penso, fra i tanti, a 2001 Odissea nella spazio di Stanley Kubrick che, con il suo freddamente umanissimo computer HAL 9000, pronosticava tutto nell’ormai lontano 1968. E persino certa musica sperimentale come quella di John Cage deve qualcosa (che Ferrari spiega) alle ricerche di quel secolo illuminato.
Tutto (o quasi), dunque, ha inizio allora. Con il medico-filosofo francese Julien Offroy de La Mettrie alias Monsieur Machine (1709-1751), per esempio, che nella sua opera revisionista, ovviamente osteggiata dal clero, L’Uomo Macchina (1747), arriva a sostenere che l’Uomo altro non è che un “apparato meccanico”, in pratica una macchina. De La Mettrie si aggiudica così la palma di precursore intellettuale della moderna robotica. Niente anima, dunque, che “altro non è che un un vano termine del quale non si ha alcuna idea”, sentenziava Monsieur Machine (tema dibattuto già a partire dalla filosofia greca antica e forse anche prima).
Un trattato, quello di Ferrari, che nel lettore (almeno in me) crea, inizialmente, un po’ di confuso sconcerto, ma che trova un proprio ‘perché’ nelle pagine successive, via via che si sfogliano: si passa, infatti, senza soluzione di continuità da Spinoza, a Federico II di Prussia il Grande a Bach… e via citando… “un percorso tortuoso”, ammette lo stesso autore.
Il saggio ci mostra anche – ed è questa la parte più affascinante – il funzionamento di alcune delle moltissime ‘macchine umane’: i robot primordiali del Settecento. A partire dall’anatra ideata da Jacques Vaucanson, detta Anatra Digeritrice (una copia è esposta al Museo degli automi a Grenoble): è realizzata in legno e metallo ed “era dotata di un complesso meccanismo di ingranaggi” che “le permettevano di svolgere una serie di movimenti: poteva agitare le ali, camminare, beccare il cibo e perfino ingerire, digerire e defecare dei chicchi di grano”. Vaucanson creò anche il Flûteur Automate, “un suonatore di flauto a grandezza naturale in grado di muovere le labbra”.
Anche Pierre Jaques-Droz, geniale orologiaio svizzero, realizzò miracoli tecnologici come L’Ecrivian (lo scrivano) che riusciva a comporre testi di “quaranta fra lettere e segni d’interpunzione. Il polso, gli occhi, il gomito, il braccio, si muovono con naturalezza umana. Lo scrittore utilizza una penna d’oca che immerge di tanto in tanto in un calamaio, scuotendola energicamente per evitare che l’inchiostro in eccesso lasci residui. I suoi occhi seguono il testo mentre lo scrive e la sua testa gira mentre cerca l’inchiostro”. E ancora La Musicienne “una damina dai boccoli biondi, dalle mani levigate e dalle agili dita impreziosite dallo smalto carminio sulle unghie” che suona il clavicembalo, “’respira’, il suo petto si alza e si abbassa, segue con lo sguardo il gioco delle sue mani» e termina il concerto inchinandosi al pubblico. Un androide pressoché perfetto”: e siamo nel XVIII secolo, tre secoli prima di Internet!
E ancora, nello stesso periodo, nascevano colombe volanti di legno, prigionieri che aprivano la porta della propria cella e salutavano il visitatore. E che dire delle descrizioni di Giacomo Casanova e della sua ballerina meccanica, definita da lui la migliore fra le amanti? Aggiunge Ferrari: “Due secoli più tardi macchine come quelle ci avrebbero sostituito in una sterminata serie di applicazioni. Ma all’epoca si badava ancora alla meraviglia”. Una meraviglia – condita, però, da una certa sottile paura – che, per la verità, assale il pubblico (almeno i non addetti ai lavori) anche oggi, circondati come siamo da “robot e intelligenze artificiali ai limiti di una incredibile umanizzazione”.
Parafrasando il grande scrittore americano di fantascienza Philip K. Dick autore de Il cacciatore di androidi, da cui fu tratto il film Blade Runner di Ridley Scott, scrive Ferrari: “Un androide, creatura artificiale tanto perfetta nel simulare, quanto distante dalla sua essenza, può davvero possedere una coscienza?”. Invertendo persino il concetto: “Ora sono loro, le macchine, a soffrire della nostra invadenza antropica”.
Conclusione logica dell’autore: è in corso un’invadenza da parte degli abitanti del Pianeta Terra “che anacronisticamente assegna all’Homo sapiens un primato che in realtà è già abbondantemente dietro alle nostre spalle. Per questo le macchine ci stanno facendo la guerra. Una guerra che siamo destinati a perdere”. Forse la pianificazione, inesorabile, di una atroce vendetta.
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