Archeologia depredata dalla mafia, operazioni a Catanzaro e Catania: 56 misure e reperti per 17 milioni sequestrati

Il Fatto Quotidiano - Friday, December 12, 2025

Due distinte operazioni delle Direzioni distrettuali antimafia di Catanzaro e Catania hanno svelato un imponente traffico illegale di reperti archeologici nel Mezzogiorno, smantellando due organizzazioni strutturate che saccheggiavano sistematicamente parchi e siti di alto valore storico. A conclusione delle indagini condotte dai carabinieri del Comando Tutela patrimonio culturale, sono stati emessi complessivamente 56 provvedimenti cautelari.

In Calabria le misure sono undici – due in carcere e nove ai domiciliari – mentre in Sicilia sono state quarantacinque: nove in carcere, quattordici ai domiciliari, diciassette obblighi di dimora, quattro obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria (due dei quali notificati all’estero) e una sospensione dall’esercizio d’impresa per il titolare di una casa d’aste coinvolta nel traffico. Proprio in Sicilia è stato eseguito il sequestro più ingente: migliaia di reperti per un valore stimato di 17 milioni di euro.

Calabria: scavi clandestini e l’ombra della ’ndrangheta Arena

L’inchiesta catanzarese, coordinata dalla Dda e condotta dal Nucleo Tpc di Cosenza, è partita dalla scoperta di numerosi scavi clandestini in aree archeologiche protette. Gli investigatori hanno ricostruito un flusso illecito di reperti provenienti dai parchi nazionali di Scolacium, dell’antica Kaulon e di Capo Colonna. Per sfruttare economicamente il mercato illegale, secondo la procura, la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto avrebbe arruolato dall’esterno appassionati ed esperti del settore, capaci di operare in contesti specialistici normalmente inaccessibili all’organizzazione mafiosa.

A tutti gli indagati calabresi è stata contestata l’aggravante mafiosa. “Gli indagati sono accusati di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso perché avrebbero trafugato beni per metterli a disposizione della cosca Arena”, ha spiegato il procuratore di Catanzaro, Salvatore Curcio. Il capitano Giacomo Geloso, comandante del Nucleo Tpc di Cosenza, ha sottolineato come “dopo droga e armi, il commercio clandestino di reperti archeologici sia uno dei business più appetibili per la criminalità organizzata”.

Sicilia: associazioni specializzate tra Catania e Siracusa

L’indagine parallela sviluppata in Sicilia dal Nucleo Tpc di Palermo, coordinata dalla Dda di Catania, ha ricostruito l’attività di più gruppi organizzati operanti nelle province di Catania e Siracusa. Le bande, secondo l’accusa, eseguivano scavi in aree riconosciute di rilevanza archeologica dalla normativa regionale e nazionale, per poi immettere i reperti nel mercato clandestino.

Tra il materiale sequestrato vi sono monete in bronzo e oro, alcune considerate rare o uniche, oltre a centinaia di reperti fittili: crateri integri a figure nere e rosse, fibule protostoriche, anelli in bronzo, pesi, rudimentali monete con globetti ponderali, fibbie, punte di freccia e askos buccheroidi. L’ingente valore del materiale ha indotto il procuratore di Catania, Francesco Curcio, a osservare che “con quello che si è sequestrato si potrebbe aprire uno dei più importanti musei archeologici in Italia”. A sintetizzare la portata dell’inchiesta è il procuratore aggiunto Giancarlo Novelli: “L’indagine permette di comprendere la pervasività della criminalità organizzata, che arriva a sottrarre anche le ricchezze sotterrate di questa regione”.

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