Truffavano persone utilizzando false mail con indirizzi Consob fittizi. Per
farlo si fingevano personalità conosciute come la premier Giorgia Meloni o il
giornalista Sigfrido Ranucci. Le frodi riguardavano nello specifico
trasferimenti inesistenti da conti esteri o ipotetici obblighi derivanti dalla
Brexit. A dare l’allarme la stessa Consob, l’organo di controllo del mercato
finanziario italiano, che ha pubblicato un’avvertenza per avvisare i
risparmiatori. Nell’avviso si legge che lo scopo delle truffe era quello di
indurre i risparmiatori a versare somme di denaro per ottenere i cosiddetti
servizi di “recupero crediti” o per sbloccare fondi o cripto-valute inesistenti.
Oscurati quindi 10 siti internet, 6 dei quali prestavano abusivamente servizi e
attività di investimento su strumenti finanziari.
I primi sei siti erano“FXInvest”, “ICCTRADES”, “FortivestTrade” , “Vorenixio”
,”Eurotradecfd” , “Morgan Capital Ltd – huriyettdaily.news”. Un altro sito,
invece, promuoveva una piattaforma di trading non autorizzata ricorrendo alle
immagini di personaggi pubblici come Ranucci e Meloni. I restanti tre siti (due
dei quali sono “Druvaxio”; “Lucrumiagroup”) venivano prestati abusivamente per
servizi di cripto-attività. Inoltre, Consob – che dal 2019 ha oscurato 1517 siti
web – ha chiesto ad Apple di rimuovere dal proprio store l’applicazione
DataShark GT, collegata a Eurotradecfd e utilizzata per offrire i finti servizi.
Nel comunicato si legge: “La Consob richiama l’attenzione sull’evoluzione delle
condotte ingannevoli che sfruttano internet per appropriarsi del denaro e dei
dati personali degli utenti: è aumentato il ricorso a nuovi strumenti, come
messaggi e–mail e siti web clonati, profili contraffatti di figure politiche,
personaggi famosi e contenuti generati con sistemi di intelligenza artificiale –
come immagini, voci o video – con l’obiettivo di indurre i risparmiatori ad
effettuare scelte di investimento dannose”.
L'articolo Truffe a nome di Giorgia Meloni e Sigfrido Ranucci attraverso false
mail Consob: l’allarme sulle nuove tecniche proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Cronaca
Dopo la morte di un ragazzo a Milano, il governo lancia l’allarme della cannabis
light contaminata con il pericoloso cannabinoide chimico Mdmb-pinaca. Eppure,
invece di stabilire regole e controlli sul prodotto, si procede con sequestri,
arresti e denunce a danno degli imprenditori. “In Europa sono già stati
segnalati casi di intossicazione grave e letale e, di recente, un decesso per
suicidio avvenuto in Italia è stato collegato al consumo di prodotti contenenti
questa sostanza”, ha ammonito il Sistema nazionale di allerta rapida per le
droghe. “L’Mdmb-pinaca può essere presente in infiorescenze, resine o prodotti
venduti come cannabis ‘light’ e non è possibile riconoscerne la presenza a
vista”, l’avvertimento conclusivo del dipartimento Antidroga di palazzo Chigi.
REPRESSIONE AL POSTO DEI CONTROLLI: L’EMENDAMENTO PER REGOLAMENTARE IL SETTORE
BOCCIATO DA FDI
Sostanze sintetiche, preparate in laboratorio, ce ne sono a centinaia nel
mercato nero, per imitare gli effetti del Thc amplificandoli oltre ogni misura.
Servono anche ad “irrorare” la canapa legale donandole effetti psicotropi:
reperirli online con un motore di ricerca non è difficile. Ma il governo Meloni
ha già scelto la soluzione: chiudere tutti i cannabis shop, bollando come droga
(grazie al decreto Sicurezza) anche la cannabis light naturale, certificata,
priva di effetti psicotropi. Eppure, la via alternativa Fratelli d’Italia ce
l’ha in casa: regolamentare il settore imponendo analisi di laboratorio prima
della vendita nei negozi. È la proposta del senatore meloniano Matteo Gelmettto,
contenuta in un emendamento alla Manovra, subito bocciato dal suo partito.
Perché la repressione è il sentiero già imboccato: la settimana scorsa, in pochi
giorni dopo il drammatico suicidio del ragazzo, le associazioni delle imprese
hanno contato 60 sequestri, con arresti e denunce per detenzione di
stupefacenti. Nei mesi precedenti invece erano finiti nel mirino i coltivatori
della canapa. Le forze dell’ordine, in diversi casi, agiscono senza neppure
verificare la soglia del Thc: l’unico indicatore di un concreto effetto
stupefacente.
GLI IMPRENDITORI AVVISANO IL GOVERNO GIÀ NEL 2023
Eppure, gli imprenditori già due anni fa avevano lanciato l’allarme sui rischi
della canapa contaminata con sostanze chimiche, invocando controlli lungo la
filiera. Era il 2023, quando apparvero i primi casi della pianta adulterata con
il cannabinoide chimico Hhc, realizzato in laboratorio. Al tempo era una
molecola legale. “Altamente stupefacente, ma presente nella pianta in quantità
così piccole, che servirebbero tonnellate di canapa per estrarne dosi
apprezzabili”, dice a ilfattoquotidiano.it Raffaele Desiante, dell’associazione
Imprenditori canapa Italia (IcI). Molto più economico e vantaggioso, per i
criminali, produrre Hhc in laboratorio e “spruzzarlo” alla bisogna sulla canapa
legale. Il 25 maggio 2023, sui rischi della cannabis light contaminata, Ici
presentò una nota ai centri Nas di Milano, Roma e Napoli. Ma anche ai ministeri
degli Interni e della Salute. Fu gentilmente ringraziato via mail, perché il
problema era già noto alle autorità. Il 13 luglio 2023 l’Hhc e i suoi derivati
chimici furono dichiarati illegali e inseriti nella tabella degli stupefacenti.
Ma da allora centinaia di cannabinoidi sintetici sono fioriti nel mercato nero e
acquistarli è tutt’altro che ostico.
LE AZIENDE CHIEDONO I CONTROLLI E SOSTENGONO L’EMENDAMENTO FDI
La legge tuttavia non impone controlli sulle sostanze chimiche, per la cannabis
light in vendita: basta certificarne la genetica e il livello di thc, senza
ulteriori verifiche. Del resto è logico: il governo – unico in Europa – ha messo
fuori legge il fiore della canapa legale. Dunque che senso avrebbe regolamentare
un settore illecito? Il risultato è che gran parte dei negozi resta aperto,
resistendo a sequestri e denunce, in attesa che la Corte Costituzionale o la
Corte di Giustizia europea spazzi via il decreto Sicurezza. Intanto, nei negozi
giungono lotti di cannabis light privi di controlli obbligatori sugli agenti
chimici. Sono gli imprenditori, in certi casi, a garantire l’assenza di sostanze
sintetiche con analisi di laboratorio ad hoc. L’associazione Canapa sativa
Italia ha diffuso un vademecum sul suo sito, dopo l’allarme duramato dal
governo. Al primo punto, più controlli sul prodotto per rassicurare i clienti.
“Rafforziamo le indicazioni operative su tracciabilità e controlli:
documentazione di lotto, analisi riferite al lotto, fatture/DDT, registri di
carico/scarico, verifica fornitori”, scrive l’associazione delle imprese.
La filosofia degli imprenditori è avere tutte le carte in regola, da mostrare
agli agenti in caso di sequestri e denunce. Dunque i controlli sulla cannabis
light sono un atto di difesa dalla repressione del governo, non un obbligo di
legge per la tutela della salute pubblica. Eppure, di verifiche ce ne sarebbe
bisogno. “Noi le chiediamo almeno dal 2019”, dice Desiante, “per questo
sosteniamo la proposta del meloniano Gelmetto, bocciata dai suoi stessi colleghi
di FdI”. Cosa diceva l’emendamento promossa dagli imprenditori? Cannabis light
classificata come “prodotto da inalazione”: prima di arrivare sugli scaffali dei
negozi, ogni lotto dovrebbe ottenere il “bollino” dell’Agenzia delle dogane e
dei monopoli. Così si eviterebbe il rischio di vendere al consumatore prodotti
contaminati. Nessun dubbio che i cannabinoidi sintetici siano una minaccia,
letale in certi casi.
OLTRE 200 I CANNABINOIDI SINTETICI
“Dal 2017 a oggi, il sistema di allerta europeo ha identificato oltre 200
varianti di cannabinoidi sintetici, spesso venduti come ‘erbe naturali’ o
‘cannabis legale’”, dice a ilfattoquotidiano.it il dottor Carlo Privitera,
specializzato nella cannabis terapeutica. Gli effetti possono essere devastanti,
come nel caso della molecola Mdmb-Pinaca: “si lega ai recettori CB1 e CB2 del
cervello come il Thc – dice Privitera – ma con un’intensità molto più elevata,
con effetti psicoattivi imprevedibili e non modulati: ansia, psicosi,
convulsioni e, nei casi più gravi, intossicazioni fatali”. Difficile dire dove
vengano prodotti i cannabinoidi sintetici. Ma gli effetti possono essere
devastanti.
L'articolo Cannabis light contaminata, il governo lancia l’allarme. Ma boccia i
controlli e favorisce la repressione contro la filiera proviene da Il Fatto
Quotidiano.
La commissione Anticamorra della Regione Campania saluta e chiude i lavori per
fine legislatura con un dossier sull’uso abnorme degli affidamenti diretti per
le forniture alle Asl campane nel periodo 2020-2023. Nei giorni scorsi la
presidente uscente Carmela Rescigno (Lega), ricandidata e non rieletta in
Consiglio, ha consegnato il rapporto nelle mani del procuratore di Napoli Nicola
Gratteri. Dal documento risulta che nelle Asl di Caserta e Salerno la
percentuale degli affidi diretti in alcuni lunghi periodi temporali ha raggiunto
il 100%.
In generale, emerge come le strutture delle Asl preposte all’approvvigionamento
di beni, servizi e lavori abbiano fatto un uso larghissimo degli affidamenti
diretti, fino a superare in molti casi il 90% e comunque “in misura percentuale
tale da destare non pochi dubbi e perplessità sulla legittimità dei relativi
atti di affidamento” secondo Rescigno, che ricorda inoltre l’utilizzo di
“numerose procedure negoziate senza la pubblicazione del bando di gara, che è
prevista dalla legge”.
Il dossier è frutto dell’opera di un comitato di vigilanza e investigazione
composto dai rappresentati di tutte le forze dell’ordine e della Direzione
investigativa antimafia, tra cui il dirigente di Polizia Nicola Donadio,
referente nazionale del Siulp. Del comitato ha fatto parte Salvatore Carli,
consulente tecnico di diverse procure campane ed esperto in materia di appalti
pubblici.
I dati sono stati raccolti attraverso il portale Anac, i siti web delle singole
Asl ed il portale Open Data della Regione Campania. Nel periodo considerato sono
stati analizzati oltre 120.000 lotti di appalto, per un valore complessivo
stimato superiore a 3 miliardi di euro. Il picco di attività si è registrato nel
2020, in corrispondenza della prima ondata pandemica. Nel biennio successivo c’è
stata una graduale normalizzazione. Dai grafici allegati al rapporto (nella
foto) risulta che i valori più alti degli affidamenti diretti sia in termini di
lotti che di valori sono quelli delle Asl di Caserta e Salerno.
Quanto ai dubbi sollevati da Rescigno sulla legittimità degli atti di
affidamento, resteranno sospesi. Con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio è
diventato quasi impossibile – in assenza di reati ‘spia’ tipo turbative d’sta o
tangenti – dare risposte a questi interrogativi.
L'articolo “Uso abnorme degli affidamenti diretti per le forniture alle Asl, a
Caserta e Salerno picchi del 100%”: il dossier dell’Anticamorra campana proviene
da Il Fatto Quotidiano.
Un monumento al Partito del Cemento. Il progetto T1 di Ceriale (Savona) giaceva
silenzioso da anni: scheletri grigi che la vegetazione ha ricoperto, mentre
l’acqua ha invaso i garage. Anche gli abitanti hanno fatto l’abitudine al
quartiere fantasma nato quando economia e politica, di destra e di sinistra,
avevano puntato sul mattone. Correva l’anno 2005 quando questa storia cominciò e
nacque il mega progetto, il più pesante della Liguria: 7 palazzine per 169
appartamenti più un albergo 4 stelle. Nonostante la cittadina, come tante altre
in Liguria, abbia già una percentuale di seconde case che sfiora l’80%. Insomma,
con il rischio di creare paesi fantasma e far crollare il prezzo degli immobili
esistenti.
Ma le ruspe in Liguria hanno ricominciato a rombare. E i palazzi fantasma di
Ceriale potrebbero presto essere ultimati. Anche se i protagonisti
dell’operazione sono cambiati, hanno sempre addentellati con la politica:
all’inizio fu Gianpiero Fiorani, il furbetto del quartierino, che si vantava di
contatti con Claudio Scajola (all’epoca braccio destro di Silvio Berlusconi e
oggi sindaco di Imperia). Oggi è il geometra Alberto Campagnoli, già socio di
Visibilia, società che fu della ministra Daniela Santanchè, e candidato di
Fratelli d’Italia. C’è però uno scoglio che ostacola il sogno di cemento: l’area
dove sorge il complesso T1 si trova infatti in un’area che il nuovo Piano di
Gestioni del Rischio Alluvioni classifica come P2 (medio) e P3 (alto rischio
alluvionale).
Ma andiamo con ordine. All’inizio, interessata alla mega operazione fu la
società Frontemare di cui, secondo la Procura, era socio occulto Fiorani che in
Liguria aveva forse progettato di investire parte dei proventi delle scalate
bancarie. Le cronache di allora raccontano di viaggi in elicottero di Gianpiero
e Scajola, con l’imprenditore di Lodi che mostrava dall’alto le aree su cui
sognava di edificare. Lo stesso Fiorani in un interrogatorio raccontò di un
possibile interessamento dell’onorevole Luigi Grillo (un altro ligure, spezzino,
berlusconiano). Le inchieste fermarono tutto.
Ecco allora affacciarsi sulla scena l’architetto Andrea Nucera. Partono i lavori
anche grazie a perizie che dichiarano l’inesistenza di rischi alluvionali. Di
nuovo, però, spuntano i pm: arrivano indagati, sequestri. Intanto Nucera si era
rifugiato per altre inchieste a Dubai dove era latitante (oggi è tornato in
patria). Finisce con una condanna per abusi edilizi e tante assoluzioni. Ma
intanto la società che gestiva l’operazione era fallita. E qui si affaccia sulla
scena Campagnoli che rileva tutto a un’asta giudiziaria. All’epoca il geometra
di Corsico era sconosciuto alle cronache, ma nel 2023 Daniela Santanchè decise
di abbandonare Visibilia e il suo posto fu preso da alcuni imprenditori. Tra
questi – non coinvolto nelle inchieste – con il 5% appunto Campagnoli. Un nome
non estraneo alla politica, tant’è che era stato candidato – senza successo –
nelle liste di Fratelli d’Italia. Il geometra è anche socio in un’impresa di
bonifiche di Marco Osnato, deputato di FdI e genero di Romano La Russa, fratello
del presidente del Senato, Ignazio.
E siamo ai giorni nostri. Le ruspe sono pronte a ripartire a Ceriale, ma ecco la
rogna del rischio alluvionale causato dal vicino rio Torsero. Sarà probabilmente
necessario realizzare opere di messa in sicurezza soprattutto i garage e i
fondi. La sindaca di Ceriale è Marinella Fasano, agente immobiliare. Esponente
del centrodestra con una giunta che a settembre è stata protagonista di un
clamoroso ribaltone: il vicesindaco di maggioranza si è dimesso ed è stato
sostituito da due membri dell’opposizione. Fasano pare favorevole all’operazione
T1: “C’è un problema di area alluvionabile, con la Regione ci siamo parlati e a
gennaio penso risolveremo, ma sappiamo come va la burocrazia, i tempi si
allungano e fanno impazzire gli imprenditori”, ha dichiarato a Repubblica. Già,
la Regione. Era il 2023 quando l’allora presidente Giovanni Toti – nonostante le
proteste dei cittadini che raccolsero diecimila firme – sostenne un piano che
consentiva di costruire nelle aree P2 e P3, ad alto rischio alluvionale.
L'articolo Liguria, torna il partito del cemento: la destra vuol sbloccare il
maxi-progetto edilizio su area alluvionabile nel Savonese proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Meno di un mese per ottenere il via libera a un complesso immobiliare da oltre
ottomila metri quadrati, comprensivo di nuovi uffici e unità residenziali. Sono
i tempi record con cui, ad Acireale, in provincia di Catania, è stato rilasciato
un permesso di costruire alla Cosedil, impresa del presidente di Confindustria
Sicilia Gaetano Vecchio. Il provvedimento è stato firmato il 31 ottobre dal
dirigente dell’area Urbanistica e fa riferimento alla “richiesta inoltrata in
data 2 ottobre dal signore Andrea Vecchio”. Quest’ultimo, padre del presidente
di Confindustria e a capo del consiglio d’amministrazione della società, tra il
2013 e il 2018 è stato anche senatore con Scelta Civica, il movimento fondato
dall’ex premier Mario Monti.
SOLO 29 GIORNI CONTRO UNA MEDIA DI 800
Per il Comune di Acireale, rilasciare un permesso di costruire in 29 giorni
rappresenta un risultato di tutto rispetto. Analizzando, infatti, i 47
provvedimenti che l’ente nel 2025 ha emesso prima di quello di Cosedil si scopre
che l’attesa media si aggira intorno agli ottocento giorni, praticamente molto
più di due anni. Tra i permessi che hanno visto la luce nell’anno in corso non
ce n’è nessuno che per volume urbanistico si avvicina ai quasi 30mila metri cubi
del progetto di Vecchio, mentre se ne trovano quattro che hanno come oggetto la
demolizione e ricostruzione di immobili danneggiati dal violento terremoto che
colpì l’area alle pendici dell’Etna il giorno di Santo Stefano del 2018. Per
questi, i tempi di gestazione per il rilascio del permesso vanno da 603 a 969
giorni. Non è andata molto meglio all’intestatario di una richiesta di permesso
per l’edificazione di quattro villette, il cui permesso è stato ottenuto dopo
quasi seicento giorni, oppure ai due che hanno presentato progetti per la
realizzazione di un fabbricato rurale con annessa abitazione. Per loro l’attesa
è stata di oltre mille giorni.
“BISOGNA AGEVOLARE TALI CIRCOSTANZE”
“La Cosedil aveva avanzato una prima istanza tramite lo Sportello unico attività
produttive (Suap) in data 3 luglio 2025, ma abbiamo fatto presente la necessità
di procedere con istruttoria attraverso il portale Sue, lo sportello unico per
l’edilizia. Pertanto l’azienda ha ripresentato l’istanza il 2 ottobre”, dichiara
a ilfattoquotidiano.it il capo dell’ufficio Urbanistica del Comune di Acireale
Nicola Russo. Pur tenendo conto dei tre mesi trascorsi tra prima e seconda
istanza, nonostante gli uffici abbiano potuto avviare l’esame della pratica
soltanto a ottobre, resta evidente la celerità rispetto alla lavorazione delle
altre richieste di permesso. “In generale ritengo che se ci sono motivate
ragioni che riguardano fattori che incidono sullo sviluppo del territorio e del
sistema imprenditoriale – aggiunge il dirigente – ritengo che l’amministrazione
pubblica debba valutare e all’occorrenza agevolare tali circostanze”. Per Russo,
il mancato rilascio in termini congrui del permesso avrebbe potuto comportare
“la perdita di contributi” per Cosedil.
“CON TEMPI PIÙ LUNGHI AVREMMO SPOSTATO ALTROVE L’INIZIATIVA”
Contattato da ilfattoquotidiano.it, il presidente di Confidustria Sicilia, che
nei giorni scorsi ha denunciato un tentativo di estorsione subito dalla propria
impresa a Messina, con la richiesta giunta direttamente dal carcere tramite una
videochiamata fatta al capocantiere, commenta così la vicenda: “Il nostro è un
investimento milionario che, interamente con risorse private, porterà a regime
circa 150 posti di lavoro stabiliti dentro il comune di Acireale, oltre che
importanti benefici per il bilancio dell’ente in termini di oneri concessori ed
altre tasse locali. Qualsiasi altra amministrazione comunale avrebbe fatto lo
stesso, se non probabilmente di meglio. La burocrazia – prosegue Gaetano Vecchio
– è un freno allo sviluppo e certamente se avessimo dovuto aspettare tempi più
lunghi, avremmo spostato altrove l’iniziativa”.
I BENEFICI PER IL COMUNE
Dal permesso di costruire rilasciato a Cosedil, il Comune di Acireale incamererà
oltre 850mila euro, dei quali più di 567mila come oneri di urbanizzazione e
quasi 283mila come costo di costruzione. Circa 200mila euro sono stati già
pagati, mentre la restante parte sarà versata all’ente con quattro rate
semestrali. “La gestione delle istanze per ottenere il permesso di costruire è
un adempimento che spetta agli uffici comunali. L’auspicio è che i tempi possano
essere quanto più contenuti possibili per ogni cittadino che fa richiesta,
purtroppo abbiamo carenze di personale. Nel caso specifico, io non ho mai
incontrato il titolare della Cosedil”, commenta l’assessore comunale
all’Urbanistica Rosario Raneri.
L'articolo Permesso di costruire in tempi record ad Acireale per l’azienda del
numero 1 di Confindustria Sicilia: solo 29 giorni (per gli altri l’attesa è di
oltre 2 anni) proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’ultimo monitoraggio civico di Open Olympics, la rete che vigila sulle spese e
gli appalti di Milano Cortina 2026, emette un verdetto molto negativo sulla fase
di avvicinamento alla kermesse sportiva che sarà inaugurata tra meno di due
mesi. Sul fronte infrastrutturale le opere per oltre quattro miliardi di euro
sono in ritardo, i costi crescono continuamente, mentre i cronoprogrammi
subiscono un progressivo slittamento man mano che ci si avvicina all’accensione
del braciere, prevista per il 6 febbraio nello stadio di San Siro. Sul versante
di Fondazione Milano Cortina 2026, il comitato organizzatore del grande evento,
permane inoltre l’opacità sulla natura e quantità delle spese, che sono
destinate a raggiungere i due miliardi di euro, con un generoso contributo di
finanziamenti pubblici.
Il documento è stato redatto da “Libera – Associazioni nomi e numeri contro le
mafie”, fondata da don Luigi Ciotti, ma ha alle spalle il lavoro delle
principali associazioni ambientaliste italiane. Riguarda 98 opere indicate nel
sito di Società infrastrutture Simico, con un investimento di tre miliardi e
mezzo, di cui 31 (solo il 13%) dedicate a impianti sportivi per i Giochi e 67
(l’87%) destinate alla cosiddetta legacy, “soprattutto interventi stradali o
ferroviari” (45 su 67), che vengono pagate con i soldi dei contribuenti. “Per
ogni euro destinato alle opere indispensabili ai Giochi, se ne spendono 6,6 per
opere di legacy. La spesa si concentra principalmente in due territori: Veneto e
Lombardia sfiorano ciascuno 1,5 miliardi di euro” scrive Open Olympics.
A fine ottobre risultavano concluse 16 opere, mentre 51 erano in esecuzione, 3
in gara e addirittura 28 ancora in progettazione. Solo 42 opere finiranno prima
dell’evento, mentre il 57% sarà completato dopo i Giochi, con l’ultimo cantiere
nel 2033. Inoltre, 16 interventi (inclusa la controversa pista da bob di
Cortina) presentano una consegna solo parziale. L’analisi evidenzia come durante
il 2025 la data di fine lavori sia stata posticipata per il 73% delle opere,
“con slittamenti che in alcuni casi superano i tre anni”. Nei primi dieci mesi
del 2025 il valore del Piano è cresciuto di ulteriori 157 milioni di euro.
Molti dati non sono disponibili. Si va dall’entità dei subappalti, all’impatto
ambientale delle singole opere, dal valore dei piani redatti dalle Regioni, come
la Lombardia e il Veneto, all’effettiva copertura delle spese. È quella che gli
analisti definiscono una “asimmetria informativa sistemica”: “Il portale Open
Milano Cortina 2026 ha permesso di illuminare una parte rilevante, ma non
esaustiva, della macchina olimpica. Per questo il nostro lavoro non finirà allo
spegnersi delle luci dei Giochi, continueremo il monitoraggio fino alla chiusura
dell’ultimo cantiere, per capire la sorte del 57% dei cantieri che resteranno
aperti”.
Open Olympics sintetizza in tre “domande civiche” i nodi problematici
dell’imponente cantiere olimpico. La prima: “Quante opere esistono davvero e
quanto costano?”. Le 98 opere ufficiali non esauriscono tutto il quadro di
impegno pubblico, visto che “la sola Regione Lombardia pubblica sulla
piattaforma “Oltre i Giochi 2026” un numero di 78 interventi per 5,1 miliardi,
dove rientrano 44 opere (per un valore di 3,82 miliardi) che non sono presenti
nel portale governativo”. Seconda domanda: “Quanto costa davvero realizzare i
Giochi e garantire salute e sicurezza durante l’evento? Il budget dichiarato da
Fondazione nel 2025 ammonta a 1,7 miliardi, ma il documento non è pubblico”. Il
terzo quesito riguarda il ruolo e la trasparenza del Commissario straordinario
per le Paralimpiadi nominato solo la scorsa estate dal governo Meloni. “Il
Decreto Sport ha assegnato al Commissario 328 milioni da spendere da settembre a
dicembre 2025. La stima iniziale del costo per le Paralimpiadi era di 71,5
milioni: si è verificato un aumento del 359%, ma i ruoli del Commissario sono
enormi e dai contorni molto poco definiti”. Spenderà quei soldi in un arco di
tempo limitato soprattutto per sanare i debiti di Fondazione, le cui spese sono
passate da un miliardo e mezzo a due miliardi di euro.
L'articolo Milano-Cortina, il report: a fine ottobre concluse solo 16 opere su
98. E il 57% sarà consegnato dopo i Giochi proviene da Il Fatto Quotidiano.
Pattinare sulle note di Faccetta nera, forse la canzone più simbolica del regime
fascista. È successo a Campobasso sulla pista di pattinaggio allestita davanti
al Municipio. Faceva parte di una playlist di YouTube ha detto il gestore
dell’impianto, ma il fatto ha destato scalpore in città. A denunciare
pubblicamente l’episodio, il segretario del circolo Sinistra Italiana di
Campobasso, Matteo Fallica. Dopo le proteste dei genitori dei bambini che
pattinavano, un amministratore comunale si è immediatamente attivato e il
gestore della pista ha successivamente chiesto scusa, parlando di una playlist
non controllata. All’Adnkronos la sindaca, Maria Luisa Forte, ha stigmatizzato
l’accaduto definendo l’episodio “inaccettabile”. Il Comune, ha sottolineato, è
”totalmente ignaro e incolpevole”.
L'articolo “Faccetta nera” dalle casse della pista di pattinaggio davanti al
municipio: polemica a Campobasso. La sindaca: “Comune ignaro” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
La Procura di Prato ha aperto un fascicolo per lesioni multiple aggravate in
seguito a un’aggressione subita domenica sera da alcuni lavoratori e
sindacalisti del Sudd Cobas, in presidio da dieci giorni di fronte al ristorante
“La Scintilla” per protestare per i turni di lavoro imposti dai proprietari,
cittadini cinesi. La colluttazione ha causato sette feriti. In un comunicato, il
procuratore Luca Tescaroli sottolinea “la diffusione del dilagare delle
manifestazioni delittuose nel Pratese”, in particolare per la “contrapposizione
tra appartenenti al sindacato e datori di lavoro di nazionalità cinese, che con
crescente frequenza genera il ricorso alla violenza“. Secondo la ricostruzione
degli inquirenti, effettuata con l’aiuto delle immagini delle telecamere, lo
scontro è nato dopo che un cinese di 45 anni ha trascinato per un braccio un
partecipante al presidio, di nazionalità pakistana, per portarlo dentro il
ristorante: gli altri manifestanti hanno aiutato il compagno a divincolarsi e ne
è nata la rissa. Dal locale sono usciti due uomini, anche loro cinesi: uno
lanciava acqua sui manifestanti, un altro cercava di portare via il cinese
45enne. Lo scontro è proseguito dentro il locale. Il ferito più grave è il
45enne, con prognosi di dieci giorni per trauma facciale; la proprietaria del
locale, una cinese di 41 anni, ha riportato contusioni a un braccio. Altri
cinque manifestanti originari del Pakistan hanno richiesto cure mediche; uno di
loro ha avuto lesioni guaribili in sette giorni, per contusioni cervicali subite
a causa di colpi di bottiglia e per un morso che gli ha lacerato il mignolo
della mano destra. Le indagini vengono condotte anche dalla Digos di Prato.
L'articolo Prato, aggressione a un presidio sindacale di fronte a un ristorante
gestito da cinesi: le immagini proviene da Il Fatto Quotidiano.
Soldi chiesti al marito per permettergli di dare l’ultimo saluto alla moglie
deceduta. Ma anche per accelerare il rilascio della salma e per favorire la
vestizione del defunto. Un tariffario di “mazzette” che andava dalle 50 e 400
euro imposto da quattro operatori della camera mortuaria del Policlinico
“Giaccone” di Palermo: Salvatore Lo Bianco, Marcello Gargano, Antonio Di Donna e
Giuseppe Anselmo. Sono accusati di associazione per delinquere e corruzione
dalla procura di Palermo, che ne ha chiesto l’arresto insieme ad altre undici
persone, titolari delle ditte di servizio funebre: Francesco e Nunzio Trinca
(“Centro servizi funerari”), Domenico Abbonato (“Centro servizi funebri
Corona”), Davide Madonia (“Madonia servizi funebri” di Rosa Belli), Natale
Mannino (titolare dell’omonima azienda), Antonio Mineo (“Mineo srl”), Angelo
Milani, Giuseppe Maggio (ditta “Maggio Pietro”), Giacomo Marchese (“Il Giardino
dei fiori” di Villabate), Daniele Bonura (“Alfano srl” di Salvatore e Giuseppe)
e Marcello Spatola (“Alfano srl Salvatore e Giuseppe”).
Secondo l’inchiesta del sostituto Felice De Benedittis e della Squadra mobile di
Palermo, che coinvolge 52 persone, era una prassi pagare per accelerare le
pratiche di rilascio delle salme. La procedura prevede che si attenda 24 ore dal
decesso prima di poter chiudere il corpo nel feretro, per evitare possibili casi
di morte apparente. Le famiglie delegano le agenzie funebri di occuparsi di
tutte le pratiche, e in questo caso le ditte avrebbero pagato gli operatori
della camera mortuaria, all’insaputa dei medici, per accelerare l’uscita dei
defunti. L’origine dell’indagine nasce da un’intercettazione della Squadra
mobile di Milano, nel corso di una conversazione tra due impresari di pompe
funebri si scopre che nel capoluogo siciliano serve “offrire un caffè” per
smuovere le acque. “Mi ha detto di avere dato un caffè a quello della camera
mortuaria, perché così funziona lì…”, dice l’impresario. “E fratello, gli ha
dato 100 euro”, risponde l’altro.
Quando gli agenti palermitani iniziano ad ascoltare quello che succede nella
camera mortuaria del capoluogo siciliano, scoprono il sistema. “Un mare di
piccioli ci sono qua”, dice Di Donna mentre guarda il collega contare i soldi
nella busta: “Qua ho gli altri vieni qua, io già la mia parte me la sono presa –
risponde Lo Bianco -, 40-45 tu (Di Donna, ndr), 45 Marcello (Gargano, ndr) e
sono 90 e 15 Iachineddu… questo è il foglio della salma che arriverà domani”. In
un’altra conversazione, si sente l’operatore Lo Bianco che fa valere la sua
posizione nei confronti del titolare della ditta funebre: “La famiglia a me non
mi interessa, qua ci sono i soldi a posto così. La prossima volta esce dopo uno
due giorni, tre giorni”. E se non si rispettano gli accordi, c’è il rischio
della ritorsione. “Se vuoi ti do i documenti perché i parenti neanche te li
faccio trasere (entrare, ndr) visto che tu parli accussì (così, ndr), poi te la
fermo (la salma, ndr) in camera mortuaria e chiudo e io ietto (butto, ndr) a
tutti fuori”.
C’è persino il caso di un marito che avrebbe pagato 50 euro a Gargano per vedere
la salma della moglie, prima che venisse portata in obitorio al Policlinico. “La
possiamo vedere cinque minuti perché c’è mio figlio che vive in Olanda, l’altro
è in Germania”, chiede l’uomo. “Ci sono le telecamere non facciamo scendere mai
nessuno sotto”, risponde l’operatore. Qualche istante dopo, gli inquirenti
immortalano il marito prendere il portafogli e dare qualcosa a Gargano, che
cambia atteggiamento: “Ora mi organizzo la situazione che siamo qua… facciamo
tutti una scinnuta (discesa, ndr)”. “Bravo, bravo”, replica il marito.
L'articolo Palermo, al Policlinico chiedevano mazzette da 50 a 400 euro per
accelerare la riconsegna delle salme: 15 arresti proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Torna legale l’olio di Cbd, ovvero il cannabidiolo, principio attivo della
canapa privo di effetti stupefacenti. Il Consiglio di Stato infatti ha accolto
il ricorso presentato da aziende e associazioni del settore canapiero, contro il
decreto del ministro della Salute Orazio Schillaci, entrato in vigore il 27
giugno 2024. Il provvedimento inseriva le composizioni orali a base di
cannabidiolo all’interno della tabella dei farmaci stupefacenti, vietandone la
vendita nei cannabis shop o in erboristeria. L’acquisto dunque era consentito
solo in farmacia, esibendo una prescrizione terapeutica firmata da un medico
ospedaliero. E ora? L’ordinanza del Consiglio di Stato sospende il decreto
Schillaci, ma resta in vigore il decreto Sicurezza. L’articolo 18 vieta la
lavorazione e la vendita del fiore della canapa e dei suoi derivati, incluso il
cannabidiolo. Tecnicamente dunque il Cbd resta illegale, anche se per la scienza
(ad oggi) è privo di effetti psicotropi. I cannabis shop e gli altri negozi
dunque possono venderlo a loro rischio e pericolo. Il mercato è promettente: 15
milioni di italiani alle prese con il dolore cronico ne sono interessati, per
via delle proprietà benefiche del cannabidiolo. Molti pazienti si affidano
all’olio di cbd per lenire sofferenze, senza le adeguate garanzie previste per i
farmaci. Anche per questo il ministero lo ha etichettato come farmaco. D’altro
canto, i pazienti ripiegano sul Cbd degli shop perché la cannabis terapeutica,
in Italia, è un tritacarne burocratico e acquistarla non è semplice. Ora il
Consiglio di Stato riammette le vendite senza ricetta, considerando “le esigenze
di continuità aziendale e occupazionale” delle imprese del settore, poiché il
“pregiudizio economico” è evidente. Insomma, i provvedimenti del governo
rischiano di mettere in ginocchio un settore da 30mila lavoratori, 150 milioni
di gettito fiscale e un fatturato di 500 milioni l’anno.
Di sicuro, la sentenza del Consiglio di Stato lascia aperta la speranza alle
aziende del settore. Il ricorso era stato presentato dall’associazione Canapa
Sativa Italia e tre aziende private, per contestare la sentenza del Tar del 16
aprile 2025. Il Tribunale amministrativo aveva promosso il decreto Schillaci,
dopo averlo sospeso due volte, l’11 settembre e il 24 ottobre 2024. Il semaforo
verde alla stretta sul Cbd era giunto grazie ai pareri del Consiglio e
dell’Istituto superiore della sanità. Mentre le sospensioni del decreto si
fondavano sulla perizia del docente de La Sapienza Costantino Cialella: il prof
certificò l’assenza di effetti stupefacenti dopo l’assunzione di Cbd.
In ogni caso il decreto per vietare il cannabidiolo non è un’idea di Orazio
Schillaci e del governo Meloni, bensì di Roberto Speranza (Pd) e del governo
Conte II. Il provvedimento fu approvato e sospeso subito, nel 2020, con
l’esponente dem al ministero della Salute. La singolare genesi è stata
illustrata dall’ex senatore del Movimento 5 Stelle Matteo Mantero: “Il decreto
arrivava dall’ufficio stupefacenti, io e altri parlamentari ne abbiamo subito
sottolineato l’insensatezza per una sostanza priva di effetti psicoattivi.
Abbiamo minacciato di far mancare il numero legale in Aula per altri
provvedimenti e poco dopo è stata annunciata la sospensione del decreto
Speranza”. Ma ad agosto 2023, il nuovo ministro meloniano revoca la sospensione
ed il provvedimento entra in vigore. Ad ottobre 2023 la prima bocciatura del
Tar. Ma Schillaci resuscita il decreto con un testo fotocopia, il 27 giugno
2024, allegando i pareri del Consiglio e dell’Istituto superiore della sanità.
Le imprese della canapa ricorrono al Tar e incassano prima la sospensione del
decreto (l’11 settembre e il 24 ottobre 2024), infine il via libera (il 17
aprile). Ora l’ennesima svolta: il Consiglio di Stato ordina di nuovo la
sospensione del decreto Speranza-Schillaci. Udienza fissata il 7 maggio 2026.
L'articolo Cannabis, il Consiglio di Stato accoglie ricorso delle aziende:
“Possono vendere l’olio di Cbd”. La battaglia giudiziaria 2 anni proviene da Il
Fatto Quotidiano.