Otto ore in sella per la patente. La proposta che divide automobilisti e ciclisti

Il Fatto Quotidiano - Tuesday, December 16, 2025

Insulti, commenti aggressivi e una diffusa ostilità verso chi si muove in bicicletta o in monopattino sono ormai parte della quotidianità urbana. Tra social network e strade cittadine, chi sceglie le due ruote deve spesso fare i conti con automobilisti distratti, manovre azzardate e una conoscenza approssimativa del codice della strada. Anche se, ad onor del vero, a volte anche i ciclisti dimostrano di essere indisciplinati. È comunque da questo contesto di insofferenza reciproca che nasce una proposta destinata a far discutere: rendere obbligatorie otto ore di pratica in bicicletta nei corsi delle scuole guida.

L’iniziativa arriva dal collettivo spontaneo torinese Belparcheggio, una rete di centinaia di persone che si spostano quotidianamente in bici, monopattino o cargo-bike. L’idea è semplice quanto radicale: far vivere in prima persona ai futuri automobilisti cosa significa muoversi su due ruote in città. “L’educazione può arrivare dove la repressione non riesce”, spiega Sirio Romagnoli, cicloattivista e promotore della proposta.

La petizione ha già raccolto quasi 14 mila adesioni, con un dato che va oltre la dimensione locale: solo il 10% dei firmatari vive a Torino, mentre la grande maggioranza arriva dal resto d’Italia e anche dall’estero. Un segnale, secondo i promotori, di un’esigenza condivisa che supera i confini regionali.

Il modello di riferimento sono i Paesi del Nord Europa, dove la cultura della mobilità ciclabile è sostenuta non solo da infrastrutture adeguate, ma anche da percorsi educativi strutturati. Nei Paesi Bassi, ad esempio, gli studenti devono ottenere un patentino simbolico che certifica la conoscenza delle regole di sicurezza stradale in bicicletta.

L’obiettivo finale è arrivare a numeri ancora più consistenti e consegnare le firme a un referente politico, affinché la proposta diventi oggetto di un confronto istituzionale. Senza illusioni, ammettono gli attivisti, ma con la convinzione che solo un cambio culturale profondo possa migliorare la sicurezza e la convivenza sulle strade italiane.

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