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Otto ore in sella per la patente. La proposta che divide automobilisti e ciclisti
Insulti, commenti aggressivi e una diffusa ostilità verso chi si muove in bicicletta o in monopattino sono ormai parte della quotidianità urbana. Tra social network e strade cittadine, chi sceglie le due ruote deve spesso fare i conti con automobilisti distratti, manovre azzardate e una conoscenza approssimativa del codice della strada. Anche se, ad onor del vero, a volte anche i ciclisti dimostrano di essere indisciplinati. È comunque da questo contesto di insofferenza reciproca che nasce una proposta destinata a far discutere: rendere obbligatorie otto ore di pratica in bicicletta nei corsi delle scuole guida. L’iniziativa arriva dal collettivo spontaneo torinese Belparcheggio, una rete di centinaia di persone che si spostano quotidianamente in bici, monopattino o cargo-bike. L’idea è semplice quanto radicale: far vivere in prima persona ai futuri automobilisti cosa significa muoversi su due ruote in città. “L’educazione può arrivare dove la repressione non riesce”, spiega Sirio Romagnoli, cicloattivista e promotore della proposta. La petizione ha già raccolto quasi 14 mila adesioni, con un dato che va oltre la dimensione locale: solo il 10% dei firmatari vive a Torino, mentre la grande maggioranza arriva dal resto d’Italia e anche dall’estero. Un segnale, secondo i promotori, di un’esigenza condivisa che supera i confini regionali. Il modello di riferimento sono i Paesi del Nord Europa, dove la cultura della mobilità ciclabile è sostenuta non solo da infrastrutture adeguate, ma anche da percorsi educativi strutturati. Nei Paesi Bassi, ad esempio, gli studenti devono ottenere un patentino simbolico che certifica la conoscenza delle regole di sicurezza stradale in bicicletta. L’obiettivo finale è arrivare a numeri ancora più consistenti e consegnare le firme a un referente politico, affinché la proposta diventi oggetto di un confronto istituzionale. Senza illusioni, ammettono gli attivisti, ma con la convinzione che solo un cambio culturale profondo possa migliorare la sicurezza e la convivenza sulle strade italiane. L'articolo Otto ore in sella per la patente. La proposta che divide automobilisti e ciclisti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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In un Paese di manager uomini, Geely Italia decide di andare controcorrente
Geely Italia entra nel mercato italiano con una scelta in controtendenza per il nostro Paese: l’80% del top management del brand è composto da donne. Su sei ruoli chiave strategici di prima linea, uno solo è ricoperto da un uomo mentre gli altri cinque sono guidati da manager in rosa: la conferma di un approccio basato sulle competenze e sui percorsi professionali, più che sul genere. Un dato che assume ancora più rilevanza se confrontato con il panorama italiano, dove la presenza femminile nei ruoli apicali resta limitata. Le donne rappresentano infatti circa il 22% dei dirigenti in Italia, un segnale di come la parità nelle posizioni di vertice sia ancora lontana dall’essere raggiunta. Il progetto italiano di Geely nasce in un momento di profonda trasformazione dell’automotive, tra elettrificazione, digitalizzazione dei servizi e nuovi modelli di mobilità. In questo contesto, l’azienda interpreta il cambiamento anche sul piano organizzativo e culturale, adottando un modello di lavoro flessibile e orientato alle persone. A supportare lo sviluppo del brand in Italia c’è Jameel Motors, partner distributivo internazionale che porta un sistema di valori fondato su meritocrazia, rispetto e crescita continua. Questi principi si traducono in scelte concrete: smart working esteso, sedi operative a Roma e Milano pensate come hub di collaborazione e politiche di welfare che favoriscono equilibrio tra vita professionale e personale. Un messaggio chiaro: il cambiamento del settore auto, come pure di altri comparti industriali verrebbe da dire, passa anche dalle persone e dai modelli con cui si sceglie di affrontarlo. Se poi è un cambiamento che passa per il gentil sesso, ben venga. L'articolo In un Paese di manager uomini, Geely Italia decide di andare controcorrente proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Volkswagen chiude una fabbrica in Germania per la prima volta in 88 anni
Volkswagen ferma la produzione di auto a Dresda da martedì 16 dicembre: lo stabilimento interromperà l’assemblaggio di veicoli elettrici rappresentando la prima chiusura di una fabbrica in Germania in 88 anni di storia. Lo stop arriva in un momento particolare per Volkswagen, il più grande produttore automobilistico europeo: la casa costruttrice è sotto il fuoco incrociato della debolezza delle vendite in Europa, dei dazi Usa che pesano sulle vendite negli Stati Uniti e dell’arrivo sul mercato continentale dei veicoli elettrici cinesi. Dal 2002, quando venne inaugurato, fino a oggi la fabbrica ha assemblato 200mila veicoli. Da sempre è stato lo stabilimento dedicato alle produzioni di alta gamma. Per anni a Desdra è stata sfornata la VW Phaeton. La produzione di questo modello era cessato nel 2016 e da quel momento era arrivata l’assegnazione della ID.3 a batteria, modello simbolo degli sforzi di Volkswagen per l’elettrificazione. La direzione aziendale ha trovato un’intesa con le rappresentanze sindacali per implementare misure di sostegno per i circa 250 lavoratori impiegati nella “fabbrica di vetro” di Dresda. Chi accetterà il trasferimento in altri siti del gruppo riceverà un incentivo economico di 30.000 euro: un “assegno” pensato per mitigare le conseguenze sociali della chiusura, assicurando ai dipendenti e alle loro famiglie un passaggio meno traumatico nella nuova destinazione. La casa tedesca non abbandonerà completamente la fabbrica, ma trasformerà l’area in un polo di ricerca e sviluppo in collaborazione con il Politecnico di Dresda. Il centro si concentrerà su tecnologie all’avanguardia come intelligenza artificiale, robotica e semiconduttori, grazie a un investimento di 50 milioni di euro su sette anni. Come noto, Volkswagen ha deciso di ridurre il proprio piano di investimenti quinquennale da 180 a 160 miliardi di euro, con l’obiettivo di migliorare il flusso di cassa per il 2025. L'articolo Volkswagen chiude una fabbrica in Germania per la prima volta in 88 anni proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Un’auto entra nella piscina comunale e affonda: rocambolesca manovra di una mamma con la figlia – VIDEO
Sembra la scena di un film d’azione, invece è tutto vero. L’automobile guidata da una donna trentottenne, che viaggiava insieme alla figlia di 5 anni, è finita dritta nella vasca di una piscina comunale. È accaduto giovedì a La Ciotat, un comune francese di oltre 35mila abitanti situato nel dipartimento delle Bocche del Rodano, nella regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra, e la foto dell’auto inabissata nella vasca è ovviamente diventata virale sui social. Ma cos’è accaduto? Secondo le prime ricostruzioni, stando ai filmati delle telecamere di sicurezza sarebbe stata tutta colpa di una manovra temeraria. Il veicolo ha prima divelto la recinzione esterna e, a causa della velocità, si è schiantata contro la vetrata della piscina, “tuffandosi” poi in acqua. Il dramma per fortuna è stato evitato grazie all’intervento immediato di due bagnini e di una persona presente nella piscina: i tre uomini si sono subito tuffati per estrarre la mamma e la figlia prima che l’acqua invadesse completamente l’abitacolo e le hanno tratte in salvo. Tanto spavento per loro e per tutti i frequentatori della piscina che in quel momento si trovavano nella struttura. Le due donne sono poi state portate all’ospedale di La Ciotat per essere curate, così come un uomo che si trovava nella struttura pubblica, rimasto leggermente ferito dopo essere stato colpito dai frammenti delle vetrate andante in frantumi. Per fortuna le loro condizioni sono buone e sono stati tutti dimessi. Il peggio è stato evitato. > ???????? | Une #voiture a fini dans la #piscine municipale de La #Ciotat après > une mauvaise manœuvre d’une conductrice de 38 ans, avec sa fille de 5 ans à > bord. Une personne a été légèrement blessée pic.twitter.com/0CPQS7ZYQE > > — Instant Actu (@Inst_Actu) December 11, 2025 L'articolo Un’auto entra nella piscina comunale e affonda: rocambolesca manovra di una mamma con la figlia – VIDEO proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Geely inaugura in Cina il più grande centro di collaudo veicoli elettrificati al mondo
Geely Auto Group ha inaugurato a Ningbo, in Cina, il Safety Centre, il più grande e avanzato centro di collaudo per la sicurezza automobilistica a livello globale. La struttura si estende su 45.000 m² e rappresenta un investimento iniziale superiore a 2 miliardi di RMB (oltre 240 milioni di euro), con l’obiettivo di supportare lo sviluppo di nuove tecnologie per la sicurezza nell’era dei veicoli elettrificati e intelligenti. Il centro copre l’intero spettro dei test di sicurezza riconosciuti a livello internazionale, inclusi crash test ad alta velocità, protezione dei pedoni, sicurezza attiva, test su batterie e sistemi di propulsione, oltre a valutazioni su cybersecurity, salute e impatto ambientale. L’impianto è stato progettato secondo il concetto Geely di “sicurezza integrata”, che va oltre la protezione di veicolo e occupanti e include anche dati, ambiente e benessere delle persone. Il Geely Safety Centre dispone di capacità avanzate per test di cybersecurity conformi agli standard CNAS, con simulazioni di attacchi multipli e verifiche su chip, firmware, crittografia dei dati, aggiornamenti OTA e sistemi elettronici di bordo. È inoltre attivo il team “Golden Nose”, specializzato nell’analisi di materiali e nella rilevazione di sostanze nocive e odori, a supporto dello standard interno “zero gas/odori dannosi”. La struttura ha stabilito cinque Guinness World Record, tra cui il più grande laboratorio di sicurezza automobilistica, la pista indoor per crash test più lunga al mondo, la galleria del vento più ampia con simulazioni climatiche avanzate e il maggior numero di tipologie di test disponibili in un centro di un costruttore automobilistico. L'articolo Geely inaugura in Cina il più grande centro di collaudo veicoli elettrificati al mondo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Trasporto pubblico inadeguato e micro-mobilità al palo, l’auto resta regina della provincia italiana
La nuova instant survey “La mobilità dell’altra Italia”, realizzata da Areté, mette in luce con chiarezza una realtà spesso trascurata: nelle città italiane di medie dimensioni l’auto resta il mezzo dominante, più per necessità che per scelta. L’indagine, condotta su un campione rappresentativo di dieci province sotto i 250.000 abitanti, evidenzia infatti un forte squilibrio tra trasporto privato e offerta pubblica. Il 67% degli intervistati utilizza abitualmente l’auto per i propri spostamenti quotidiani, mentre solo il 12% ricorre ai mezzi pubblici e altrettanti riescono a muoversi principalmente a piedi. La micro-mobilità, tra monopattini e biciclette tradizionali o elettriche, si ferma complessivamente all’8%. A determinare la scelta dell’auto è soprattutto la ricerca di rapidità (54% delle risposte) e la percezione diffusa di un trasporto pubblico inadeguato: solo un cittadino su tre si dichiara soddisfatto del servizio. Interessante il dato sulle restrizioni ambientali: il 60% degli intervistati si dice favorevole al bando dei veicoli diesel Euro 5 nei centri cittadini. A motivare il sì sono soprattutto il miglioramento della qualità dell’aria, l’esigenza di rispettare i parametri europei e la speranza di un traffico più fluido nelle aree centrali. Chi è contrario teme invece costi elevati per le famiglie e dubita dell’efficacia reale del provvedimento. Sul fronte del futuro, emerge una cauta evoluzione: il 50% ritiene che l’auto resterà comunque il mezzo principale, ma aumenta la fiducia nei trasporti pubblici, indicati dal 24% come opzione preferita negli anni a venire. Segnali di crescita arrivano anche dalla mobilità dolce: l’uso combinato di bici ed e-bike, oggi al 5%, potrebbe quasi raddoppiare. Secondo Massimo Ghenzer, presidente di Areté, il quadro delineato racconta un’Italia diversa dalle grandi metropoli, dove l’auto rimane centrale per mancanza di alternative davvero efficienti. Servizi come car sharing e car pooling restano marginali, ma la domanda di un trasporto pubblico più affidabile è forte: una condizione necessaria per ridurre realmente la dipendenza dall’automobile e aprire la strada a una mobilità più equilibrata. L'articolo Trasporto pubblico inadeguato e micro-mobilità al palo, l’auto resta regina della provincia italiana proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Mercato auto Europa, a ottobre +4,9% e nei primi 10 mesi +1,8%. Ma si resta sotto i livelli del 2019
Nel mese di ottobre le immatricolazioni di autovetture in Europa Occidentale (UE, Regno Unito ed EFTA) hanno raggiunto 1.091.904 unità, segnando un incremento del 4,9% rispetto allo stesso mese del 2024. Il dato resta tuttavia inferiore del 10,1% rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019. Il bilancio dei primi dieci mesi dell’anno si attesta a 11.020.514 immatricolazioni, con un aumento dell’1,9% sull’anno precedente, ma ancora distante (-17,3%) dai volumi registrati prima della crisi sanitaria. Nel resto del mondo, invece, il mercato ha già superato ampiamente i livelli del 2019. La dinamica europea risulta nel complesso debole e riguarda tutti i principali Paesi dell’area, compreso il Regno Unito. Considerando i cinque mercati maggiori, che insieme rappresentano il 69,5% delle vendite regionali, la Spagna mostra la performance più favorevole nel periodo gennaio-ottobre, con una crescita del 14,9% sul 2024, pur restando sotto i livelli del 2019 (-10,2%). Il Regno Unito segna un aumento del 3,9% su base annua, ma mantiene un divario del 14,1% rispetto al periodo pre-crisi. La Germania registra un progresso limitato (+0,5%) e un arretramento del 22% sui livelli del 2019. L’Italia presenta una flessione del 2,6% anno su anno e del 20,4% nel confronto con il 2019. Chiude la graduatoria la Francia, in calo del 5,4% nei primi dieci mesi e del 27,5% rispetto ai valori pre-pandemia. Anche la diffusione dei veicoli elettrici mostra un avanzamento disomogeneo. La Norvegia rimane il caso più avanzato, con una quota del 97,4% di auto elettriche sul totale delle immatricolazioni di ottobre. In fondo alla classifica si collocano Croazia (4,1 %), Slovacchia (4,9 %) e Italia, che raggiunge il 5 %. Nel contesto europeo, cresce il dibattito sulla necessità di rivedere la strategia per la transizione energetica, al fine di ridurre gli impatti su consumatori, industria automobilistica ed economia complessiva. In questo scenario, gli operatori del settore osservano con attenzione l’evoluzione normativa, mentre le associazioni di categoria segnalano l’esigenza di un quadro regolatorio più stabile. È attesa per il 10 dicembre una comunicazione della Commissione europea che dovrebbe fornire indicazioni aggiuntive sul percorso della transizione, con possibili misure volte a sostenere la competitività del settore e a favorire lo sviluppo di veicoli elettrici di dimensioni più contenute. L'articolo Mercato auto Europa, a ottobre +4,9% e nei primi 10 mesi +1,8%. Ma si resta sotto i livelli del 2019 proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Auto, UE verso una svolta. Possibile revisione del percorso di decarbonizzazione
“Stiamo conducendo una revisione nell’ambito del più ampio pacchetto per il comparto automotive che rispetterà il principio di neutralità tecnologica”. Parole pronunciate dal commissario UE ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, che confermano la volontà della Commissione di aprire alle richieste del mondo automotive, prima fra tutte l’abbandono della politica del “solo elettrico”, che sta creando parecchi problemi sotto il profilo strategico e quello industriale. Sicché, entro dicembre, si dovrebbe assistere all’avvio della revisione del percorso di decarbonizzazione dell’automotive in tema di regolamentazioni sulle emissioni CO2 e tecnologie ammesse per raggiungere i target preposti. La data da cerchiare sul calendario sarebbe quella del 10 dicembre, giorno in cui l’Associazione dei costruttori europei (Acea) spera che Bruxelles possa avviare quell’iter che porti all’abolizione del bando alla vendita delle nuove auto a benzina e diesel nel 2035, ammettendo la commercializzazione delle ibride ricaricabili, dei modelli con range extender (ovvero di modelli a trazione elettrica ma dotati di motore termico che fa da generatore di corrente per la ricarica delle batterie) e delle vetture a idrogeno. I car makers chiedono pure incentivi strutturali per sostenere la domanda di mercato, specie per le vetture elettriche e dove il potere di acquisto risulti essere inferiore. Ma in ballo c’è pure la definizione di quelle che saranno le norme che circoscriveranno la categoria delle “E-Car“, automobili di piccole dimensioni, a basso impatto ambientale e di impostazione simile alle kei car giapponesi. Si discuterà anche di carburanti sintetici, promossi dalla Germania, e di biocarburanti, fortemente richiesti dall’Italia e dalla filiera dell’automobile: sono trenta le associazioni dell’automotive, tra cui le italiane Anfia e Unem, che hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta per reclamare alle istituzioni comunitarie di inserire questi carburanti nella normativa sulle emissioni di CO2. In questo senso, per le associazioni, i carburanti rinnovabili potranno “svolgere un ruolo indispensabile nel raggiungimento degli obiettivi climatici”. Le associazioni chiedono, in primis, che i veicoli alimentati esclusivamente con carburanti rinnovabili siano riconosciuti “come veicoli a zero emissioni”, come quelli elettrici; e che sia introdotta una “definizione giuridica unitaria dei carburanti rinnovabili”, in linea con le disposizioni della Direttiva sulle Energie Rinnovabili (RED). Infine, le suddette associazioni firmatarie invitano la Commissione Europea “a integrare rapidamente e formalmente i carburanti rinnovabili nella normativa per la riduzione delle emissioni di CO2 degli autoveicoli leggeri in vista della prossima revisione. Solo allora l’Europa potrà raggiungere i suoi obiettivi climatici con efficienza, sostenibilità economica e responsabilità sociale”. L'articolo Auto, UE verso una svolta. Possibile revisione del percorso di decarbonizzazione proviene da Il Fatto Quotidiano.
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A Roma, dove il traffico è un inferno, FdI protesta a favore dell’auto privata
Domenica 16 novembre, su iniziativa della segreteria romana di Fratelli d’Italia, ci sarà un corteo di auto per protestare contro le limitazioni al traffico e rivendicare il diritto dei romani a utilizzare l’auto privata come, dove e quando vogliono. Eppure la situazione della capitale è sotto gli occhi di tutti: passata la pausa estiva a Roma è tornato l’inferno del traffico, aggravato, peraltro dall’arrivo di milioni di turisti e pellegrini; cui si aggiunge l’odissea del parcheggio introvabile. E allora è del tutto evidente che, come si sta facendo in tutte le grandi città europee e come dal 1990 aveva proposto la Ue con “città senza auto”, per avere una città vivibile, è indispensabile fare esattamente il contrario di quanto vuole chi oggi protesta; occorre, invece eliminare dalle nostre strade quanto più si può del traffico privato per dirottarlo sul servizio pubblico, tenendo presente che nel 2024, secondo l’ultimo Rapporto sulla Mobilità del Comune di Roma, il 65% della popolazione utilizza il trasporto privato mentre il trasporto pubblico si ferma al 12,4% degli spostamenti, e la mobilità sostenibile (bici, monopattini e sharing) non supera il 4%. Tanto è vero che, a Roma, secondo le ultime rilevazioni disponibili, ogni 1000 abitanti ci sono 640 auto (a Londra sono 360 e a Parigi 250). Con la conseguenza che la nostra capitale oggi è la città più congestionata d’Europa e la seconda città al mondo per ore sprecate nel traffico (che ogni anno ci fa perdere più di 21 giornate di lavoro); cui si aggiunge il poco invidiabile primato di città più rumorosa di Italia e di terza capitale europea per inquinamento da smog: secondo i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, il maggior numero di morti premature – in valore assoluto – per l’esposizione al biossido di azoto (tipico da traffico) si riscontrano nelle province di Milano (1600), Roma (1236), Napoli (901) e Torino (767). Insomma, meno auto e più trasporto pubblico tanto più che, secondo le ultime rilevazioni, il 72% degli italiani che vivono in grandi città ritiene che nel proprio territorio esistano alternative all’auto privata soprattutto se si riesce ad ottenere un servizio pubblico adeguato. Esattamente quello che Roma non ha, come certificato sin dal 2018 dal referendum consultivo proprio sulla efficienza del trasporto pubblico, in cui, nonostante la bassa affluenza, il 74% dei romani votò a favore della liberalizzazione del servizio di trasporto pubblico della città da affidare tramite gare aperte ai privati. Ma poi non si è privatizzato niente e l’Atac, nonostante alcuni recenti miglioramenti, continua ad essere deficitaria, come uomini, mezzi ed organizzazione, rispetto al compito di offrire un servizio pubblico efficiente e capillare, tale da consentire di lasciare l’auto a casa per una città più vivibile e meno inquinata. Anche se, a questo punto, va anche detto con chiarezza che non potremo mai avere un trasporto pubblico adeguato se prima non togliamo le auto dai suoi percorsi, tanto più se sono veicoli molto inquinanti. Esattamente il contrario, cioè, di quanto hanno appena fatto Regione Lazio e Comune di Roma consentendo la permanenza in circolazione di 460.000 auto Euro5 che, secondo la Ue dovevano essere bandite dal 1 novembre; facendone pagare, peraltro, il prezzo a tutto il popolo inquinato, in quanto, per compensare questa deroga vergognosa, il Comune ha deciso la riduzione di tre settimane del periodo di accensione dei riscaldamenti e un’ora in meno al giorno. Con l’aggravante delle conseguenze economiche a carico di tutti i cittadini visto che in questi giorni la Cassazione ha ribadito che il Comune di Roma deve risarcire i danni a chi risulti danneggiato per inquinamento da traffico nella nostra città. Con buona pace del diritto alla salute ed all’ambiente garantiti dalla nostra Costituzione. L'articolo A Roma, dove il traffico è un inferno, FdI protesta a favore dell’auto privata proviene da Il Fatto Quotidiano.
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