Nelle ultime ore la startup californiana Preventive sta facendo discutere dopo
un’inchiesta del Wall Street Journal. Il progetto della Silicon Valley sarebbe
quello di creare bambini geneticamente modificati, tentando di identificare e
sradicare malattie genetiche già nella fase embrionale. Il gran parlare di
questi giorni, in realtà, poteva essere previsto: già quest’estate la stessa
testata segnalava un sempre maggior interesse tra le ricche famiglie di San
Francisco nel finanziare tecnologie sperimentali per lo screening embrionale del
QI. Avere bambini più intelligenti e avere bambini sani, insomma, sono due
desideri che vengono messi sullo stesso piano.
Da dove nasce questo mito dell’high-performing baby? Negli Stati Uniti una delle
maggiori garanzie di successo nella vita è frequentare un’università
prestigiosa, le cosiddette Ivy League. Riuscirci non corrisponde solo al
ricevere la migliore istruzione degli States, ma è motivo di grande prestigio
tra le famiglie degli studenti di Harvard, Yale, Princeton, ecc. Avere figli più
intelligenti, dunque, significa fargli percorrere una strada più semplice,
viaggio di sola andata per una delle maggiori università degli Usa.
Prima ancora di avere un elevato QI (nonostante la pedagogia abbia ampiamente
dimostrato che il QI non è in grado di misurare tutte le intelligenze e le loro
declinazioni), però, l’esigenza è quella di avere bambini sani. Preventive
lavora già da diverso tempo all’obiettivo di far nascere un bambino da un
embrione geneticamente modificato per prevenire qualsiasi malattia genetica,
finanziata da miliardari della Silicon Valley come Sam Altman, fondatore di
OpenAI.
Tecnicamente la start up non può sperimentare negli States, perché l’editing
genetico ereditario degli embrioni che ne modifica il DNA – a differenza di
quello germinale che riguarda solo lo studio e la ricerca – è illegale in molti
Paesi, in riferimento alla convenzione di Oviedo sulla biomedicina. Si tratta di
un documento del 1997 che tutela il benessere dell’individuo rispetto al
progresso scientifico, le cui specifiche nel secolo scorso potevano essere
ancora solo immaginate, basti pensare che la prima mappa del genoma umano risale
al 2003.
Nella cattolicissima Italia, per una paradossale incoerenza del testo, la Legge
40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita che pure vieta la
sperimentazione sugli embrioni (anche quelli soprannumerari), all’art.13
consente in via eccezionale la ricerca clinica e sperimentale sull’embrione, a
patto che questa abbia finalità terapeutiche e diagnostiche.
Ma perché l’editing genetico pre-natale per fini riproduttivi è proibito in gran
parte del mondo? Si tratta di tecnologie che possono avere gravi ripercussioni
sul patrimonio genetico dell’embrione e, di conseguenza, del nascituro. Lavorare
su una porzione specifica di Dna può generare i cosiddetti effetti off-target,
ossia conseguenze indesiderate che impattano altri punti del genoma, causando
cancellazioni o danneggiamento di microsettori del Dna. Il mito del figlio sano,
in sintesi, resta una scommessa, perché la scienza in tal senso non può offrire
certezze al 100%. Tali rischi per la salute, però, potrebbero essere accettati
dai genitori che danno il proprio consenso al trattamento prenatale
dell’embrione; da un punto di vista etico, però, restano aperte diverse porte.
Innanzitutto, una sperimentazione di questo tipo condotta da start up private
nel massimo riserbo fa spuntare l’onnipresente preoccupazione sull’eugenetica:
la selezione dei caratteri più vantaggiosi, senza paletti ben precisi, può
scivolare facilmente dalla salute alle preferenze sul colore della pelle, il
tipo di capelli o il genere del nascituro, portando con sé un enorme bagaglio
relativo alle discriminazioni e alle logiche di sopravvivenza del migliore.
Un’altra questione riguarda il concetto stesso di “potenziamento”: quale futuro
immaginiamo per coloro che non hanno accesso a questo tipo di pratiche? Se si
accetta l’ipotesi che l’essere umano possa essere modificato, lo si fa partendo
dal presupposto per cui l’individuo sano è sempre meglio di quello malato. Per
quanto possa sembrare un’affermazione banale, non è così semplice: l’immensa
varietà di ciò che definiamo “umano” comprende anche ciò che non è sano, anzi,
buona parte degli individui si discosta dallo “standard” che idealizziamo come
tale. Una volta intrapresa la strada dell’editing ereditario e quindi la
convinzione che si possa ridurre la percentuale di persone con difetti genetici,
la società sarà ancora in grado di praticare l’inclusione e garantire diritti a
chi non ha avuto accesso a pratiche di potenziamento genetico? Qual è il posto
che verrà riservato al non-sano?
Il caso di Preventive è quello di una ricerca finanziata dai privati: solo per i
più ricchi la riduzione delle malattie genetiche sarà un’opzione praticabile? Se
così fosse, sarebbe l’ennesima disparità di stampo economico in relazione alla
sanità e all’accesso alle cure.
Al momento Preventive non sembra aver dato l’ok ad alcun impianto embrionale in
utero e pare volersi concentrare sulla prevenzione di malattie come la fibrosi
cistica o l’anemia falciforme. In quest’ottica, la start up dipinge il proprio
lavoro come un “progettare” la vita umana a fin di bene. Vedremo se i risultati
di queste ricerche saranno resi trasparenti e pubblici o se diventerà l’ennesimo
passatempo per miliardari con manie di onnipotenza e cosplay da Superman.
L'articolo Bambini sani e con elevato QI: la scommessa della start up di Altman
apre non poche questioni etiche proviene da Il Fatto Quotidiano.