Il cugino di Emanuela Orlandi Pietro Meneguzzi ha rilasciato ieri un’intervista
per il programma Rai Chi l’ha Visto, che è tornato sul mistero della scomparsa
della cittadina vaticana. Pietro è il figlio di Mario Meneguzzi, su cui negli
ultimi giorni si è focalizzata l’attenzione del giornalista Massimo Giletti che
ha condotto un’inchiesta che ha riacceso il focus sullo zio di Emanuela e sulla
pista per cui all’epoca gli inquirenti si erano focalizzati su di lui. “Questa
pista riproposta dopo che era stata accantonata, rilanciata senza nessun nuovo
elemento di indagine e nessun fondamento e un po’ gli Orlandi da vittime in un
soffio diventano carnefici. Natalina (la sorella maggiore di Emanuela, ndr) è
stata assaltata dalle telecamere sotto casa”, ha sottolineato la conduttrice del
programma Federica Sciarelli.
I SOSPETTI SU ZIO MARIO
Il nome di Mario Meneguzzi, lo ricordiamo, è riemerso dai faldoni del tempo dopo
che nel 2023, durante il Tg La7, Enrico Mentana diffuse la notizia di una
confessione che nel 1978 Natalina Orlandi fece al suo padre spirituale, un
sacerdote sudamericano al quale confessò si essere turbata per delle attenzioni
particolari da parte del marito della sorella di suo padre, Lucia Orlandi. “Mio
zio mi fece delle semplici anavces verbali e finirono lì”, ha chiarito poi la
donna in conferenza stampa. Per questo episodio l’uomo fu indagato all’epoca
dagli inquirenti e tutti i sospetti presto caddero. Le famiglie Meneguzzi e
Orlandi tuttavia sono rimaste molto legate, questa storia non ha scalfito la
loro unione come confermano Pietro Orlandi e Pietro Meneguzzi a Chi l’ha visto.
LE PAROLE DI MENEGUZZI
“Come succede per tutti i casi di scomparsa, si indaga anche tra i familiari ma
all’epoca accertarono che non c’era nessun orco in famiglia. Mio padre è
deceduto nel luglio del 2009. Oggi avrebbe avuto 93 anni e credo che se fosse
vivo non sarebbe neanche uscita questa cosa. Si tratta di un vecchio sospetto –
ha spiegato il figlio – accantonato. Furono delle avances verbali e niente di
più come ha detto nel 2023 Natalina in conferenza stampa. Sono sempre le stesse
storie che tirano fuori per allontanare dalla verità, quella vera ma noi siamo
ancora qui. Comunque è giusto che dopo 42 anni la Procura è giusto riparta da
zero e indaghi di nuovo su tutte le piste. Siamo stati richiamati tutti dal Pm
che vuole ricostruire la vicenda”.
LA PERQUISIZIONE
Nei giorni scorsi, il programma “Lo stato delle cose” condotto dal giornalista
Massimo Giletti ha diffuso un servizio in cui si parlava di una perquisizione
recente della Polizia a casa dei Meneguzzi. Questa perquisizione risale
all’aprile del 2024. “La Polizia Giudiziaria ha perquisito la casa a Roma dove
mia madre vive in affitto e che non è più quella dove vivevamo nel 1983, adesso
abitata da mia sorella Monica”, ha spiegato Meneguzzi. “Ha preso delle micro
casette audio e dei timbri, era tutto in cantina”. Alcune di queste cassette non
sono state mai utilizzate, altre erano state utilizzate per registrare. Sono
state analizzate e sottoposte ad accertamenti dei Ris “Ma non contengono nulla
di importante – ha specificato Meneguzzi –. Poi hanno chiesto di perquisire
altre case: quella in montagna attuale a Spedino e quella di famiglia a Roma
ormai di mia sorella”. Lì le forze di Polizia hanno trovato solo dei Vhs
analizzati e verbalizzati e che contengono: un concerto dei Backstreet Boys, una
puntata del programma Telefono Giallo, una puntata di “Sei forte maestro”, il
matrimonio di Monica Meneguzzi e tutta la famiglia al mare. “Voglio dirvelo per
anticipare lo scoop del secolo di chi non vuol fare cronaca e vuol fare altro”,
ha concluso Meneguzzi figlio, evidentemente turbato dal riemergere di una
vecchia vicenda ormai dimenticata.
L’IDENTIKIT
Negli ultimi tempi la foto di Mario Meneguzzi è stata confrontata (perché
indicata come somigliante) all’identikit dell’uomo che davanti al Senato quel
giorno, il 22 giugno del 1983, fece una strana proposta di lavoro a Emanuela
Orlandi: distribuire volantini per l’Avon per 375mila lire, una cifra
considerevole per i tempi. Quell’offerta fu in realtà la trappola messa in atto
per attuare il sequestro della ragazza all’uscita della scuola di musica nella
Basilica di Sant’Apollinare. E questo evento è l’unica e ultima certezza sulla
sua scomparsa perché la ragazza ne parlò al telefono alla sorella Federica, a
cui telefonò dalla scuola di musica, poco prima di sparire per sempre. “Emanuela
disse a Federica: un uomo mi ha fermato non mio zio mi ha fermato, lo avrebbe
riconosciuto”, fa notare Pietro Orlandi rispondendo a chi in tempi recenti ha
evidenziato la somiglianza tra Mario Meneguzzi e l’uomo misterioso.
L’ALIBI DI MENEGUZZI
Quel giorno Mario Meneguzzi era con la moglie Lucia, la figlia Monica e la
cognata Anna Orlandi a Torano, località di montagna dove trascorrevano le
vacanze. Il suo alibi venne evidentemente accertato da chi condusse le indagini
all’epoca. Racconta il figlio: “Ero a casa con la mia fidanzata dell’epoca,
stavamo festeggiando il suo compleanno. Alle dieci chiama zio Ercole e mi dice:
Emanuela non è tornata a casa, mio padre era in montagna a Torano. Mio padre
lascia tutto e scappa a Roma. Entrambi ci trasferiamo a casa di Emanuela. “Mio
zio dormiva in camera con mio padre, vicino al telefono. Prendeva lui le
chiamate perché mio padre come me era completamente perso. Da quel 22 giugno
dice Pietro Orlandi non so cosa sarebbe accaduto se non ci fossero stati loro.
Mio cugino Pietro per me è stata ed è ancora la persona più vicina”, ci ha
tenuto a sottolineare Pietro Orlandi.
L'articolo “Mia cugina Emanuela Orlandi? Siamo stati richiamati tutti dal Pm che
vuole ricostruire la vicenda. Ecco cosa contengono le videocassette perquisite a
casa nostra”: a ‘Chi l’ha visto’ parla il figlio di Mario Meneguzzi proviene da
Il Fatto Quotidiano.
Tag - Emanuela Orlandi
Massimo Giletti è stato aggredito in centro a Roma mentre stava rivolgendo delle
domande a un uomo che prima gli ha rilasciato un’intervista e poi lo ha colpito
con un pugno, rifiutando di rispondere ad ulteriori domande sul caso della
scomparsa di Emanuela Orlandi.
L’AGGRESSIONE
Il giornalista stava lavorando a un servizio sul mistero della scomparsa della
cittadina vaticana avvenuta nel 1983, per il programma in onda su Rai 3 ‘Lo
stato delle cose’, per cui il conduttore ha scelto di seguire la cosiddetta
pista familiare che vede al centro lo zio di Emanuela Mario Meneguzzi, scomparso
da diversi anni. La persona inseguita da Giletti, lo dice lo stesso giornalista,
è un ex agente dei servizi segreti che aveva fatto parte del Sisde: lo stesso
ascoltato giovedì scorso dalla commissione parlamentare di inchiesta dopo che
proprio ‘Lo stato delle cose’ aveva ricostruito che Mario Meneguzzi, zio di
Emanuela Orlandi, era stato avvertito del fatto che gli stessi Servizi all’epoca
lo stessero pedinando (fonte: Rainews). Del resto, è già noto che l’uomo fosse
stato attenzionato dagli inquirenti ma i sospetti contro di lui caddero presto
perché non vennero riscontrati elementi di prova sul suo coinvolgimento nella
scomparsa della ragazza avvenuta il 22 giugno del 1983. E il suo alibi – quel
giorno era a 200 chilometri da Roma insieme alla moglie Lucia, alla figlia
Monica e alla cognata Anna Orlandi – venne, evidentemente, riscontrato da chi
indagò all’epoca. “Ma fu fatto molto poco”, ha dichiarato ieri Giletti in
trasmissione. Secondo quanto riporta Rainews, la soffiata a Meneguzzi all’epoca
sul fatto che lo stessero pedinando, sarebbe arrivata “da una persona legata ai
servizi segreti: Giulio Gangi, oggi deceduto, che lavorava in coppia proprio con
l’uomo coinvolto nell’episodio”. Lo stesso Gangi sin da subito si mise sulle
tracce della Vatican Girl, e a quanto pare conosceva i cugini di Emanuela tra
cui il figlio di Mario Meneguzzi, Pietro. “Gangi lo conoscevo, lavoravamo al
Sisde” ha dichiarato l’ex agente che ieri ha colpito Giletti (prima di
aggredirlo) ma l’uomo ha anche negato di conoscere le motivazioni per cui
Meneguzzi sarebbe stato all’epoca avvisato del pedinamento nei suoi confronti.
L’uomo ha negato di aver avvisato Gangi: “Se uno è corrotto non significa che lo
sono tutti. Non so se e perché lo abbiano avvisato”, ha dichiarato a Giletti. “I
servizi avvisarono lo zio di Emanuela che era pedinato e chiamò qualcuno dei
Servizi per chiedergli chi lo seguisse”, ha dichiarato ieri in tivù Giletti.
“MI HA COLPITO UNA SECONDA VOLTA MANDANDOMI PER STRADA”
“Chi è il soggetto in questione? È un ex dei servizi segreti, che ha fatto anche
la legione straniera e credo sia stato anche tra i paracadutisti. Giovedì
scorso, quando è stato ascoltato e interrogato da Andrea De Priamo, presidente
della commissione Orlandi – spiega Giletti all’ANSA – ho provato a intervistarlo
sulla vicenda. Sto seguendo infatti una pista che non è stata mai approfondita:
il coinvolgimento dello zio Mario Meneguzzi nel rapimento di Emanuela Orlandi.
Nel momento in cui l’ho incalzato per quattro, cinque minuti, chiedendogli come
mai i servizi segreti avessero avvertito lo zio di Emanuela del fatto che era
pedinato dalla polizia, ha perso la testa, si è girato e mi ha colpito come un
pugno. Io, che sono alto e vaccinato, sono nato in strada e ho fatto parecchie
battaglie da ragazzino, non mi sono spaventato e ho insistito. Quello che manca
purtroppo nel filmato è una seconda parte, in cui mi ha colpito di nuovo
violentemente mandandomi in mezzo alla strada: purtroppo ha colpito anche il
telefono che è andato in tilt”. E infine “denunciare? Come diceva Minoli, sono
un giornalista di strada, e i giornalisti di strada sanno quello che succede
quando fai domande scomode: il primo a colpirmi, vado a memoria, fu Umberto
Bossi, parliamo del 1992-1993, gli anni di Mixer. Quando fai domande scomode,
anche i politici perdono la testa. Io volevo querelare, Minoli mi disse: uno
come te prende e incassa”,
IL SERVIZIO
La scorsa settimana, “Lo Stato delle cose” aveva diffuso la notizia della
perquisizione da parte dei Carabinieri della casa di Mario Meneguzzi in località
Torano, a Spedino, (la stessa in cui si trovava il giorno in cui venne rapita
sua nipote). Tale perquisizione è avvenuta nel 2024, dopo che la figura di
Meneguzzi era stata nuovamente tirata in ballo da Enrico Mentana durante il Tg
La7. In quel servizio venne mostrata una lettera all’allora segretario di Stato
del Vaticano di un sacerdote sudamericano, padre spirituale della sorella di
Emanuela, Natalina Orlandi che aveva confessato al prete di aver ricevuto delle
“semplici avances verbali da parte di mio zio che però caddero lì” (ha precisato
poi in conferenza stampa, nel 2023, la donna). Per questo motivo, “Zio Mario”
venne indagato all’epoca dei fatti ma la sua posizione fu presto archiviata con
un nulla di fatto. Ieri, Giletti ha parlato di una nuova perquisizione avvenuta
in un altro appartamento, mostrando nuovamente i documenti della Procura che
risalgono ai giorni della scomparsa da cui si legge che anche il fidanzato di
Natalina all’epoca disse ai Carabinieri delle avances ricevute. In
quell’occasione, Natalina confermò alle forze dell’ordine i fatti (avvenuti nel
’78, cinque anni prima, ndr) ribadendo il suo imbarazzo per gli atteggiamenti di
suo zio “a cui risposi sempre negativamente”: così disse al sostituto
procuratore Domenico Sica che era a capo delle indagini.
LA SMENTITA DELLA FAMIGLIA
“Siamo stati tutti quanti pedinati, mi sembra che cascate dal pero. Siamo stati
controllati tutti, sia gli Orlandi che noi Meguzzi, è stato scritto dappertutto.
Gli inquirenti giustamente all’inizio hanno voluto verificare che in famiglia
non ci fosse qualche problema ma non ci hanno ancora arrestati. Siamo qui dopo
42 anni e siamo tranquilli” ha detto ieri Giorgio Meneguzzi, figlio di Mario,
all’inviata de Lo Stato delle cose. “Sugli inseguimenti non furono i Servizi che
avvisarono mio zio ma il contrario – ha spiegato ieri Pietro Orlandi con un
messaggio sui social –, mio zio si sentiva seguito, avvisò Gangi perché aveva
paura e non sapeva chi fossero. Gangi disse: prendi la targa, gli lesse la targa
e dopo un po’ gli dissero, di stare tranquillo perché era una loro auto.
Comunque Giletti inventa date, fa passare che siano indagini attuali evitando di
dire che ci furono indagini approfondite e chiuse perché non fu provato nulla”.
L'articolo Massimo Giletti è stato aggredito e colpito con un pugno da un ex
esponente dei servizi segret mentre tentava di intervistarlo sul caso Emanuela
Orlandi proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo 42 anni di ricerche e indagini, la Procura di Roma inserisce lo zio di
Emanuela Orlandi, Mario Meneguzzi tra le piste d’indagine sulla scomparsa della
la cittadina vaticana di cui il 22 giugno del 1983, si persero le tracce,
all’uscita dalla scuola di musica nel cuore di Roma.
ZIO MARIO E LA CASA DI TORANO
Mario Meneguzzi (marito della sorella di Ercole Orlandi, il papà di Emanuela) è
deceduto da anni, ed era già stato attenzionato dagli inquirenti all’epoca dei
fatti ma la sua posizione venne archiviata. Circola in queste ore la notizia di
una perquisizione nella villa di Torano, una località di campagna a 200
chilometri da Roma dove la sua famiglia trascorreva le vacanze. La perquisizione
di cui si sta diffondendo notizia, tuttavia, non è recente ma risale all’aprile
2024 e si inserisce nel riesame complessivo degli atti. La casa di Torano è
significativa perché è lì che zio Mario si trovava con la famiglia il 22 giugno
1983, giorno della scomparsa di Emanuela.
LA PISTA FAMILIARE
Questa pista, quella familiare, è tornata all’attenzione per la prima volta dopo
che nel 2023 durante il Tg de La7, fu diffusa una lettera del Vaticano che
risale ad alcuni mesi dopo la scomparsa della ragazza. Accadde che l’allora
Segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli scrisse, in via riservata, un
messaggio per posta diplomatica a un sacerdote sudamericano inviato in Colombia
da Giovanni Paolo II, che era stato in passato consigliere spirituale e
confessore degli Orlandi. La missiva, sollecitata da ambienti investigativi
romani, puntava a chiarire se il religioso fosse a conoscenza del fatto che
Meneguzzi avesse fatto delle avances a sorella maggiore di Emanuela. Una domanda
a cui il religioso rispose in maniera affermativa. Tuttavia l’indagine si
concluse con nulla di fatto e i sospetti su Meneguzzi caddero.
LA REAZIONE DEL FIGLIO, PIETRO MENEGUZZI
Il cugino Pietro Meneguzzi, figlio di Mario e cugino di Emanuela, ha diffuso in
queste ore un messaggio in difesa del padre, affermando che “sono anni che
qualcuno tenta di infangare la famiglia. Che sia chiaro a tutti quelli (…) abili
ad infangare le persone, e schierati per allontanare la verità da ambienti
ecclesiastici e non solo. Sicuramente è pesante sopportare quello che ormai da
due anni viene scientemente riproposto, nei confronti di mio padre che non può
difendersi. A questo penserò io a tempo debito. Ma confermo la compattezza con
mio cugino Pietro per la ricerca della verità e giustizia che rincorriamo da 42
anni. Siamo uniti da sempre per cercare Emanuela, forza cugino!”.
LE PRIME RICERCHE
Che tra i due ci sia un rapporto molto stretto lo ha confermato anche Pietro
Orlandi durante una conferenza stampa, pochi giorni fa, quando ha sottolineato
la vicinanza e l’aiuto dei Meneguzzi durante i giorni della scomparsa. Fu
proprio suo cugino Pietro Meneguzzi ad accompagnarlo di notte in moto alla
ricerca di Emanuela, per le strade e nei parchi di Roma, temendo il peggio. E fu
proprio “zio Mario” a prendere le telefonate a casa Orlandi e a interagire con i
presunti rapitori, tra cui l’anonimo “amerikano”, soprannominato così dagli
inquirenti per via del suo accento straniero. “Io e mio padre non ne avremmo
avuto la forza, eravamo completamente persi. Non so come avremmo fatto senza di
loro”, ha ribadito Pietro. La famiglia Orlandi dunque rinnega con forza ogni
sospetto interno. E aggiunge oggi Pietro Orlandi a FqMagazine: “Sono stanco di
commentare questo ennesimo depistaggio, molto più chiaro oggi rispetto al
passato. Posso solo dire a chi pensa che sia vera questa pista, che così mette
anche in dubbio le parole di Papa Giovanni Paolo II quando venne a casa nostra e
ci disse (nel Natale del 1983, ndr) che Emanuela era vittima del terrorismo
internazionale. Era anche lui un depistatore? Lo chiedo a coloro che credono
nella responsabilità della famiglia. Perché il Papa avrebbe dovuto raccontare
una menzogna? Per difendere mio zio?”.
L'articolo Emanuela Orlandi, la Procura indaga su zio Mario e sulla casa di
Torano. Il fratello Pietro: “Giovanni Paolo II ci parlò di terrorismo
internazionale, perché il Papa avrebbe dovuto raccontare una menzogna?” proviene
da Il Fatto Quotidiano.
Emergono nuove importanti rivelazioni di Pietro Orlandi rilasciate al canale
Pulp podcast, la rubrica crime condotta da Fedez e Mr. Marra. Il fratello della
cittadina vaticana misteriosamente scomparsa il 22 giugno del 1983, torna a
parlare di alcuni documenti che farebbero emergere un legame tra un traffico
importante di soldi e la scomparsa di sua sorella.
LE ULTIME RIVELAZIONI SU BALDA E SOLIDARNOSC
“Monsignor Balda – dichiara Orlandi – ha fatto una dichiarazione recente ancora
non pubblica, ma presumo che sarà pubblica a breve in qualche modo. Ha letto
alcuni documenti in un determinato ufficio all’interno del Vaticano dove si
parlava anche di Emanuela, legati (parole sue) a tanti miliardi (di lire, ndr)
che ogni settimana uscivano e andavano in Polonia a Solidarnosc e questo ci
riporta a una questione legata a una delle ipotesi: i famosi soldi della mafia
che Pippo Calò, tramite la Banda della Magliana versò nelle casse dello Ior (la
banca del Vaticano, ndr) e del Banco Ambrosiano. Soldi che sparivano e che poi
portarono all’omicidio di Robero Calvi Londra: è qualcosa che potrebbe
coinvolgere anche banche estere. Spero Balda venga ascoltato sia dalla
commissione parlamentare di inchiesta (Orlandi-Gregori, ndr) che dalla Procura
di Roma. So che è stato ascoltato da Alessandro Diddi (il promotore di giustizia
del Vaticano, ndr) nell’ambito dell’inchiesta vaticana. Io penso possa essere a
conoscenza di qualcosa. Il fatto stesso che ha visto il nome di Emanuela legato
a documenti che parlavano di Solidarnosc è una cosa importante”. Solidarnosc, lo
ricordiamo, era il sindacato polacco fortemente sostenuto dalla Chiesa Cattolica
e da Papa Giovanni Paolo II. Il movimento, guidato da Walesa, ha contribuito in
maniera significativa alla fine del Blocco Sovietico e della Guerra Fredda.
CHI ERA MONSIGNOR BALDA
Lucio Ángel Vallejo Balda è un prelato spagnolo spesso finito al centro delle
cronache vaticane e non. Nel 2015 venne arrestato perché coinvolto in Vatileaks,
la seconda fuga di documenti dal Vaticano. Balda a Pietro Orlandi ha sempre
parlato di “segreto pontificio” facendo riferimento a “persone pericolose”,
rispetto alla vicenda di Emanuela. L’accusa era di aver divulgato documenti
segreti. Secondo la dichiarazione ufficiale della Santa Sede, avrebbe fornito
informazioni riservate, comprese registrazioni del papa stesso, per la
pubblicazione di un libro pubblicato dal giornalista Gianluigi Nuzzi, nel 2015.
Il 7 luglio 2016 fu condannato a 18 mesi di carcere. Il 20 dicembre dello stesso
anno, in una nota pubblicata dalla Sala Stampa Vaticana, ottenne la clemenza da
parte di papa Francesco, con la liberazione condizionale, ma la pena non fu
estinta. Balda lasciò il carcere e cadde ogni legame di lavoro con la Santa
Sede; il prelato è poi subito rientrato nella giurisdizione del Vescovo di
Astorga (Spagna), sua diocesi di appartenenza. Da allora, si è ritirato a vita
privata e non è attivo in ruoli pubblici di rilievo. L’ultima volta in cui era
stato tirato in ballo rispetto al caso della Vatican Girla risale al 2024,
quando la stampa ha diffuso presunte chat tra lui e Francesca Immacolata
Chaouqui (ex dipendente del Vaticano anche lei arrestata nell’ambito di
Vatileaks) riguardanti la sparizione della ragazza.
L’AUDIZIONE DEL GIUDICE LUPACCHINI
“Nel processo della Banda della Magliana nessuno ha fatto cenno alla vicenda di
Emanuela Orlandi anche se – lo hanno dimostrato i processi successivi – c’era
una corsa da parte di molti a formulare le narrazioni più mirabolanti proprio al
fine di guadagnarsi lo status di collaboratore di giustizia con tutto ciò che ne
conseguiva sul piano dei benefici carcerari”. Queste invece sono le parole di
Otello Lupacchini, giudice istruttore dell’inchiesta sulla cosiddetta Banda
della Magliana nel periodo tra il 1990 e il 1994, ascoltato in audizione davanti
alla Commissione parlamentare di inchiesta che indaga sulla scomparsa di
Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. “Che nessuno abbia parlato di Emanuela
Orlandi per me è molto più significativo che se ne avessero parlato: era un
boccone ghiotto da addentare, ma sul punto nessuno ha parlato all’epoca, salvo
poi rigurgiti successivi. Se la banda della Magliana fosse stata coinvolta
(nella vicenda Orlandi, ndr.), mi sembra strano che nessuno ne abbia parlato. In
nessun caso emerse che il conflitto (tra i due gruppi dell’organizzazione
criminale, ndr.) avesse tra le varie cause anche il rapimento della Orlandi che
sicuramente non rientrava nell”oggetto sociale’ della banda della Magliana”.
L’ex giudice ha aggiunto: “Non escludo che nella strumentalizzazione del
rapimento Orlandi si siano aperti altri filoni di ricatto. Un elemento che mi
colpisce è che non ci sia mai né l’offerta né la richiesta di una prova
dell’esistenza in vita dell’ostaggio”. Lupacchini non si riferisce certo ai
familiari della ragazza, ma “ai diversi soggetti che potevano essere toccati dal
sequestro, se strumentalizzato in un certo modo, eppure nessuno, pur
partecipando all’interlocuzione, ha chiesto mai la prova dell’esistenza in vita
né coloro che si prospettavano come rapitori e detentori dell’ostaggio hanno
offerto mai questa prova”. (Fonte: Adnkronos)
IL RUOLO DEI SERVIZI E DI GANGI
L’ex magistrato ha puntato l’attenzione sui Servizi segreti e in particolare
sulle indagini svolte all’epoca da Gangi (Giulio l’agente che si occupò del caso
ndr). “Indubbiamente Gangi aveva accertato qualcosa: per conto di chi? Dove sono
finiti i suoi accertamenti? Come mai è stato rimosso da quell’incarico? Bisogna
muoversi in questa logica, lavorare di fantasia non serve a niente e a nessuno,
aprire gli armadi e vedere cosa ci si trova dentro forse potrebbe essere utile”,
specificando che il suo riferimento è agli “atti prodotti in Vaticano cioè
all’esistenza di qualche dossier relativo a questa vicenda, ma anche a quelli
dei Servizi perché le attività di Gangi e della sua squadra, che poi venne
estromessa, da qualche parte sicuramente arrivarono”. (fonte: Adnkronos)
L'articolo Pietro Orlandi rivela a Fedez: “Monsignor Balda ha letto alcuni
documenti riguardanti Emanuela e Solidarnosc, si parla di miliardi che ogni
settimana uscivano dal Vaticano verso la Polonia” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Mentre si continua a scavare sotto Villa Osio (oggi sede della Casa del Jazz di
Roma) arriva, nel corso dell’ultima puntata di “Chi l’ha visto”, una notizia
importante sulla storia dell’immobile confiscato alla criminalità romana e
diventato un polo culturale.
I SEGRETI DI VILLA OSIO
Enrico Nicoletti, il cassiere della fazione testaccina della Banda della
Magliana, ha comprato questa villa dal Vicariato di Roma, il 22 marzo del 1983.
A regolare la compravendita fu l’allora vicario, il cardinale Ugo Poletti, uno
dei personaggi più volte entrati nella vicenda della scomparsa di Emanuela
Orlandi. E in base a quanto raccontato a Pietro Orlandi da un criminale, circa
otto anni fa, lì sotto potrebbero esserci anche i resti di sua sorella. Così,
almeno, avrebbe raccontato Enrico de Pedis a quest’uomo, rivelandogli tutti i
suoi segreti prima di venire trucidato nel 1990 a Roma. Un’ipotesi che resta
tale e che per ora non ha nessun riscontro ancora. Quella del collegamento con
la cittadina vaticana scomparsa resta una suggestione così come lo è il fatto
che la sua sparizione sia avvenuta tre mesi dopo la compravendita. A risalire
alla data esatta della cessione è stato Don Domenico Celano, ieri ospite in
collegamento della trasmissione Rai condotta da Federica Sciarelli. Don Celano
era membro della congregazione religiosa che ha venduto la villa a Nicoletti e
che sta dando un sostanziale aiuto nelle operazioni di scavo, indicando il punto
esatto in cui è stata, dopo giorni, trovata la botola di accesso alla galleria
sotterranea tombata da Nicoletti dopo la scomparsa del giudice Paolo Adinolfi,
avvenuta nel 1994 quando dell’uomo si persero completamente le tracce. A
indicare quel posto come luogo di sepoltura del giudice scomparso che stava
indagando su grosse operazioni finanziarie illecite gestite anche da Nicoletti,
è stato un pentito che lo ha confessato, anni fa, al giudice Guglielmo Muntoni.
Il magistrato, oggi non più in servizio, ha trovato dei fondi privati pur di
scoprire cosa c’è nei sotterranei di Villa Osio.
IL MONTAGGIO DELLE ATTRAZIONI
Nel corso del programma, la Sciarelli torna anche su un’altra pista sulle tracce
di Emanuela Orlandi, quella percorsa negli ultimi giorni dalla commissione
bicamerale di inchiesta che indaga sulla sua scomparsa. Questa pista parte da un
appunto su dei fogli ritrovati all’epoca a casa di Emanuela, su cui c’è scritto
di un cineforum al “Montaggio delle attrazioni”. In seguito la sala è diventato
il Teatro stabile del giallo. Il presidente della Commissione Andrea De Priamo
ha dichiarato all’Ansa che Emanuela scrive di un spettacolo teatrale visto in
quel posto, un mese prima di sparire nel nulla. Davanti alle telecamere di Chi
l’ha visto, le persone del posto raccontano di questo cineclub in cui venivano
proiettati “film intellettuali, alternativi. Era un punto di riferimento per noi
giovani, una cosa carina e interessante nel quartiere. Facevano anche corsi di
regia e laboratori cinematografici”. La pista dei cinematografari era stata già
seguita all’epoca come possibile trappola per mettere in atto il sequestro della
Orlandi che, secondo questa ipotesi, potrebbe essere stata tratta in inganno da
un finto provino. L’interesse della commissione è ancora alto su un regista,
come ha spiegato lo stesso De Priamo di B-Movies. Il suo nome era Bruno Mattei e
all’epoca della scomparsa aveva 51 anni. Viveva proprio a pochi metri dal
Montaggio delle attrazioni, sulla Cassia. Nel 1983 venne ascoltato dagli
inquirenti perché legato a una 24enne, figlia della segretaria della scuola di
musica “Ludovico da Victoria” frequentata da Emanuela Orlandi. Anche la 24 enne
fu sospettata al tempo. Tuttavia, ricordiamo che la cosiddetta pista dei
cinematografari fu accantonata dagli inquirenti, e che non ci fu nessun
indagato, perché non venne trovato alcun riscontro rispetto alla vicenda della
Vatican Girl. Una donna di nome Francesca che ha aperto la tintoria sulla Cassia
nel febbraio del 1983 dice, davantii alle telecamere del programma Rai, di non
aver mai visto Emanuela da quelle parti. Il suo negozio si affaccia sul posto in
cui c’era “Il montaggio”, è rimasto tutto così com’era. “Che io sappia qui non
facevano audizioni o provini”, afferma Francesca. “I ragazzi se venivano, ci
venivano in gita con i pullman. Ricordo le scolaresche che arrivavano qui il
pomeriggio con i professori a vedere delle repliche di alcuni spettacoli”.
Emanuela Orlandi potrebbe essere andata al Montaggio delle attrazioni con la sua
classe del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II? Questa domanda è stata fatta
a un suo compagno di scuola che però, dopo ben 42 anni, non ricorda se ciò sia
avvenuto o meno.
LO “ZIO” DI PIAZZA NAVONA
Poi c’è un’altra figura quella di un uomo soprannominato “lo zio”, chiaramente
non un parente di Emanuela. Questo losco personaggio compare in un documento dei
Servizi che all’epoca scrissero: La zona di piazza Navona è frequentata da un
uomo di circa 40 anni calvo e di statura inferiore alla media. Un noto
spacciatore di droghe leggere il quale ha sempre mostrato predilezione per le
ragazze di 15-16 anni che sarebbe solito ospitare nella sua abitazione di
Monteverde. l’uomo non frequenterebbe la zona da molto tempo. “Chiediamo a
queste ragazze molestate all’epoca e oggi donne di farsi avanti”: questo
l’appello lanciato in tv dalla Sciarelli.
LA TESTIMONIANZA DI CRISTINA
A indicare altri due simili ambigui personaggi è, il 18 luglio del 1983 (neanche
un mese dopo la scomparsa), un’amica di Emanuela del gruppo dell’Azione
Cattolica della Parrocchia di Sant’Anna, Cristina. Si legge dagli atti: “Ho
sentito di parlare di un paio di giovani che avrebbero infastidito Emanuela. Gli
stessi giovani, di cui io non conosco le fattezze, sarebbero stati notati in
Piazza Navona mentre affiggevano manifesti per l’ingaggio di giovani attrici”.
Tuttavia, gli amici di Emanuela che erano con lei quando la ragazza, pochi
giorni prima di scomparire, fu tampinata e quasi presa per un braccio da uno di
loro, li riconobbero poi in alcune foto segnaletiche mostrate loro dagli
inquirenti. Vennero identificati in due membri del gruppo criminale della
Magliana. Queste identificazioni trovarono poi altri riscontri, negli anni
successivi, tra cui la testimonianza in punto di morte del padre di uno di loro,
Salvatore Sarnataro a cui il figlio Marco avrebbe confessato mentre erano
entrambi in carcere, durante l’ora d’aria (come si legge dagli atti della
seconda inchiesta) di essere stato coinvolto nel sequestro della Orlandi da
Enrico De Pedis. Così almeno raccontò l’uomo al magistrato romano Giancarlo
Capaldo, poco prima di morire per una lunga malattia.
LA TESTIMONIANZA DI GIUSEPPINA
Tornando ai cinematografi, ieri una donna di nome Giuseppina ha contattato “Chi
l’ha visto” dalla Spagna. La sua di certo è una testimonianza interessante:
“Quando ho sentito il nome del regista, della Cassia e della sua macchina (una
Bmw) ho pensato a un episodio avvenuto quando avevo 22 anni. Era il 1992,
lavoravo per un’agenzia immobiliare e prendevamo i numeri sul giornale di
annunci Porta Portese. Un uomo molto più grande di me vendeva una casa a Tomba
di Nerone, e lì nacque un contatto telefonico con questa persona che chiese il
mio numero di casa per chiamarmi dopo l’orario di lavoro. Non ci vidi nulla di
male e glielo diedi. Non era giovane, era romano, molto colto e benestante. Mi
disse che faceva il regista. Io dovevo trasferirmi a Budapest per 5 anni e prima
di partire mi mandò a casa un mazzo di rose rosse, finì lì. Ma accadde che
tornai prima del previsto: lui mi richiamò non appena rientrai in Italia. Forse
mi teneva sotto controllo e io non me ne accorgevo o come faceva a sapere che io
ero tornata? Sapeva anche quando io ero a casa, perché mi chiamava sempre se
c’ero. Avevo l’impressione che mi seguisse o mi facesse controllare”.
L'articolo Emanuela Orlandi, la rivelazione di Chi l’ha visto: dai documenti dei
servizi sbuca “lo zio” di piazza Navona proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Emanuela è morta quel giorno, quella stessa sera, è stata strozzata con una
cravatta”. A fare questa confessione a Pietro Orlandi, che l’ha riportata su
Canale 5 a “Verissimo”, é stato lo stesso uomo che qualche anno fa gli avrebbe
detto che il corpo di sua sorella potrebbe trovarsi all’interno della grande
galleria che c’è al di sotto della Casa del Jazz e in cui in questi giorni si
cerca il corpo del giudice Paolo Adinolfi, scomparso il 2 luglio del 1994.
A Pietro quest’uomo, incontrato dalle parti di Como, disse che “Enrico de Pedis
gli aveva detto di aver ucciso Emanuela Orlandi con una cravatta perché gli
avevano chiesto un favore. Poi i due sarebbero entrati, come nel racconto
dell’uomo, in un cunicolo. Questa persona mi descrisse quei luoghi e sono
proprio come oggi ne parlano. Mi disse che i resti di Emanuela stanno lì, o
almeno così gli disse de Pedis. Gli rivelò anche che lì dentro c’erano un paio
di valigette e dei documenti che tirano in ballo tanta gente. Ma per de Pedis
“questo muro non lo butteranno mai giù, quella è la mia garanzia di vita”, gli
disse.
GLI SCAVI ALLA CASA DEL JAZZ
Quel muro che forse ha tombato indicibili segreti invece sta cadendo. Proprio in
questi giorni sono in corso gli scavi alla Casa del Jazz di Roma, a ridosso
della Cristoforo Colombo. Scavi eseguiti da una richiesta di verifica partita
dall’ex giudice Guglielmo Muntoni che ha reperito fondi privati per poter
procedere. E proprio per paura di un crollo improvviso e devastante i lavori di
scavo procedono da più giorni, nel tentativo di capire come entrare in questa
grande galleria, tombata esattamente dopo la scomparsa del giudice da Nicoletti
e di cui è stato individuato l’accesso. Questa galleria è stata descritta
davanti alle telecamere, nei giorni scorsi, da uno dei sacerdoti appartenenti
alla congregazione religiosa che ha venduto la villa, che ha indicato anche il
punto da cui iniziare a scavare. La Casa del Jazz, lo ricordiamo, è nato dalla
confisca del bene alla criminalità organizzata, nella fattispecie al cassiere
della banda della Magliana Enrico Nicoletti. La villa fu venduta a Nicoletti dal
Vicariato di Roma e la compravendita della villa fu regolata dal cardinale Ugo
Poletti (un personaggio chiave dell’intera vicenda della cittadina vaticana,
ndr)”. Villa Osio fu ceduta a Nicoletti nel 1984 quindi “Quando Emanuela
scomparve, era ancora di proprietà del vicariato di Roma”, ha fatto notare in
più occasioni Pietro Orlandi.
PISTA DEL CINEMATOGRAFO
Proprio in concomitanza degli scavi vengono fuori all’improvviso “tre piste su
Emanuela, in un solo giorno”, fa notare a Verissimo Pietro Orlandi.
La prima, tirata fuori dalla commissione di inchiesta che indaga sul mistero
della cittadina vaticana, riguarda un appunto sul diario di Emanuela in cui c’è
scritto “cineforum”, con riferimento a una rassegna sulla via Cassia. Ancora le
parole di Pietro: “Per l’epoca era una cosa normale, ci si s’andava tutti, c’era
mezza Roma. Non capisco dove si vuole arrivare. Di certo questa pista porterebbe
lontano dal Vaticano. E poi c’è la pista familiare tirata fuori da Giletti che
ci ha fatto un servizio solo per infangare la famiglia”, ha dichiarato il
fratello di Emanuela. Questa pista che tira in ballo lo zio di Emanuela Mario
Meneguzzi era stata già diffusa durante il tg de La 7, due anni fa. Parte da
alcune lettere del Vaticano al padre spirituale della sorella di Emanuela,
Natalina, in cui fu al sacerdote fu chiesta conferma di una confessione fatta
dalla più grande delle sorelle Orlandi, Natalina, su zio Mario. La donna nel ‘78
disse di aver ricevuto avances verbali da Meneguzzi. L’uomo all’epoca fu
indagato e la sua posizione venne archiviata con un nulla di fatto. “Enrico
Mentana si è scusato con me, ha capito di essere stato usato”, ha detto Pietro.
UN AUDIO INEDITO
Durante la puntata di Verissimo, é stato diffuso anche un audio inedito. Si
tratta della voce dell’uomo che nel 2022 ha contattato Pietro Orlandi sul dark
web, facendo delle rivelazioni e consegnando dei documenti sulla vicenda di sua
sorella Emanuela. Quest’uomo disse di chiamarsi Vittorio Baioni e di essere
stato il carceriere della ragazza a Londra, in un istituto di Padri
Scalabriniani a Chapman Road. Questo indirizzo coincide con quello citato nei
cinque fogli contenenti la nota spese per il mantenimento della Orlandi, da
parte del Vaticano, a Londra. I cinque fogli, lo ricordiamo, sono stati
pubblicati dal giornalista Emiliano Fittipaldi che li trovò in una cassetta di
sicurezza degli Affari Economici del Vaticano. L’uomo che si spacciò con Pietro
Orlandi per Vittorio Baioni dopo avergli rilevato particolari agghiaccianti sul
destino di Emanuela, collegati all’Inghilterra, è poi scomparso e ha chiuso ogni
contatto. Tuttavia diede a Orlandi una falsa identità perché non era Vittorio
Baioni. Il vero Baioni, ex militante dei Nar (nuclei armati rivoluzionari) in
quegli anni era in carcere per cui, come ha detto anche alla Commissione di
inchiesta durante la sua audizione, è completamente estraneo ai fatti. Ecco
intanto il contenuto dell’audio inedito trasmesso a Verissimo: “Allora Pietro,
uso un modificatore di voce perché prima di uscire allo scoperto devo capire
come tutelare la mia famiglia, loro sono la priorità. Non me ne frega niente di
me. Inoltre ci tengo a dirti una cosa, ormai è chiara: qualunque cosa ti dia,
qualsiasi documento ti dia, ti verrà detto che è falsa, ti diranno che ci sono
dei problemi. Che ci sono degli errori, non potremo fare nulla su questo. Ti
diranno sono un “quaquaraquà” (nel gergo, un millantatore, ndr). Quindi io ti
chiedo, tu cosa vuoi? Cosa posso fare per te? Sto pensando se espormi o meno per
paura ma è l’ultima cosa che vorrei fare”. “Il vero Vittorio Baioni è stato
ascoltato in commissione e ha smentito di avermi inviato quei messaggi ma allora
perché usare quel nome? Era un messaggio per qualcuno?”, si domanda Pietro.
LA PISTA DI LONDRA
La questione della pista Londra, intanto è stata cassata dalla commissione di
inchiesta. “Io non ho la certezza che sia veritieria ma ci sono molte cose vere
in questa pista. Sembra che ci sia la volontà di screditare tutto e non
approfondire. La pista di Londra va avanti dal 2017. Anche se fosse falsa,
qualcuno ha creato questa situazione e bisogna capire chi lo ha fatto e perché.
Un Monsignore, Angelo Balda (anche lui più volte emerso in questa vicenda) ha
detto che le cose che ha visto su Emanuela erano legate a un giro di tanti
miliardi di lire che partivano dal Vaticano e andavano in Polonia al movimento
Solidarnosc. Erano soldi che provenivano dal narcotraffico del Sud America e
dalla mafia Siciliana. Roberto Calvi del Banco Ambrosiano aveva delle sedi in
Sud America. Tutti questi miliardi sarebbero spariti perché finiti in Polonia.
La questione coinvolge istituti bancari non solo italiani ma internazionali, e
inglesi”, ha concluso Pietro Orlandi a “Verissimo”.
L'articolo “Emanuela Orlandi è morta quella stessa sera, è stata strozzata con
una cravatta”: la rivelazione e l’audio inedito a Verissimo proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Nell’ultima puntata andata de “Lo stato delle cose” in onda ieri sera su Rai
Tre, il giornalista Massimo Giletti si è concentrato sul caso della scomparsa di
Emanuela Orlandi. “Siamo entrati in possesso di un documento estremamente
riservato da cui emerge che c’erano delle pagine riservatissime sulla famiglia
di Emanuela e in particolare su zio Mario. C’è un dato molto delicato, a questo
documento mancano quattro pagine, in questo momento è alla Procura di Roma. Chi
ha tolto queste quattro pagine? Cosa c’era scritto?”, si chiede il conduttore e
giornalista televisivo.
LA TELEFONATA DELL’AMERIKANO
Giletti poi tira in ballo il cosiddetto amerikano, il misterioso uomo che per
mesi si è presentato telefonicamente alla famiglia come il presunto rapitore
della ragazzina vaticana, intavolando una trattativa. “A rispondere al telefono
è proprio lo zio Mario che si spaccia per il padre”, fa notare Giletti. Del
resto, la famiglia Orlandi non ha fatto mai mistero del fatto che a prendere le
telefonate fosse il cognato di Ercole Orlandi, troppo provato per poter
interagire con i telefonisti anonimi. È stata trasmessa ieri nel corso del
programma di Giletti quindi la telefonata già mandata in onda nel luglio del
2024 da “Chi l’ha visto” in cui si sente una voce femminile che potrebbe essere
quella di Emanuela Orlandi.
Come già ribadito lo scorso luglio, quando andò in onda per la prima volta,
nell’audio di sente una voce femminile, giovane, che dice: “Convitto Vittorio
Emanuele II, st’altr’anno dovrei fare il terzo anno liceo scientifico”. L’audio
faceva parte delle registrazioni che gli Orlandi facevano a casa, ci pensava il
marito di Natalina Orlandi, la sorella maggiore di Emanuela. Pietro Orlandi ha
dichiarato in passato che “sicuramente quella è la voce di mia sorella, questo
non lo abbiamo mai messo in dubbio e anche per gli analisti del Sismi (che
analizzarono un’altra cassetta), è così”. Emanuela Orlandi, prima di scomparire
nel nulla quel 22 giugno del 1983, frequentava in effetti il liceo scientifico
del Convitto Vittorio Emanuele II a Roma. Nella telefobata si sente lo zio che
invoca: “Mi faccia sentire meglio”. E ancora quella voce femminile che dice:
“saranno sedici a gennaio” (gli anni che Emanuela ha o avrebbe compiuto nel
gennaio del 1984). “Mi faccia una proposta”, chiede lo zio ma niente. E poi di
nuovo la voce di Emanuela, che dice, sempre con accento romanesco: “Mi verranno
ad accompagna’ st’altr’anno in un paesino sperduto, per Santa Marinella”.
(fonte: Chi l’ha visto). Quando l’audio fu trasmesso da Federica Sciarelli,
Pietro precisò che: “Quando sentimmo questa frase mio zio disse che Emanuela
andava spesso a Santa Marinella dove lui aveva una casa”. Fu lo stesso zio Mario
a chiarire tutto questo.
LA PISTA FAMILIARE
“Quindici cosa?”, chiede zio Mario Meneguzzi in quest’audio inedito. Quindici
erano gli anni che aveva Emanuela Orlandi quando la sua vita fu inghiottita da
un destino oscuro e ancora impenetrabile. Per Giletti sembra potrebbe trattarsi
anche d’altro. “Abbiamo trovato un articolo del Corriere del 1984 dove lo zio
dice una serie cose” e mette in relazione due spezzoni dell’audio: 15 e Santa
Marinella, “anche se questa strada subentra nell’audio molto dopo il dato
sull’età anagrafica”, dice. Giletti ha quindi inviato i suoi collaboratori in
via Santa Marinella, una strada di campagna isolata dove Mario Meneguzzi in quei
giorni fu pedinato fino alla sua seconda casa. Gli inviati della trasmissione
hanno poi trovato la casa di Meneguzzi, al numero 15, dove c’è ancora la targa
“Meneguzzi-Orlandi”. “Stranamente nelle loro relazioni i Carabinieri scrivono di
non aver trovato il numero civico”, sottolinea Giletti indicando che oggi quel
numero è visibile su una mattonella in ceramica che la vicina di casa dei
Meneguzzi negli anni ha conservato perché era caduto. “Mario Meneguzzi era una
bella persona, un uomo tranquillo. Erano persone squisite. Non ricordo di aver
mai visto Emanuela, mia moglie l’ha vista insieme a tutti i suoi cugini”,
racconta oggi un abitante della zona. “Una storia molto strana, molto curiosa”,
pensa Giletti che ha prelevato la mattonella col civico per mostrarla in studio.
Poi, è stato mostrato il documento dei Servizi di cui si parla da giorni: “Da
cui si capisce che non solo i familiari erano seguiti ma soprattutto lo zio.
C’era qualcosa di strano che riguardava persone che stavano nel Vaticano e anche
lo zio Mario”.
LE INDAGINI SU ZIO MARIO
Che Mario Megeuzzi fosse finito al centro delle indagini, nelle settimane
successive alla scomparsa di Emanuela, è già emerso in passato. Nel 2023, come
ricorda anche Giletti, fu un servizio del Tg La7 ad accendere i riflettori sul
nome dello zio Mario Meneguzzi. Fu mostrata una lettera dell’allora Segretario
di Stato Vaticano Agostino Casaroli che scrisse, in via riservata, un messaggio
per posta diplomatica a un sacerdote sudamericano inviato in Colombia da
Giovanni Paolo II, che era stato in passato consigliere spirituale e confessore
degli Orlandi. La missiva fu sollecitata dagli inquirenti e puntava a chiarire
se il religioso fosse a conoscenza del fatto che Meneguzzi avesse rivolto delle
avances verbali alla sorella maggiore di Emanuela, Natalina. Lui confermò la
cosa. A chiarire la vicenda fu la protagonista della stessa, Natalina Orlandi
che ha detto poi che si trattò di semplici avances verbali nei suoi confronti,
risalenti al ’78 e che “erano cose che sapevano tutti, magistrati inquirenti e
investigatori. È finita lì e non portò a nulla”, ha sottolineato la donna.
Queste lettere sono poi state trasferite alla Procura e difatti sono agli atti
già da 40 anni. Lo zio era stato indagato già all’epoca ma subito caddero i
sospetti perché, come accertato dalle precedenti indagini, il giorno della
scomparsa di Emanuela era a 200 chilometri da Roma con la sua famiglia.
L’indagine fu chiusa con nulla di fatto. Furono gli inquirenti dunque già negli
anni ’80, ai tempi della scomparsa, e non la famiglia, a cassare la pista
familiare. “Pietro Orlandi ha sempre detto che questo è un depistaggio. Però noi
non possiamo non dire che questo documento è un problema serio perché da qui
mancano quattro pagine”, ha chiosato Massimo Giletti.
COSA NE PENSA LA COMMISSIONE D’INCHIESTA
Proprio nelle scorse ore, sulla pista cosiddetta ‘amical familiare’ si è
espresso il presidente della Commissione di inchiesta che indaga sul mistero di
Emanuela Orlandi, il parlamentare Andrea De Priamo che ieri ha dichiarato
all’Ansa: “Abbiamo dedicato molta attenzione verificando l’esistenza di alcune
oggettive ombre legate alla figura del defunto Mario Meneguzzi, zio di Emanuela,
ma – sottolinea – si è riscontrata anche la mancanza, almeno ad oggi, di
collegamenti effettivi rispetto a sue eventuali responsabilità nella scomparsa
della ragazza”. “Le nostre indagini – aggiunge De Priamo – hanno individuato
altri elementi inediti: abbiamo rinvenuto un appunto di Emanuela nel quale la
stessa fa riferimento ad una sorta di teatro-cineforum, ‘il montaggio delle
attrazioni’ sito sulla via Cassia, a pochi metri dall’abitazione del defunto
regista di B-movies Bruno Mattei. Emanuela scrive di questo luogo e di uno
spettacolo teatrale ivi rappresentato poco più di un mese prima di sparire nel
nulla”. “La rilevanza di questo elemento – aggiunge il presidente della
Commissione – è oggetto di verifiche tuttora in corso e di aspetti ancora
riservati ma colpisce molto questa circostanza se si pensa che Bruno Mattei
aveva dei contatti con alcuni studenti della scuola di musica frequentata da
Emanuela e del fatto che in tanti anni questo scritto della ragazza non era mai
stato evidenziato”. Il nome di Bruno Mattei, nel corso dei lavori della
Commissione, era emerso nell’ambito dell’audizione di Alfonso Montesanti che
all’epoca della scomparsa di Emanuela era il marito di Patrizia De Lellis,
figlia dei coniugi Franco De Lellis e Giuliana De Ioannon, rispettivamente
factotum e impiegata nella segreteria della direttrice della scuola di musica
Ludovico da Victoria, frequentata da Emanuela, e amante del regista Bruno
Mattei. De Priamo assicura comunque che “stiamo lavorando sodo su tutte le
piste, nessuna esclusa”.
GLI SCAVI ALLA CASA DEL JAZZ
Rispetto al caso degli scavi alla Casa del jazz alla ricerca del giudice
Adinolfi e sui possibili collegamenti con la Banda della Magliana, De Priamo
dice: “Stiamo scandagliando a fondo quel filone e qualche elemento di interesse
sicuramente c’è tenuto conto soprattutto dei due episodi in cui Emanuela fu
seguita e delle relative testimonianze degli amici della comitiva di S.Anna (gli
amici dell’Azione Cattolica che riconobbero due elementi della Magliana
nell’auto che tampinò Emanuela, ndr). Ci stiamo lavorando con scrupolosa
attenzione al netto delle interpretazioni ‘romanzate’ già escluse dal nostro
lavoro”.
L'articolo Emanuela Orlandi, Massimo Giletti rivela in diretta: “Abbiamo un
documento estremamente riservato sullo zio Mario, ma mancano 4 pagine. Chi le ha
tolte?” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Nel sottosuolo della Casa del Jazz di Roma si cercano ancora i resti del giudice
Paolo Adinolfi, scomparso il 2 luglio del 1994.
PERCHÉ SI SCAVA?
Il polo culturale romano, lo ricordiamo, è nato dalla confisca del bene alla
criminalità organizzata, nella fattispecie al cassiere della banda della
Magliana Enrico Nicoletti. Gli scavi sono partiti da una richiesta di verifica
partita dall’ex giudice Guglielmo Muntoni. In una galleria interrata che si
trova al di sotto della villa potrebbero esserci i resti di Adinolfi ma non
solo: secondo Muntoni, quel tunnel tombato potrebbe custodire le tracce di molti
oscuri segreti tra cui quelli legato alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Il
fratello della cittadina vaticana Pietro Orlandi nei giorni scorsi ha dichiarato
che un magistrato gli disse che i resti di sua sorella avrebbero potuto trovarsi
proprio lì sotto.
LA RIVELAZIONE DEL MAGISTRATO
Ospite del programma Rai Storie Italiane, Pietro Orlandi ha precisato la
questione: “Mi dissero qualche anno fa: c’è un ex magistrato, non più in
attività, che è convinto del fatto che i resti di tua sorella possano essere lì.
Ci sono più corpi lì sotto, mi disse all’epoca questa persona. Quel posto
riporta a tante situazioni collegate a Emanuela: la compravendita della villa
con Nicoletti, a cui fu venduta, fu regolata dal cardinale Ugo Poletti (un
personaggio chiave dell’intera vicenda, ndr)”. La villa fu venduta a Nicoletti
per 1 miliardo di lire, poi fu rivenduta dallo stesso per 27 miliardi. (fonte:
Storie Italiane). “Io spero che i resti non siano lì, Emanuela sarebbe morta
oggi. So che sembrerò folle ma la cerco ancora viva. Se però Emanuela dovesse
essere lì, poi ci sarebbe da capire come sia finita”, aggiunge Pietro. Quando la
cittadina vaticana scomparve, il 22 giugno 1983,la villa era ancora di proprietà
del Vicariato romano.
LE PAROLE DEL PRETE
Padre Domenico Celano è un sacerdote che fa parte della congregazione religiosa
che ha venduto l’immobile a Nicoletti per un miliardo delle vecchie lire. Dice
oggi ai microfoni di Storie Italiane: “C’erano tanti possibili acquirenti ma
questo Nicoletti era parente di un monsignore del Vicariato. Lo sa tutto il
mondo che lì sotto c’era un tunnel. Devono scavare al centro della casa, dove
c’era l’accesso alla scala che portava al casino di caccia, alla cantina.
Parliamo di un tunnel con una volta altissima”. Don Domenico ha reindirizzato
gli scavi che da due giorni erano concentrati intorno alla villa. Adesso, grazie
alle sue indicazioni e a una sua attentissima ricostruzione cartacea, si sta
scavando all’interno. In quella villa accadevano cose particolari, dice don
Celano che si chiede: “Ma perché Polizia e Finanza non indagavano? Quella
cantina era il sacrario delle cose oscene”.
L’ALTRO TUNNEL A MONTEVERDE
All’ex poliziotto Armando Palmegiani quel tunnel ricorda un altro covo, quello
scoperto da egli stesso durante un sopralluogo della Polizia dopo le
dichiarazioni ai magistrati di Sabrina Minardi, amante all’epoca del leader
della banda della Magliana Enrico de Pedis. “Si trovava ad un piano inferiore
rispetto alla strada, era molto simile a quello mostrato dal parroco. Si trovava
a Monteverde, c’erano al di sotto delle cave sezionate e utilizzate come
cantine. Poteva essere utilizzato per un sequestro perché non c’erano finestre”.
Il tunnel si trovava al di sotto di un appartamento in via Pignatelli (poi
indicato nelle indagini come covo utilizzato dalla Magliana) e corrispondeva
perfettamente a quello indicato ai magistrati dalla Minardi. La donna, scomparsa
nel marzo del 2025, disse di essere andata lei stessa insieme a una certa
Assunta a portare la spesa alla donna che aveva in affidamento Emanuela in via
Pignatelli, tale Teresa. Chi sono queste donne? Si è mai indagato su di loro?
IL DOCUMENTO DEI SERVIZI
Intanto, nelle scorse ore, in un’anticipazione rilasciata a Fanpage.it, il
giornalista Massimo Giletti ha rivelato che questa sera il suo programma Lo
Stato delle Cose, in prima serata su Rai3, trasmetterà un servizio sulla
cittadina vaticana scomparsa nel 1983. Al centro dell’inchiesta, c’è un
documento riservato dei servizi segreti dell’epoca della scomparsa, a cui
mancano quattro pagine. “Cercheremo di capire – le parole di Giletti a Fanpage
–, dove questo documento riservato dei servizi segreti dell’epoca, ci porta. E
soprattutto cercheremo di spiegare perché mancano queste quattro pagine. Che
cosa contenevano? Chi le ha tolte queste pagine a questo documento
riservatissimo? Noi sappiamo con certezza, perché è scritto nell’intestazione,
che seguivano i familiari di Emanuela Orlandi e Mario Meneguzzi, che era lo zio
di Emanuela Orlandi. Questo servizio racconta che noi abbiamo un’intuizione che
ci porta a un indirizzo civico di un piccolo paese vicino a Roma. Perché andiamo
lì? Lo spiegheremo domani sera.”
IL CHIARIMENTO DELLA SORELLA
Nel 2023, lo ricordiamo fu un servizio del Tg La7 ad accendere i riflettori sul
nome dello zio Mario Meneguzzi. Fu mostrata una lettera dell’allora Segretario
di Stato Vaticano Agostino Casaroli che scrisse, in via riservata, un messaggio
per posta diplomatica a un sacerdote sudamericano inviato in Colombia da
Giovanni Paolo II, che era stato in passato consigliere spirituale e confessore
degli Orlandi. La missiva – sempre secondo la ricostruzione – sollecitata da
ambienti investigativi romani, puntava a chiarire se il religioso fosse a
conoscenza del fatto che Meneguzzi avesse rivolto delle avances verbali alla
sorella maggiore di Emanuela, Natalina. Lui confermò la cosa. A chiarire la
vicenda fu la protagonista della stessa, Natalina Orlandi che ha chiarito poi
che queste “Erano cose che sapevano tutti, magistrati inquirenti e
investigatori. È finita lì e non portò a nulla”, ha sottolineato la donna.
Queste lettere sono poi state trasferite alla Procura e difatti sono agli atti
già da 40 anni. Lo zio era stato indagato già all’epoca ma subito caddero i
sospetti perché, come accertato dalle precedenti indagini, il giorno della
scomparsa di Emanuela era a 200 chilometri da Roma con la sua famiglia.
L’indagine fu chiusa con nulla di fatto”.
L'articolo “Emanuela Orlandi? Lì sotto facevano cose oscene”: le rivelazioni del
sacerdote sulla Casa del Jazz di Roma. Giletti: “Abbiamo un documento riservato
dei servizi segreti, ma mancano 4 pagine” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Sembra una regola non scritta, ma consolidata da decenni: ogni volta che dal
sottosuolo della città di Roma sembra poter emergere un corpo sepolto,
riecheggia il nome di Emanuela Orlandi.
PERCHÉ SI SCAVA ALLA CASA DEL JAZZ?
Potrebbe esserci il corpo della cittadina vaticana scomparsa 42 anni fa, sepolto
nei cunicoli sotto la Casa del Jazz a Roma? Se li stanno chiedendo in molti,
dopo le attività di scavo iniziate ieri mattina sotto lo spazio culturale nato
sulle ceneri del bene confiscato alla criminalità organizzata. Scavi partiti da
una richiesta di verifica partita dall’ex giudice Guglielmo Muntoni: lì sotto
potrebbero esserci anche i resti del magistrato Paolo Adinolfi, misteriosamente
scomparso il 2 luglio del 1994, quindi undici anni dopo la scomparsa della
cittadina vaticana. Due misteri tra cui non c’è una relazione apparente, almeno
fino ad oggi.
LE PAROLE DI MUNTONI
A mettere in relazione uno tra i più oscuri casi di scomparsa in Italia con
l’altro, meno noto ma ugualmente inquietante del giudice, é lo stesso Muntoni
che ha dichiarato: “Questa attività non è solo sul giudice Adinolfi. L’obiettivo
è capire cosa si possa nascondere nell’antica e storica galleria che è sotto la
Casa Jazz che trovammo trent’anni fa interrata. L’idea è che sia stata interrata
per nascondere qualcosa ma c’è anche una botola di acceso che permetteva un
recupero. Potremmo trovare dei corpi e uno dei corpi ipotizzati è quello del
giudice Paolo Adinolfi: è una cosa che chiedo da 29 anni”. (fonte: Il Giornale)
LA SOFFIATA AL FRATELLO DI EMANUELA ORLANDI
“Tempo fa un magistrato mi disse che secondo alcune sue ricerche il corpo di mia
sorella si sarebbe potuto trovare lì – ha dichiarato ieri il fratello
dell’allora quindicenne scomparsa, Pietro Orlandi, all’agenzia LaPresse –. Ne
era abbastanza convinto. Quando ho letto la notizia del ritrovamento ci ho
ripensato subito”. Anche l’avvocata Laura Sgrò della famiglia Orlandi, non
esclude del tutto questo scenario. “Qualsiasi cosa possa trovarsi in quel tunnel
è importante per non lasciare nulla di intentato”, insiste l’avvocato Sgrò
ricordando poi che Pietro Orlandi “in passato aveva ricevuto una segnalazione
che in quel tunnel potessero esserci i resti di Emanuela ma si tratta di una
delle tante segnalazioni che riferivano di altri mille posti. Siamo nell’ambito
della suggestione. Ogni approfondimento che viene fatto in relazione a una
persona scomparsa è sempre positivo, che si tratti del giudice Paolo Adinolfi o
di Emanuela Orlandi o di altre persone di cui non si cui non si conosce la
fine”. (Fonte: Adnkronos)
I COVI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA
E come sempre accade quando ci si inoltra nei delitti irrisolti che gettano una
lunga ombra sulla Capitale, c’è filo rosso che porta alla Banda della Magliana,
l’organizzazione criminale che per decenni ha tenuto in pugno la città. Ancora
dalle dichiarazioni dell’avvocato Sgrò a Adnkronos: “Quella era la casa di
Enrico Nicoletti (il cassiere della Banda della Magliana, ndr) e un
approfondimento sarebbe stato necessario già con la seconda inchiesta della
procura di Roma, poi archiviata, sulla scomparsa di Emanuela, nata dalle
dichiarazioni di Sabrina Minardi, ex fidanzata di Renato De Pedis, boss della
Banda della Magliana. Al momento parliamo di suggestioni ma ogni approfondimento
può essere utile”, ha concluso il legale. Che questo stabile dai (non più)
insondabili anfratti a ridosso della Cristoforo Colombo, possa essere stato uno
dei covi della Banda del Romanzo criminale di Roma, potrebbe non essere uno
scenario distante dai fatti. In merito ai covi utilizzati dalla banda si è
parlato già la scorsa estate, dopo la macabra scoperta di ossa umane nel vano
ascensore di un padiglione abbandonato dell’ospedale San Camillo. Quest’ultimo,
nel racconto fatto ai magistrati dalla amante di Enrico de Pedis Sabrina
Minardi, era collegato a un covo della Magliana, nel quartiere Monteverde,
proprio attraverso una galleria sotterranea. Le indagini della Squadra Mobile e,
nella fattispecie, dell’ex poliziotta Giovanna Petrocca ne verificarono poi
l’esistenza, così come era stato descritto da Sabrina Minardi.
L'articolo “Un magistrato mi disse che anche il corpo di Emanuela poteva essere
sotto la Casa del Jazz, dove ora si cerca Paolo Adinolfi”: parla Pietro Orlandi
proviene da Il Fatto Quotidiano.