Lunedì si è tenuta la sesta udienza del processo che vede imputato Louis
Dassilva per l’omicidio di Pierina Paganelli, la settantottenne trovata cadavere
nel sottoscala del condominio in cui abitava a Rimini la mattina del 4 ottobre
del 2023. Un’udienza di particolare rilevanza perché in aula ha deposto una
testimone cruciale ossia la giovane Giorgia Saponi, nipote della vittima e
figlia di Manuela Bianchi e Giuliano Saponi.
La ragazza, oggi maggiorenne e che all’epoca dei fatti aveva sedici anni,
sentita a sommarie informazioni testimoniali il 6 ottobre 2023 nell’immediatezza
del ritrovamento del cadavere della nonna, aveva dichiarato agli inquirenti che
la sera dell’omicidio si trovava a casa sua con la madre Manuela e lo zio Loris
Bianchi che cenò con loro per seguire in streaming l’adunanza dei testimoni di
Geova alla quale Pierina aveva partecipato in presenza. Il padre della ragazza,
nonché marito di Manuela, in quel periodo si trovava ancora ricoverato in
ospedale in seguito al grave trauma riportato in quello che oggi si ipotizza non
sia stato un incidente ma un agguato da parte dello stesso assassino di Pierina
mentre Giorgia Saponi non aveva accompagnato come di consueto la nonna
all’adunanza perché indisposta.
La giovane in quella occasione aveva raccontato con dovizia di particolari che
l’adunanza era cominciata alle 20 ed era terminata alle 21.45, tutti elementi
riscontrati dagli investigatori che avevano appurato l’effettiva durata
dell’evento e le tempistiche che coincidevano perfettamente con il rientro della
vittima in auto presso il garage della propria abitazione dove poi purtroppo
ebbe ad incontrare il suo carnefice.
L’unico punto che aveva inizialmente destato qualche allarme in chi indagava
sulla morte della pensionata era l’orario fornito dalla nipote circa
l’allontanamento dello zio dalla loro abitazione in quanto la ragazza aveva
dichiarato che Loris Bianchi aveva lasciato l’appartamento intorno alle 22.05
ovvero qualche manciata di minuti prima dell’orario della morte di Pierina
avvenuto alle 22.13.
Giorgia Saponi a sommarie informazioni testimoniali si era detta certa di quel
particolare perché lo aveva chiaramente visto sull’orologio presente sulla
parete del soggiorno ma in seguito aveva ritrattato dicendo che probabilmente si
era confusa perché Manuela Bianchi aveva fornito agli inquirenti alcune foto
scattate con il cellulare e recanti l’orario delle 22.45/22.50 che ritraevano
Loris Bianchi steso sul pavimento della loro abitazione supino e con le braccia
aperte nell’atto di giocare con il loro cane che però, ad onor del vero, non è
mai presente negli scatti.
In tribunale la giovane ha confermato la seconda versione e nell’udienza durata
circa quattro ore ha risposto sia alle domande del pubblico ministero che a
quelle degli avvocati di Dassilva. In particolare questi ultimi hanno insistito
su alcuni punti e hanno chiesto alla ragazza come avesse passato la serata con
la madre e con lo zio e cosa in concreto avessero fatto e di cosa avessero
parlato dopo aver assistito all’incontro di preghiera e fino alle 23, ora in
cui, stando alla seconda versione fornita dalla ragazza, lo zio sarebbe
effettivamente andato via. A queste domande la giovane avrebbe risposto più
volte che non ricorda.
A mio avviso i molti “non ricordo” stridono con la precisione matematica
dell’orario fornito dalla giovane quando fu sentita nella sit e disse di aver
visto che le lancette dell’orologio da parete di quel 3 ottobre del 2023
segnavano le 22.05. Un dubbio che non appartiene solo alla sottoscritta ma che è
stato sollevato, fra gli altri, anche dall’ex Sostituto Procuratore Generale
presso la Corte d’Appello di Milano Antonio Leonardo Tanga per il quale la
ritrattazione di una versione fornita dopo qualche giorno dal delitto e che
appariva assolutamente genuina è senza dubbio un elemento poco convincente.
Alla luce di questi elementi si può affermare con certezza che Giorgia Saponi
abbia confermato in modo granitico l’alibi di Loris e Manuela Bianchi? Le
prossime tappe del processo per la morte della povera Pierina saranno
determinanti per capire se la colpevolezza dell’unico indagato Louis Dassilva
verrà provata ogni oltre ragionevole dubbio o se potranno emergere altri
scenari.
L'articolo Pierina Paganelli, la nipote in Aula e le incongruenze sugli orari:
l’alibi per madre e zio è granitico? proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Sono rimasti chiusi per anni, conservati con cura, quasi intoccabili. Una
catenina con un ciondolo a forma di dente di squalo, alcuni braccialetti — uno
con inciso il nome “Chiara” — l’orologio, una cavigliera. Sono gli oggetti che
Chiara Poggi indossava il giorno in cui venne uccisa, il 13 agosto 2007, nella
villetta di via Pascoli a Garlasco. Oggi, a diciotto anni di distanza, tornano
al centro di una vicenda giudiziaria che non smette di riaprirsi.
A riportarli all’attenzione è Dario Redaelli, criminologo e consulente della
famiglia Poggi, nel corso della trasmissione Quarto Grado condotta da Gianluigi
Nuzzi su Rete 4. “Sono stati conservati come reliquie – ha spiegato – insieme a
tutto ciò che aveva avuto a che fare con quella ragazza quel giorno. Alcuni di
questi oggetti non sono mai stati analizzati e ora per noi diventano
importanti”. Piccoli dettagli, apparentemente muti, che potrebbero ancora
custodire tracce utili a chiarire ciò che accadde in quella casa.
Il ritorno dei reperti personali della 26enne, per si intreccia con l’ennesimo
capitolo giudiziario del caso Garlasco, che torna in aula a Pavia. Giovedì 18
dicembre davanti alla giudice per le indagini preliminari di Pavia, Daniela
Garlaschelli, verrà discussa la perizia firmata dalla genetista Denise Albani:
novanta pagine dedicate al Dna estrapolato da due unghie della vittima e a tutti
gli altri reperti analizzati a partire dallo scorso giugno. Secondo le
conclusioni, il profilo genetico maschile risulterebbe compatibile con quello di
Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara e unico indagato nella
nuova inchiesta per concorso in omicidio. Su tutti gli altri reperti invece c’è
solo il Dna di Alberto Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun
profilo utile è stato rilevato.
Sempio, che nei giorni scorsi ha incontrato i suoi avvocati a Roma, si dice
sollevato dall’arrivo della perizia. “È stato un grosso peso in questi mesi”, ha
commentato. In un’intervista televisiva ha parlato di interpretazioni “tirate
per i capelli” e ha ribadito di non voler essere interrogato fino alla chiusura
delle indagini, su consiglio dei legali. Intanto, sullo sfondo, resta aperta la
questione dell’impronta 33, rilevata sulla parete delle scale che conducono al
seminterrato della villetta e attribuita dagli inquirenti a Sempio e dalla
difesa Stasi sulla base di un’analisi fotografica.
L'articolo Garlasco – Il ciondolo, l’orologio e la cavigliera di Chiara Poggi. I
consulenti della famiglia: “Mai analizzati, ma per noi importanti” proviene da
Il Fatto Quotidiano.
Botta e risposta tra il generale Luciano Garofano e l’avvocato Fabrizio Gallo a
Quarto Grado. Ad accendere i toni della discussione è stata la divergenza di
opinioni sulla perizia Albani e sulla qualità del lavoro di indagine scientifica
svolto nel 2007 sugli oggetti presenti a casa di Chiara Poggi. Durante il
programma condotto da Gianluigi Nuzzi, andato in onda venerdì 12 dicembre su
Rete 4, gli animi si sono scaldati, fino al punto che il generale Garofano si è
alzato dalla sua postazione per chiarire la vicenda con Gallo: “La vuole finire
di interrompere o continua in questo modo maleducato? La prego di stare zitto”,
ha detto il biologo.
Il primo momento di scontro tra i due riguarda la perizia pubblicata dalla
genetista Denise Albani, che ha individuato nelle tracce di DNA riscontrate
sulle unghie di Chiara una compatibilità “moderatamente forte” e “forte” con la
linea paterna della famiglia Sempio. Un risultato sostanzialmente diverso da
quello ottenuto nel 2014 dal genetista Francesco De Stefano, che nella sua
perizia dell’epoca sostenne di non avere acquisito risultati consolidati sul
materiale genetico analizzato sulle unghie e, quindi, non validi
scientificamente.
Una tesi che Garofano sembra appoggiare: “Non credo alla contaminazione.
Dobbiamo partire da un presupposto, quello che ha analizzato De Stefano era il
residuo di quanto aveva già prelevato il RIS, che non aveva trovato materiale
maschile
tanto da arrivare a un profilo interpretabile. Come De Stefano, era stato
trovato solo il profilo della vittima”, sostiene il generale. Ma Gallo lo
interrompe: “Se De Stefano non avesse trovato niente perché ha chiamato Stasi
per il confronto?”. Garofano non ci sta e risponde all’avvocato: “No, no, Gallo
lei stia zitto. Ma perché le devo ricordare che è un maleducato?”, afferma il
biologo.
Che poi aggiunge: “Non è una critica alla dottoressa Albani, ha fatto un grande
lavoro, il calcolo è però sbagliato perché quel profilo può essere il risultato
di artefatti”. Ma questa volta è l’avvocato di Massimo Lovati a chiudere con una
risposta
piccata: “Menomale che ha fatto un bel lavoro, ha ammazzato la (perizia, ndr)
Albani”. L’alterco verbale tra i due opinionisti non si esaurisce al commento
sulla perizia Albani. Poco più tardi, quando la conversazione si sposta sugli
elementi analizzati dagli inquirenti nel 2007, gli animi si scaldano nuovamente.
In particolare, è il commento di Dario Redaelli, criminalista e consulente della
famiglia Poggi, ad introdurre l’argomento: “Ho fatto da poco delle indagini per
conto della famiglia sui vestiti e accessori che Chiara indossava il giorno
dell’omicidio, sono stati conservati come se fossero delle reliquie e così tutto
quello che aveva a che fare con la ragazza”.
A quel punto, Nuzzi osserva: “Questo porta a smentire un’accusa fatta spesso
alla famiglia di Chiara, che si dice sia soddisfatta della presenza di Stasi in
carcere perché deve coprire qualcosa”, commenta il conduttore, che poi chiede a
Garofano perché non fossero stati analizzati all’epoca. Il nostro lavoro risale
a 18 anni fa. Allora avevamo dei limiti analitici che sono cambiati, risponde il
generale. Un commento a cui però Gallo risponde con una sua puntualizzazione:
“Non li avete proprio fatti, avete fatto un errore. La risposta non piace al
generale e il confronto di fatto degenera.
“Avvocato, credo che lei abbia una malattia che la spinge alla parola. In una
scena del crimine, che forse l’avvocato
Gallo non conosce, non si prende tutto e si analizza, si valutano i reperti che
possono essere importanti”, risponde ancora Garofano. Ma il legale precisa: “La
cavigliera era sulla gamba della parte offesa”. A questo punto, il generale si
alza dalla sua postazione e si avvicina a Gallo con tono minaccioso: “La vuole
finire di interrompere o continua in questo
modo maleducato? La prego di stare zitto”. Lo stesso avvocato commenta sorpreso,
ma non si tira indietro: “Ma che fa minaccia? Se vuole mi alzo anche io”.
È però Nuzzi a placare gli animi, rimproverando Gallo sulle continue
interruzioni, ma anche Garofano per la reazione avuta: “Così passa dalla parte
del torto. Nessuno si alza e si avvicina agli altri opinionisti in questo
studio. C’è modo e modo, non condivido la sua presa di posizione”, dice il
conduttore.
Il generale può quindi concludere il suo discorso: “Si prende quello che può
essere utile all’indagine. Una catenina o un oggetto che indossava la vittima
restituisce il suo DNA, allora, oggi sarebbe diverso. La cavigliera, non la
ricordo, probabilmente era intrisa di sangue, quindi era talmente contaminata da
non poter essere guardata. Non si analizzano 100 reperti, solo quelli su cui
speri di avere un risultato”.
Ancora una volta, però, Gallo non ci sta: “Se una ragazza viene trascinata dai
piedi, chiaramente l’assassino può lasciare le sue impronte, non avere
analizzato la cavigliera per me è stato un orrore. Non si può non analizzare
qualcosa che sta attaccato al corpo. È Garofano però ad avere l’ultima parola:
“Faremo tesoro dei suoi insegnamenti”, commenta piccato il
generale.
L'articolo “Stia zitto, ma perché le devo ricordare che è un maleducato?”:
scintille a “Quarto Grado” sul Delitto di Garlasco tra il generale Garofano e
l’avvocato Gallo proviene da Il Fatto Quotidiano.
Denise Ivonne Jarvis Gongora, nota sui social come Mary Magdalene, è morta dopo
essere precipitata dal nono piano di un hotel thailandese dove era arrivata per
soggiornare una sola notte. La notizia la dà il Sun. La 33enne viene spesso
definita “dipendente dalla chirurgia estetica” perché, come lei stessa ha
dichiarato più volte, nella sua vita era arrivata a spendere oltre 380 mila
sterline in interventi estetici.
Gongora è caduta dal Patong Towerl. Lo scrive il Phuket News. La polizia di
Phuket ha dichiarato che il corpo della modella messicano-canadese è stato
trovato dal personale dell’hotel nel parcheggio, poco dopo le 13:30 ora locale.
Al momento, il corpo della 33enne si trova al Vachira Phuket Hospital, dove i
medici legali dovranno stabilire con esattezza la causa della morte.
I fan di Mary Magdalene hanno postato messaggi sui social nei quali si fa
riferimento all’ultimo post della donna, ovvero la scena finale del film The
Truman Show accanto a una foto della sua infanzia. In quel pezzo del noto film,
Jim Carrey/Truman Burbank, si inchina prima di dire: “E nel caso non vi
rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”. L’influencer aveva inoltre
cambiato il nome utente di uno dei suoi account Instagram in
“MaryMagdaleneDied”.
L'articolo Trovata morta a 33 anni Mary Magdalene, modella “dipendente dalla
chirurgia estetica”. Nel suo ultimo post social citava un noto film: “Nel caso
non vi rivedessi, buonasera” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il computer di Chiara Poggi torna al centro del dibattito mediatico sul caso
Garlasco. È proprio sull’importanza di quel PC che si ragiona durante l’ultima
puntata di Ignoto X, andata in onda giovedì 11 dicembre, il programma di La7
condotto da Pino Rinaldi . Il conduttore ospita in trasmissione Gennaro Cassese,
l’ex comandante dei Carabinieri di Vigevano che il 13 agosto 2007 fu uno dei
primi a entrare nella villa Poggi. Rinaldi, dunque, si concentra su quanto fu
trovato in quella casa per risalire al possibile movente di chi ha commesso
l’omicidio, tentando di ricostruire insieme all’ospite i momenti successivi alla
scoperta del corpo di Chiara.
“Ero lì. Le prime fotografie furono fatte dal brigadiere Pennino della stazione
di Garlasco. Poi siamo arrivati noi della compagnia di Vigevano e il nostro
repertatore ha iniziato a fare un fascicolo fotografico. Subito dopo è arrivato
il personale del reparto operativo di Pavia, che intervengono nei casi di reati
più gravi, e hanno fatto tutto il repertamento. Hanno sequestrato alcuni
oggetti, come il portavaso, poi tutto l’appartamento è stato sottoposto a
sequestro per permettere l’intervento dei RIS che ha proceduto a una dettagliata
valutazione degli oggetti ritenuti importanti”, sostiene Cassese.
Sulla base di quanto visto una volta giunto sul posto, l’ex carabiniere osserva
che “la scena del crimine trasmetteva” la “crudeltà estrema che la persona aveva
avuto contro la povera Chiara”: “C’era sangue dappertutto, c’era stata una
violenza quasi inaudita. A mio avviso, dato che aveva aperto la porta in
pigiama, era una persona che conosceva molto bene e comunque una così massiva
violenza, ma è una mia valutazione, la riporta a persone che erano coinvolte da
una sfera affettiva”.
A giocare un ruolo centrale, secondo il conduttore, potrebbe essere il PC della
vittima, all’interno del quale sarebbero stati trovati dei “video intimi di
Chiara con Alberto”: “Quel computer viene utilizzato da Marco Poggi e dagli
amici di Marco Poggi. La difesa di Sempio dice che se il Dna è arrivato sulle
unghie di Chiara Poggi è perché magari ha toccato gli stessi tasti che Sempio
aveva utilizzato magari il pomeriggio prima. Per cui quel computer è al centro
di tutto quanto. Questa pista, alla luce di quanto sta avvenendo fuori da quel
computer, l’avrebbe seguita, mettendo da parte Alberto Stasi?”, chiede Rinaldi.
Secondo l’ex Carabiniere, allora non fu possibile stabilire la presenza sulla
scena del crimine del 37enne, che ad oggi è accusato dalla Procura di Pavia per
l’omicidio di Chiara Poggi: “Noi avremmo seguito tutte le piste – risponde
Cassese -. Il problema è che per la figura di Andrea Sempio io devo dare una
risposta contestualizzandola al 2007. Allora per la procura e per noi
investigatori dell’epoca non avevamo nulla che collocasse Sempio sulla scena del
crimine. Adesso si parla di questa famosa impronta 33 ma nel 2007 era
sconosciuta”.
Alcuni elementi, come anche il Dna trovato sulle unghie della vittima, riporta
Cassese, sarebbero stati riscontrati solo successivamente. Ma su questo punto
comincia il botta e risposta tra Rinaldi e il suo ospite: “Se lei mi ha alzato
la palla io non posso non scacciare – interviene il conduttore -. Il Dna di
Sempio sembra, secondo la difesa di Sempio, essere dappertutto. Dopo il delitto,
cominciate a fare le analisi e non si trova il Dna di Sempio, non viene
rintracciato, eppure quella casa era frequentata da lui e dagli amici. Se non
una l’altra: cos’è successo in quei giorni? Perché ci sono questi muri enormi?”,
è la domanda del conduttore. A cui però Cassese risponde spiegando che il Dna di
Sempio “nel 2007 per noi era totalmente sconosciuto”, sostiene l’ex Carabiniere.
Che poi aggiunge: “Lei ha fatto la schiacciata e io difendo. Per quanto riguarda
il RIS, fa una relazione in cui dice che non c’è Dna. Questi elementi di cui
oggi parlate non li conoscevamo proprio”, conclude.
L'articolo “Secondo la difesa il DNA di Sempio sembra fosse dappertutto”: botta
e risposta tra Rinaldi e Cassese a Ignoto X. L’ex Carabiniere: “Nel 2007 questi
elementi erano sconosciuti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Gli architetti dell’intelligenza artificiale sono la persona dell’anno 2025 di
Time. E le contraddizioni dei chatbot spiccano perché il riconoscimento del
prestigioso giornale arriva proprio quando ChatGpt finisce per la prima volta in
tribunale, per complicità in omicidio. I legali che hanno intentato la causa
parlano di uno scenario “più spaventoso di Terminator”. Il New York Post
racconta la storia: gli eredi di Suzanne Eberson Adams accusano OpenAI e il suo
fondatore Sam Altman di omicidio colposo per l’omicidio-suicidio del 3 agosto,
in cui Adams e il figlio Stein-Erik Soelberg sono stati trovati morti nella loro
casa di Greenwich, nel Connecticut.
“ChatGpt costruì le allucinazioni di Stein-Erik Soelberg, un inferno su misura
in cui una stampante che faceva rumore o una Coca Cola potevano significare che
la mamma di 83 anni tramasse per ucciderlo“, dicono gli avvocati. La causa
sostiene quindi che ChatGPT, privo delle adeguate barriere di sicurezza, abbia
finito per rafforzare la psicosi di Soelberg e convincerlo che la madre facesse
parte di un complotto per ucciderlo. Le società di intelligenza artificiale sono
state coinvolte nel recente passato in casi di suicidio, ma è la prima volta che
ChatGpt viene tirata in causa per aver provocato la morte di qualcuno.
Soelberg ha picchiato e strangolato la mamma 83enne e poi si è pugnalato a
morte. L’uomo, ex dirigente tecnologico, viveva da anni un grave crollo
psicologico. Secondo la causa, avrebbe iniziato a usare ChatGPT in modo innocuo
per poi degenerare in un’ossessione che avrebbe deformato la sua percezione
della realtà. Soelberg aveva dato un nome al chatbot, ‘Bobby’, e gli confidava
tutti i suoi sospetti su persone e fatti, in una sorta di contrapposizione tra
bene e male che si era costruito – secondo la causa – proprio con l’aiuto del
chatbot. Dopo aver ‘puntato’ diverse persone come ‘male’ (amici, fidanzate,
vicini, tutti trasformati in “agenti” e “sicari”?, ecco che l’uomo puntò la sua
paranoia sulla madre. Quando? Soelberg scollegò una stampante che secondo lui lo
stava sorvegliando, la madre si arrabbiò e lui iniziò a vederla come nemica.
Secondo i legali, Stein-Erik avrebbe incontrato ‘Bobby’ nel peggior momento
possibile, subito dopo il lancio della versione 4o, “disegnata per essere
emotivamente espressiva e servile”. Si legge nella causa: “Per battere Google
sul mercato anche di un solo giorno, OpenAi compresse mesi di test di sicurezza
in una sola settimana, contro le obiezioni del suo stesso team”. Non è noto cosa
ChatGPT gli abbia detto nei giorni immediatamente precedenti l’omicidio, perché
— secondo la causa — OpenAI si sarebbe rifiutata di consegnare quelle
conversazioni. OpenAI ha definito la vicenda “devastante”: “Continuiamo a
migliorare il modo in cui ChatGPT riconosce segni di disagio emotivo,
de-escalare le conversazioni e indirizzare le persone verso supporto reale”, le
parole di un portavoce.
L'articolo “Costruì le allucinazioni dell’uomo, un inferno in cui una stampante
rumorosa poteva indicare che sua madre era un nemico. Finì per ammazzare lei e
suicidarsi”: ChatGPT finisce in tribunale per omicidio colposo proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Il cugino di Emanuela Orlandi Pietro Meneguzzi ha rilasciato ieri un’intervista
per il programma Rai Chi l’ha Visto, che è tornato sul mistero della scomparsa
della cittadina vaticana. Pietro è il figlio di Mario Meneguzzi, su cui negli
ultimi giorni si è focalizzata l’attenzione del giornalista Massimo Giletti che
ha condotto un’inchiesta che ha riacceso il focus sullo zio di Emanuela e sulla
pista per cui all’epoca gli inquirenti si erano focalizzati su di lui. “Questa
pista riproposta dopo che era stata accantonata, rilanciata senza nessun nuovo
elemento di indagine e nessun fondamento e un po’ gli Orlandi da vittime in un
soffio diventano carnefici. Natalina (la sorella maggiore di Emanuela, ndr) è
stata assaltata dalle telecamere sotto casa”, ha sottolineato la conduttrice del
programma Federica Sciarelli.
I SOSPETTI SU ZIO MARIO
Il nome di Mario Meneguzzi, lo ricordiamo, è riemerso dai faldoni del tempo dopo
che nel 2023, durante il Tg La7, Enrico Mentana diffuse la notizia di una
confessione che nel 1978 Natalina Orlandi fece al suo padre spirituale, un
sacerdote sudamericano al quale confessò si essere turbata per delle attenzioni
particolari da parte del marito della sorella di suo padre, Lucia Orlandi. “Mio
zio mi fece delle semplici anavces verbali e finirono lì”, ha chiarito poi la
donna in conferenza stampa. Per questo episodio l’uomo fu indagato all’epoca
dagli inquirenti e tutti i sospetti presto caddero. Le famiglie Meneguzzi e
Orlandi tuttavia sono rimaste molto legate, questa storia non ha scalfito la
loro unione come confermano Pietro Orlandi e Pietro Meneguzzi a Chi l’ha visto.
LE PAROLE DI MENEGUZZI
“Come succede per tutti i casi di scomparsa, si indaga anche tra i familiari ma
all’epoca accertarono che non c’era nessun orco in famiglia. Mio padre è
deceduto nel luglio del 2009. Oggi avrebbe avuto 93 anni e credo che se fosse
vivo non sarebbe neanche uscita questa cosa. Si tratta di un vecchio sospetto –
ha spiegato il figlio – accantonato. Furono delle avances verbali e niente di
più come ha detto nel 2023 Natalina in conferenza stampa. Sono sempre le stesse
storie che tirano fuori per allontanare dalla verità, quella vera ma noi siamo
ancora qui. Comunque è giusto che dopo 42 anni la Procura è giusto riparta da
zero e indaghi di nuovo su tutte le piste. Siamo stati richiamati tutti dal Pm
che vuole ricostruire la vicenda”.
LA PERQUISIZIONE
Nei giorni scorsi, il programma “Lo stato delle cose” condotto dal giornalista
Massimo Giletti ha diffuso un servizio in cui si parlava di una perquisizione
recente della Polizia a casa dei Meneguzzi. Questa perquisizione risale
all’aprile del 2024. “La Polizia Giudiziaria ha perquisito la casa a Roma dove
mia madre vive in affitto e che non è più quella dove vivevamo nel 1983, adesso
abitata da mia sorella Monica”, ha spiegato Meneguzzi. “Ha preso delle micro
casette audio e dei timbri, era tutto in cantina”. Alcune di queste cassette non
sono state mai utilizzate, altre erano state utilizzate per registrare. Sono
state analizzate e sottoposte ad accertamenti dei Ris “Ma non contengono nulla
di importante – ha specificato Meneguzzi –. Poi hanno chiesto di perquisire
altre case: quella in montagna attuale a Spedino e quella di famiglia a Roma
ormai di mia sorella”. Lì le forze di Polizia hanno trovato solo dei Vhs
analizzati e verbalizzati e che contengono: un concerto dei Backstreet Boys, una
puntata del programma Telefono Giallo, una puntata di “Sei forte maestro”, il
matrimonio di Monica Meneguzzi e tutta la famiglia al mare. “Voglio dirvelo per
anticipare lo scoop del secolo di chi non vuol fare cronaca e vuol fare altro”,
ha concluso Meneguzzi figlio, evidentemente turbato dal riemergere di una
vecchia vicenda ormai dimenticata.
L’IDENTIKIT
Negli ultimi tempi la foto di Mario Meneguzzi è stata confrontata (perché
indicata come somigliante) all’identikit dell’uomo che davanti al Senato quel
giorno, il 22 giugno del 1983, fece una strana proposta di lavoro a Emanuela
Orlandi: distribuire volantini per l’Avon per 375mila lire, una cifra
considerevole per i tempi. Quell’offerta fu in realtà la trappola messa in atto
per attuare il sequestro della ragazza all’uscita della scuola di musica nella
Basilica di Sant’Apollinare. E questo evento è l’unica e ultima certezza sulla
sua scomparsa perché la ragazza ne parlò al telefono alla sorella Federica, a
cui telefonò dalla scuola di musica, poco prima di sparire per sempre. “Emanuela
disse a Federica: un uomo mi ha fermato non mio zio mi ha fermato, lo avrebbe
riconosciuto”, fa notare Pietro Orlandi rispondendo a chi in tempi recenti ha
evidenziato la somiglianza tra Mario Meneguzzi e l’uomo misterioso.
L’ALIBI DI MENEGUZZI
Quel giorno Mario Meneguzzi era con la moglie Lucia, la figlia Monica e la
cognata Anna Orlandi a Torano, località di montagna dove trascorrevano le
vacanze. Il suo alibi venne evidentemente accertato da chi condusse le indagini
all’epoca. Racconta il figlio: “Ero a casa con la mia fidanzata dell’epoca,
stavamo festeggiando il suo compleanno. Alle dieci chiama zio Ercole e mi dice:
Emanuela non è tornata a casa, mio padre era in montagna a Torano. Mio padre
lascia tutto e scappa a Roma. Entrambi ci trasferiamo a casa di Emanuela. “Mio
zio dormiva in camera con mio padre, vicino al telefono. Prendeva lui le
chiamate perché mio padre come me era completamente perso. Da quel 22 giugno
dice Pietro Orlandi non so cosa sarebbe accaduto se non ci fossero stati loro.
Mio cugino Pietro per me è stata ed è ancora la persona più vicina”, ci ha
tenuto a sottolineare Pietro Orlandi.
L'articolo “Mia cugina Emanuela Orlandi? Siamo stati richiamati tutti dal Pm che
vuole ricostruire la vicenda. Ecco cosa contengono le videocassette perquisite a
casa nostra”: a ‘Chi l’ha visto’ parla il figlio di Mario Meneguzzi proviene da
Il Fatto Quotidiano.
Si trovavano a soli 50 metri della vetta del Grossglockner, in Austria. Thomas
Plamberger e Kerstin Gurtner stavano scalando quando lei, a pochi passi dai
3.798 metri, si è senta male e ha cominciato ad accusare stanchezza e
disorientamento com’è tipico nei malori in alta quota. I fatti risalgono allo
scorso 19 gennaio quando – secondo la procura di Innsbruck – Plamberger decise
di lasciare sola la fidanzata, intorno alle 2 del mattino, per provare a
scendere al più vicino rifugio e trovare aiuto. Tornò sei ore dopo, trovando
Gurtner, 33 anni, è morta congelata da sola sulla montagna. Le temperature erano
di -8 °C con venti fino a 45 mph, che portavano la temperatura percepita a circa
-20 °C.
I procuratori hanno condotto un’indagine durata 11 mesi, analizzando i telefoni
della coppia, gli orologi sportivi, le fotografie della salita e commissionando
anche una perizia indipendente a un esperto di alpinismo. Dopo nove mesi di
indagini, Plamberg è stato formalmente accusato di omicidio colposo perché ci
sono errori cruciali che avrebbe commesso e che, se evitati, avrennero salvato
la fidanzata: dalla cattiva pianificazione dell’impresa, al mancato contatto con
i soccorsi e la polizia. Plamberger ha negato ogni responsabilità. Il suo
avvocato aveva già contestato parte della ricostruzione temporale fatta dalla
procura, affermando che l’uomo avrebbe lasciato Gurtner “di comune accordo”.
Secondo la procura, la coppia era partita troppo tardi la mattina del 18
gennaio: due ore di ritardo che sembrano poche ma che, per raggiungere una vetta
complessa come il Grossglockner, fanno molta differenza. La tempesta li avrebbe
bloccati intorno alle 20:50 e i magistrati sostengono che Plamberger non abbia
tentato di chiamare aiuto né di inviare segnali di emergenza a un elicottero
della polizia che sorvolò la loro posizione alle 22:50. Non solo, l’uomo avrebbe
ignorato le chiamate della polizia, prima di rispondere a un agente intorno alle
00:35 ma con una telefonata dal contenuto “poco chiaro”. Poi, Plamberger avrebbe
messo il telefono in modalità silenziosa.
Sulle carte si legge: “Intorno alle 2 del mattino, l’imputato ha lasciato la
fidanzata senza protezione, esausta, in ipotermia e disorientata a circa 50
metri dalla croce di vetta del Grossglockner. La donna è morta congelata. Dato
che l’imputato, a differenza della fidanzata, era molto esperto di tour alpini
ad alta quota e aveva pianificato l’escursione, doveva essere considerato la
guida responsabile della salita”. Non solo, sempre secondo la poliziam
Plamberger avrebbe permesso alla fidanzata di affrontare la salita con uno
splitboard — uno snowboard divisibile in due parti da usare come sci — e con
morbidi scarponi da snowboard, attrezzatura ritenuta inadatta al percorso
invernale d’alta quota. Avrebbe inoltre omesso di spostarla in una zona riparata
dal vento o di lasciarle il sacco da bivacco o le coperte termiche in alluminio,
prima di allontanarsi.
L'articolo Lascia sola la fidanzata a 3.798 metri, lei muore assiderata. Ora
arriva l’accusa di omicidio colposo: gli errori cruciali commessi dall’uomo
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Massimo Giletti è stato aggredito in centro a Roma mentre stava rivolgendo delle
domande a un uomo che prima gli ha rilasciato un’intervista e poi lo ha colpito
con un pugno, rifiutando di rispondere ad ulteriori domande sul caso della
scomparsa di Emanuela Orlandi.
L’AGGRESSIONE
Il giornalista stava lavorando a un servizio sul mistero della scomparsa della
cittadina vaticana avvenuta nel 1983, per il programma in onda su Rai 3 ‘Lo
stato delle cose’, per cui il conduttore ha scelto di seguire la cosiddetta
pista familiare che vede al centro lo zio di Emanuela Mario Meneguzzi, scomparso
da diversi anni. La persona inseguita da Giletti, lo dice lo stesso giornalista,
è un ex agente dei servizi segreti che aveva fatto parte del Sisde: lo stesso
ascoltato giovedì scorso dalla commissione parlamentare di inchiesta dopo che
proprio ‘Lo stato delle cose’ aveva ricostruito che Mario Meneguzzi, zio di
Emanuela Orlandi, era stato avvertito del fatto che gli stessi Servizi all’epoca
lo stessero pedinando (fonte: Rainews). Del resto, è già noto che l’uomo fosse
stato attenzionato dagli inquirenti ma i sospetti contro di lui caddero presto
perché non vennero riscontrati elementi di prova sul suo coinvolgimento nella
scomparsa della ragazza avvenuta il 22 giugno del 1983. E il suo alibi – quel
giorno era a 200 chilometri da Roma insieme alla moglie Lucia, alla figlia
Monica e alla cognata Anna Orlandi – venne, evidentemente, riscontrato da chi
indagò all’epoca. “Ma fu fatto molto poco”, ha dichiarato ieri Giletti in
trasmissione. Secondo quanto riporta Rainews, la soffiata a Meneguzzi all’epoca
sul fatto che lo stessero pedinando, sarebbe arrivata “da una persona legata ai
servizi segreti: Giulio Gangi, oggi deceduto, che lavorava in coppia proprio con
l’uomo coinvolto nell’episodio”. Lo stesso Gangi sin da subito si mise sulle
tracce della Vatican Girl, e a quanto pare conosceva i cugini di Emanuela tra
cui il figlio di Mario Meneguzzi, Pietro. “Gangi lo conoscevo, lavoravamo al
Sisde” ha dichiarato l’ex agente che ieri ha colpito Giletti (prima di
aggredirlo) ma l’uomo ha anche negato di conoscere le motivazioni per cui
Meneguzzi sarebbe stato all’epoca avvisato del pedinamento nei suoi confronti.
L’uomo ha negato di aver avvisato Gangi: “Se uno è corrotto non significa che lo
sono tutti. Non so se e perché lo abbiano avvisato”, ha dichiarato a Giletti. “I
servizi avvisarono lo zio di Emanuela che era pedinato e chiamò qualcuno dei
Servizi per chiedergli chi lo seguisse”, ha dichiarato ieri in tivù Giletti.
“MI HA COLPITO UNA SECONDA VOLTA MANDANDOMI PER STRADA”
“Chi è il soggetto in questione? È un ex dei servizi segreti, che ha fatto anche
la legione straniera e credo sia stato anche tra i paracadutisti. Giovedì
scorso, quando è stato ascoltato e interrogato da Andrea De Priamo, presidente
della commissione Orlandi – spiega Giletti all’ANSA – ho provato a intervistarlo
sulla vicenda. Sto seguendo infatti una pista che non è stata mai approfondita:
il coinvolgimento dello zio Mario Meneguzzi nel rapimento di Emanuela Orlandi.
Nel momento in cui l’ho incalzato per quattro, cinque minuti, chiedendogli come
mai i servizi segreti avessero avvertito lo zio di Emanuela del fatto che era
pedinato dalla polizia, ha perso la testa, si è girato e mi ha colpito come un
pugno. Io, che sono alto e vaccinato, sono nato in strada e ho fatto parecchie
battaglie da ragazzino, non mi sono spaventato e ho insistito. Quello che manca
purtroppo nel filmato è una seconda parte, in cui mi ha colpito di nuovo
violentemente mandandomi in mezzo alla strada: purtroppo ha colpito anche il
telefono che è andato in tilt”. E infine “denunciare? Come diceva Minoli, sono
un giornalista di strada, e i giornalisti di strada sanno quello che succede
quando fai domande scomode: il primo a colpirmi, vado a memoria, fu Umberto
Bossi, parliamo del 1992-1993, gli anni di Mixer. Quando fai domande scomode,
anche i politici perdono la testa. Io volevo querelare, Minoli mi disse: uno
come te prende e incassa”,
IL SERVIZIO
La scorsa settimana, “Lo Stato delle cose” aveva diffuso la notizia della
perquisizione da parte dei Carabinieri della casa di Mario Meneguzzi in località
Torano, a Spedino, (la stessa in cui si trovava il giorno in cui venne rapita
sua nipote). Tale perquisizione è avvenuta nel 2024, dopo che la figura di
Meneguzzi era stata nuovamente tirata in ballo da Enrico Mentana durante il Tg
La7. In quel servizio venne mostrata una lettera all’allora segretario di Stato
del Vaticano di un sacerdote sudamericano, padre spirituale della sorella di
Emanuela, Natalina Orlandi che aveva confessato al prete di aver ricevuto delle
“semplici avances verbali da parte di mio zio che però caddero lì” (ha precisato
poi in conferenza stampa, nel 2023, la donna). Per questo motivo, “Zio Mario”
venne indagato all’epoca dei fatti ma la sua posizione fu presto archiviata con
un nulla di fatto. Ieri, Giletti ha parlato di una nuova perquisizione avvenuta
in un altro appartamento, mostrando nuovamente i documenti della Procura che
risalgono ai giorni della scomparsa da cui si legge che anche il fidanzato di
Natalina all’epoca disse ai Carabinieri delle avances ricevute. In
quell’occasione, Natalina confermò alle forze dell’ordine i fatti (avvenuti nel
’78, cinque anni prima, ndr) ribadendo il suo imbarazzo per gli atteggiamenti di
suo zio “a cui risposi sempre negativamente”: così disse al sostituto
procuratore Domenico Sica che era a capo delle indagini.
LA SMENTITA DELLA FAMIGLIA
“Siamo stati tutti quanti pedinati, mi sembra che cascate dal pero. Siamo stati
controllati tutti, sia gli Orlandi che noi Meguzzi, è stato scritto dappertutto.
Gli inquirenti giustamente all’inizio hanno voluto verificare che in famiglia
non ci fosse qualche problema ma non ci hanno ancora arrestati. Siamo qui dopo
42 anni e siamo tranquilli” ha detto ieri Giorgio Meneguzzi, figlio di Mario,
all’inviata de Lo Stato delle cose. “Sugli inseguimenti non furono i Servizi che
avvisarono mio zio ma il contrario – ha spiegato ieri Pietro Orlandi con un
messaggio sui social –, mio zio si sentiva seguito, avvisò Gangi perché aveva
paura e non sapeva chi fossero. Gangi disse: prendi la targa, gli lesse la targa
e dopo un po’ gli dissero, di stare tranquillo perché era una loro auto.
Comunque Giletti inventa date, fa passare che siano indagini attuali evitando di
dire che ci furono indagini approfondite e chiuse perché non fu provato nulla”.
L'articolo Massimo Giletti è stato aggredito e colpito con un pugno da un ex
esponente dei servizi segret mentre tentava di intervistarlo sul caso Emanuela
Orlandi proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Chiara era innamoratissima del suo fidanzato”. “Alberto mentiva a Chiara”. È un
ritratto in chiaroscuro quello che emerge dalle testimonianze dell’epoca del
delitto di Garlasco, messe assieme dal settimanale Oggi, che ha deciso di
passare in rassegna le parole di parenti, amici, vicini, colleghi e conoscenti
di Chiara Poggi – morta il 13 agosto del 2007 – e di Alberto Stasi, condannato a
16 anni per il suo omicidio. L’obiettivo? “Sapere chi fosse Chiara, come
vivesse, cosa notasse o avesse a cuore, cosa l’avrebbe scandalizzata, colpita,
messa in allarme, e cosa no”, spiega la giornalista Paola Manciagli, che ha
provato ad analizzare nel dettaglio il rapporto tra i due fidanzati e alcuni
aspetti controversi della loro storia.
DELITTO DI GARLASCO, IL “RITRATTO INEDITO” DI CHIARA E ALBERTO
Dalle testimonianze dell’epoca, si scopre qualcosa in più su Chiara Poggi e
Alberto Stasi. A cominciare dal carattere della ragazza, descritta come “dolce”
ma al tempo stesso sapeva “essere aggressiva se stuzzicata in aspetti che la
interessavano”. Lo racconta una vicina di casa, all’epoca poco più che
adolescente: “Ad esempio, ricordo una volta che entrando a casa mia vide un
pacchetto di sigarette e subito mi disse se i miei lo sapevano altrimenti
avrebbe provveduto lei. Ricordo testualmente che disse ‘Se non la smetti lo dico
a tuo padre’. Non aveva paura di affrontare di petto gli argomenti scomodi e
anche di manifestare la sua opinione andando dritta al punto”. Di Stasi invece
si scopre che era “un maniaco della pulizia”, come riferì un’amica: “‘Infatti la
riprendeva quando per cucinare sporcava qualcosa o metteva in disordine. Lui
immediatamente puliva e rimetteva in ordine’. Per accontentare il ragazzo,
cercava anche di essere più disinibita di quanto non le sarebbe venuto
spontaneo: lo testimonia lo stesso Alberto”.
LE LITI TRA I DUE FIDANZATI E LE BUGIE DI STASI
Uno dei passaggi della ricostruzione di Oggi riguarda poi le voci che giravano a
Garlasco secondo le quali Stasi a volte mentiva a Chiara, alla quale diceva di
dover restare a casa a studiare e “invece se ne andava chissà dove”. Alcune
persone durante le indagini raccontarono alcuni fatti accaduti nella primavera
del 2007 e anche l’anno prima: “Una volta l’abbiamo seguito e l’abbiamo visto
andare verso l’autostrada”. Chiara era venuta a sapere di queste voci e “si era
irritata”, ma in seguito aveva raccontato loro “‘di aver chiesto ad Alberto dove
fosse andato’, comunicandogli che era stato visto in giro; ma lui le aveva
risposto che c’era stato per forza uno sbaglio, ‘che era impossibile in quanto
era a casa a studiare’, e pare ci fossero state discussioni. Tanto che,
continuano i testimoni, a un certo punto avevano smesso di riferire a Chiara
questi avvistamenti perché ‘serviva solo a farli litigare’”. Stasi invece
raccontò che tra di loro non c’erano mai stati litigi, una versione confermata
dalla “gran parte di conoscenti e familiari di entrambi”. “Gli unici motivi di
discussione erano legati al fatto che io a volte non l’accompagnavo a fare
shopping perché dovevo studiare ma poi passava tutto. Io non ero geloso; Chiara
un pochino cioè Chiara diceva che io ero un po’ troppo estroverso”.
LA POGGI “INNAMORATISSIMA” DI STASI
Sempre dal ritratto di Oggi, emergono altri dettagli sul rapporto tra i due. I
colleghi di Chiara Poggi, ad esempio, raccontarono che lei era “era
innamoratissima del suo fidanzato Alberto”. “La ragazza parlava poco di sé, ma
emergeva chiaramente questo “forte legame con il suo fidanzato, infatti lo
aiutava negli studi, gli preparava ricerche utili per gli esami universitari”.
Nonostante rimarcasse il fatto che Stasi le dedicava poco tempo perché impegnato
negli studi, specialmente in periodo d’esame, la Poggi “gli stava vicino in ogni
modo, anche cercando di fargli superare lo scoglio di quella laurea alla Bocconi
(lei si era laureata a Pavia con il massimo dei voti)”. Poi però emerge un’altra
incongruenza, quando si parla della vacanza studio di Alberto Stasi in un
college a Londra: “Chiara raccontava a tutti con entusiasmo che l’avrebbe
raggiunto per un fine settimana. I ragazzi della piccola Garlasco si erano
stupiti quando avevano saputo che Alberto non era ‘neanche’ andato a prenderla
all’aeroporto. Ma Chiara, agli occhi di tutti, era tornata felice da Londra, e
piena di progetti per quei giorni assieme che stavano per iniziare. La sua vita
sarebbe finita di lì a poco”.
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Una volta l’abbiamo seguito e l’abbiamo visto andare verso l’autostrada”: le
rivelazioni di Oggi proviene da Il Fatto Quotidiano.