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Pierina Paganelli, la nipote in Aula e le incongruenze sugli orari: l’alibi per madre e zio è granitico?
Lunedì si è tenuta la sesta udienza del processo che vede imputato Louis Dassilva per l’omicidio di Pierina Paganelli, la settantottenne trovata cadavere nel sottoscala del condominio in cui abitava a Rimini la mattina del 4 ottobre del 2023. Un’udienza di particolare rilevanza perché in aula ha deposto una testimone cruciale ossia la giovane Giorgia Saponi, nipote della vittima e figlia di Manuela Bianchi e Giuliano Saponi. La ragazza, oggi maggiorenne e che all’epoca dei fatti aveva sedici anni, sentita a sommarie informazioni testimoniali il 6 ottobre 2023 nell’immediatezza del ritrovamento del cadavere della nonna, aveva dichiarato agli inquirenti che la sera dell’omicidio si trovava a casa sua con la madre Manuela e lo zio Loris Bianchi che cenò con loro per seguire in streaming l’adunanza dei testimoni di Geova alla quale Pierina aveva partecipato in presenza. Il padre della ragazza, nonché marito di Manuela, in quel periodo si trovava ancora ricoverato in ospedale in seguito al grave trauma riportato in quello che oggi si ipotizza non sia stato un incidente ma un agguato da parte dello stesso assassino di Pierina mentre Giorgia Saponi non aveva accompagnato come di consueto la nonna all’adunanza perché indisposta. La giovane in quella occasione aveva raccontato con dovizia di particolari che l’adunanza era cominciata alle 20 ed era terminata alle 21.45, tutti elementi riscontrati dagli investigatori che avevano appurato l’effettiva durata dell’evento e le tempistiche che coincidevano perfettamente con il rientro della vittima in auto presso il garage della propria abitazione dove poi purtroppo ebbe ad incontrare il suo carnefice. L’unico punto che aveva inizialmente destato qualche allarme in chi indagava sulla morte della pensionata era l’orario fornito dalla nipote circa l’allontanamento dello zio dalla loro abitazione in quanto la ragazza aveva dichiarato che Loris Bianchi aveva lasciato l’appartamento intorno alle 22.05 ovvero qualche manciata di minuti prima dell’orario della morte di Pierina avvenuto alle 22.13. Giorgia Saponi a sommarie informazioni testimoniali si era detta certa di quel particolare perché lo aveva chiaramente visto sull’orologio presente sulla parete del soggiorno ma in seguito aveva ritrattato dicendo che probabilmente si era confusa perché Manuela Bianchi aveva fornito agli inquirenti alcune foto scattate con il cellulare e recanti l’orario delle 22.45/22.50 che ritraevano Loris Bianchi steso sul pavimento della loro abitazione supino e con le braccia aperte nell’atto di giocare con il loro cane che però, ad onor del vero, non è mai presente negli scatti. In tribunale la giovane ha confermato la seconda versione e nell’udienza durata circa quattro ore ha risposto sia alle domande del pubblico ministero che a quelle degli avvocati di Dassilva. In particolare questi ultimi hanno insistito su alcuni punti e hanno chiesto alla ragazza come avesse passato la serata con la madre e con lo zio e cosa in concreto avessero fatto e di cosa avessero parlato dopo aver assistito all’incontro di preghiera e fino alle 23, ora in cui, stando alla seconda versione fornita dalla ragazza, lo zio sarebbe effettivamente andato via. A queste domande la giovane avrebbe risposto più volte che non ricorda. A mio avviso i molti “non ricordo” stridono con la precisione matematica dell’orario fornito dalla giovane quando fu sentita nella sit e disse di aver visto che le lancette dell’orologio da parete di quel 3 ottobre del 2023 segnavano le 22.05. Un dubbio che non appartiene solo alla sottoscritta ma che è stato sollevato, fra gli altri, anche dall’ex Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano Antonio Leonardo Tanga per il quale la ritrattazione di una versione fornita dopo qualche giorno dal delitto e che appariva assolutamente genuina è senza dubbio un elemento poco convincente. Alla luce di questi elementi si può affermare con certezza che Giorgia Saponi abbia confermato in modo granitico l’alibi di Loris e Manuela Bianchi? Le prossime tappe del processo per la morte della povera Pierina saranno determinanti per capire se la colpevolezza dell’unico indagato Louis Dassilva verrà provata ogni oltre ragionevole dubbio o se potranno emergere altri scenari. L'articolo Pierina Paganelli, la nipote in Aula e le incongruenze sugli orari: l’alibi per madre e zio è granitico? proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Garlasco – Il ciondolo, l’orologio e la cavigliera di Chiara Poggi. I consulenti della famiglia: “Mai analizzati, ma per noi importanti”
Sono rimasti chiusi per anni, conservati con cura, quasi intoccabili. Una catenina con un ciondolo a forma di dente di squalo, alcuni braccialetti — uno con inciso il nome “Chiara” — l’orologio, una cavigliera. Sono gli oggetti che Chiara Poggi indossava il giorno in cui venne uccisa, il 13 agosto 2007, nella villetta di via Pascoli a Garlasco. Oggi, a diciotto anni di distanza, tornano al centro di una vicenda giudiziaria che non smette di riaprirsi. A riportarli all’attenzione è Dario Redaelli, criminologo e consulente della famiglia Poggi, nel corso della trasmissione Quarto Grado condotta da Gianluigi Nuzzi su Rete 4. “Sono stati conservati come reliquie – ha spiegato – insieme a tutto ciò che aveva avuto a che fare con quella ragazza quel giorno. Alcuni di questi oggetti non sono mai stati analizzati e ora per noi diventano importanti”. Piccoli dettagli, apparentemente muti, che potrebbero ancora custodire tracce utili a chiarire ciò che accadde in quella casa. Il ritorno dei reperti personali della 26enne, per si intreccia con l’ennesimo capitolo giudiziario del caso Garlasco, che torna in aula a Pavia. Giovedì 18 dicembre davanti alla giudice per le indagini preliminari di Pavia, Daniela Garlaschelli, verrà discussa la perizia firmata dalla genetista Denise Albani: novanta pagine dedicate al Dna estrapolato da due unghie della vittima e a tutti gli altri reperti analizzati a partire dallo scorso giugno. Secondo le conclusioni, il profilo genetico maschile risulterebbe compatibile con quello di Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara e unico indagato nella nuova inchiesta per concorso in omicidio. Su tutti gli altri reperti invece c’è solo il Dna di Alberto Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun profilo utile è stato rilevato. Sempio, che nei giorni scorsi ha incontrato i suoi avvocati a Roma, si dice sollevato dall’arrivo della perizia. “È stato un grosso peso in questi mesi”, ha commentato. In un’intervista televisiva ha parlato di interpretazioni “tirate per i capelli” e ha ribadito di non voler essere interrogato fino alla chiusura delle indagini, su consiglio dei legali. Intanto, sullo sfondo, resta aperta la questione dell’impronta 33, rilevata sulla parete delle scale che conducono al seminterrato della villetta e attribuita dagli inquirenti a Sempio e dalla difesa Stasi sulla base di un’analisi fotografica. L'articolo Garlasco – Il ciondolo, l’orologio e la cavigliera di Chiara Poggi. I consulenti della famiglia: “Mai analizzati, ma per noi importanti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Stia zitto, ma perché le devo ricordare che è un maleducato?”: scintille a “Quarto Grado” sul Delitto di Garlasco tra il generale Garofano e l’avvocato Gallo
Botta e risposta tra il generale Luciano Garofano e l’avvocato Fabrizio Gallo a Quarto Grado. Ad accendere i toni della discussione è stata la divergenza di opinioni sulla perizia Albani e sulla qualità del lavoro di indagine scientifica svolto nel 2007 sugli oggetti presenti a casa di Chiara Poggi. Durante il programma condotto da Gianluigi Nuzzi, andato in onda venerdì 12 dicembre su Rete 4, gli animi si sono scaldati, fino al punto che il generale Garofano si è alzato dalla sua postazione per chiarire la vicenda con Gallo: “La vuole finire di interrompere o continua in questo modo maleducato? La prego di stare zitto”, ha detto il biologo. Il primo momento di scontro tra i due riguarda la perizia pubblicata dalla genetista Denise Albani, che ha individuato nelle tracce di DNA riscontrate sulle unghie di Chiara una compatibilità “moderatamente forte” e “forte” con la linea paterna della famiglia Sempio. Un risultato sostanzialmente diverso da quello ottenuto nel 2014 dal genetista Francesco De Stefano, che nella sua perizia dell’epoca sostenne di non avere acquisito risultati consolidati sul materiale genetico analizzato sulle unghie e, quindi, non validi scientificamente. Una tesi che Garofano sembra appoggiare: “Non credo alla contaminazione. Dobbiamo partire da un presupposto, quello che ha analizzato De Stefano era il residuo di quanto aveva già prelevato il RIS, che non aveva trovato materiale maschile tanto da arrivare a un profilo interpretabile. Come De Stefano, era stato trovato solo il profilo della vittima”, sostiene il generale. Ma Gallo lo interrompe: “Se De Stefano non avesse trovato niente perché ha chiamato Stasi per il confronto?”. Garofano non ci sta e risponde all’avvocato: “No, no, Gallo lei stia zitto. Ma perché le devo ricordare che è un maleducato?”, afferma il biologo. Che poi aggiunge: “Non è una critica alla dottoressa Albani, ha fatto un grande lavoro, il calcolo è però sbagliato perché quel profilo può essere il risultato di artefatti”. Ma questa volta è l’avvocato di Massimo Lovati a chiudere con una risposta piccata: “Menomale che ha fatto un bel lavoro, ha ammazzato la (perizia, ndr) Albani”. L’alterco verbale tra i due opinionisti non si esaurisce al commento sulla perizia Albani. Poco più tardi, quando la conversazione si sposta sugli elementi analizzati dagli inquirenti nel 2007, gli animi si scaldano nuovamente. In particolare, è il commento di Dario Redaelli, criminalista e consulente della famiglia Poggi, ad introdurre l’argomento: “Ho fatto da poco delle indagini per conto della famiglia sui vestiti e accessori che Chiara indossava il giorno dell’omicidio, sono stati conservati come se fossero delle reliquie e così tutto quello che aveva a che fare con la ragazza”. A quel punto, Nuzzi osserva: “Questo porta a smentire un’accusa fatta spesso alla famiglia di Chiara, che si dice sia soddisfatta della presenza di Stasi in carcere perché deve coprire qualcosa”, commenta il conduttore, che poi chiede a Garofano perché non fossero stati analizzati all’epoca. Il nostro lavoro risale a 18 anni fa. Allora avevamo dei limiti analitici che sono cambiati, risponde il generale. Un commento a cui però Gallo risponde con una sua puntualizzazione: “Non li avete proprio fatti, avete fatto un errore. La risposta non piace al generale e il confronto di fatto degenera. “Avvocato, credo che lei abbia una malattia che la spinge alla parola. In una scena del crimine, che forse l’avvocato Gallo non conosce, non si prende tutto e si analizza, si valutano i reperti che possono essere importanti”, risponde ancora Garofano. Ma il legale precisa: “La cavigliera era sulla gamba della parte offesa”. A questo punto, il generale si alza dalla sua postazione e si avvicina a Gallo con tono minaccioso: “La vuole finire di interrompere o continua in questo modo maleducato? La prego di stare zitto”. Lo stesso avvocato commenta sorpreso, ma non si tira indietro: “Ma che fa minaccia? Se vuole mi alzo anche io”. È però Nuzzi a placare gli animi, rimproverando Gallo sulle continue interruzioni, ma anche Garofano per la reazione avuta: “Così passa dalla parte del torto. Nessuno si alza e si avvicina agli altri opinionisti in questo studio. C’è modo e modo, non condivido la sua presa di posizione”, dice il conduttore. Il generale può quindi concludere il suo discorso: “Si prende quello che può essere utile all’indagine. Una catenina o un oggetto che indossava la vittima restituisce il suo DNA, allora, oggi sarebbe diverso. La cavigliera, non la ricordo, probabilmente era intrisa di sangue, quindi era talmente contaminata da non poter essere guardata. Non si analizzano 100 reperti, solo quelli su cui speri di avere un risultato”. Ancora una volta, però, Gallo non ci sta: “Se una ragazza viene trascinata dai piedi, chiaramente l’assassino può lasciare le sue impronte, non avere analizzato la cavigliera per me è stato un orrore. Non si può non analizzare qualcosa che sta attaccato al corpo. È Garofano però ad avere l’ultima parola: “Faremo tesoro dei suoi insegnamenti”, commenta piccato il generale. L'articolo “Stia zitto, ma perché le devo ricordare che è un maleducato?”: scintille a “Quarto Grado” sul Delitto di Garlasco tra il generale Garofano e l’avvocato Gallo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Trovata morta a 33 anni Mary Magdalene, modella “dipendente dalla chirurgia estetica”. Nel suo ultimo post social citava un noto film: “Nel caso non vi rivedessi, buonasera”
Denise Ivonne Jarvis Gongora, nota sui social come Mary Magdalene, è morta dopo essere precipitata dal nono piano di un hotel thailandese dove era arrivata per soggiornare una sola notte. La notizia la dà il Sun. La 33enne viene spesso definita “dipendente dalla chirurgia estetica” perché, come lei stessa ha dichiarato più volte, nella sua vita era arrivata a spendere oltre 380 mila sterline in interventi estetici. Gongora è caduta dal Patong Towerl. Lo scrive il Phuket News. La polizia di Phuket ha dichiarato che il corpo della modella messicano-canadese è stato trovato dal personale dell’hotel nel parcheggio, poco dopo le 13:30 ora locale. Al momento, il corpo della 33enne si trova al Vachira Phuket Hospital, dove i medici legali dovranno stabilire con esattezza la causa della morte. I fan di Mary Magdalene hanno postato messaggi sui social nei quali si fa riferimento all’ultimo post della donna, ovvero la scena finale del film The Truman Show accanto a una foto della sua infanzia. In quel pezzo del noto film, Jim Carrey/Truman Burbank, si inchina prima di dire: “E nel caso non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”. L’influencer aveva inoltre cambiato il nome utente di uno dei suoi account Instagram in “MaryMagdaleneDied”. L'articolo Trovata morta a 33 anni Mary Magdalene, modella “dipendente dalla chirurgia estetica”. Nel suo ultimo post social citava un noto film: “Nel caso non vi rivedessi, buonasera” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Secondo la difesa il DNA di Sempio sembra fosse dappertutto”: botta e risposta tra Rinaldi e Cassese a Ignoto X. L’ex Carabiniere: “Nel 2007 questi elementi erano sconosciuti”
Il computer di Chiara Poggi torna al centro del dibattito mediatico sul caso Garlasco. È proprio sull’importanza di quel PC che si ragiona durante l’ultima puntata di Ignoto X, andata in onda giovedì 11 dicembre, il programma di La7 condotto da Pino Rinaldi . Il conduttore ospita in trasmissione Gennaro Cassese, l’ex comandante dei Carabinieri di Vigevano che il 13 agosto 2007 fu uno dei primi a entrare nella villa Poggi. Rinaldi, dunque, si concentra su quanto fu trovato in quella casa per risalire al possibile movente di chi ha commesso l’omicidio, tentando di ricostruire insieme all’ospite i momenti successivi alla scoperta del corpo di Chiara. “Ero lì. Le prime fotografie furono fatte dal brigadiere Pennino della stazione di Garlasco. Poi siamo arrivati noi della compagnia di Vigevano e il nostro repertatore ha iniziato a fare un fascicolo fotografico. Subito dopo è arrivato il personale del reparto operativo di Pavia, che intervengono nei casi di reati più gravi, e hanno fatto tutto il repertamento. Hanno sequestrato alcuni oggetti, come il portavaso, poi tutto l’appartamento è stato sottoposto a sequestro per permettere l’intervento dei RIS che ha proceduto a una dettagliata valutazione degli oggetti ritenuti importanti”, sostiene Cassese. Sulla base di quanto visto una volta giunto sul posto, l’ex carabiniere osserva che “la scena del crimine trasmetteva” la “crudeltà estrema che la persona aveva avuto contro la povera Chiara”: “C’era sangue dappertutto, c’era stata una violenza quasi inaudita. A mio avviso, dato che aveva aperto la porta in pigiama, era una persona che conosceva molto bene e comunque una così massiva violenza, ma è una mia valutazione, la riporta a persone che erano coinvolte da una sfera affettiva”. A giocare un ruolo centrale, secondo il conduttore, potrebbe essere il PC della vittima, all’interno del quale sarebbero stati trovati dei “video intimi di Chiara con Alberto”: “Quel computer viene utilizzato da Marco Poggi e dagli amici di Marco Poggi. La difesa di Sempio dice che se il Dna è arrivato sulle unghie di Chiara Poggi è perché magari ha toccato gli stessi tasti che Sempio aveva utilizzato magari il pomeriggio prima. Per cui quel computer è al centro di tutto quanto. Questa pista, alla luce di quanto sta avvenendo fuori da quel computer, l’avrebbe seguita, mettendo da parte Alberto Stasi?”, chiede Rinaldi. Secondo l’ex Carabiniere, allora non fu possibile stabilire la presenza sulla scena del crimine del 37enne, che ad oggi è accusato dalla Procura di Pavia per l’omicidio di Chiara Poggi: “Noi avremmo seguito tutte le piste – risponde Cassese -. Il problema è che per la figura di Andrea Sempio io devo dare una risposta contestualizzandola al 2007. Allora per la procura e per noi investigatori dell’epoca non avevamo nulla che collocasse Sempio sulla scena del crimine. Adesso si parla di questa famosa impronta 33 ma nel 2007 era sconosciuta”. Alcuni elementi, come anche il Dna trovato sulle unghie della vittima, riporta Cassese, sarebbero stati riscontrati solo successivamente. Ma su questo punto comincia il botta e risposta tra Rinaldi e il suo ospite: “Se lei mi ha alzato la palla io non posso non scacciare – interviene il conduttore -. Il Dna di Sempio sembra, secondo la difesa di Sempio, essere dappertutto. Dopo il delitto, cominciate a fare le analisi e non si trova il Dna di Sempio, non viene rintracciato, eppure quella casa era frequentata da lui e dagli amici. Se non una l’altra: cos’è successo in quei giorni? Perché ci sono questi muri enormi?”, è la domanda del conduttore. A cui però Cassese risponde spiegando che il Dna di Sempio “nel 2007 per noi era totalmente sconosciuto”, sostiene l’ex Carabiniere. Che poi aggiunge: “Lei ha fatto la schiacciata e io difendo. Per quanto riguarda il RIS, fa una relazione in cui dice che non c’è Dna. Questi elementi di cui oggi parlate non li conoscevamo proprio”, conclude. L'articolo “Secondo la difesa il DNA di Sempio sembra fosse dappertutto”: botta e risposta tra Rinaldi e Cassese a Ignoto X. L’ex Carabiniere: “Nel 2007 questi elementi erano sconosciuti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Costruì le allucinazioni dell’uomo, un inferno in cui una stampante rumorosa poteva indicare che sua madre era un nemico. Finì per ammazzare lei e suicidarsi”: ChatGPT finisce in tribunale per omicidio colposo
Gli architetti dell’intelligenza artificiale sono la persona dell’anno 2025 di Time. E le contraddizioni dei chatbot spiccano perché il riconoscimento del prestigioso giornale arriva proprio quando ChatGpt finisce per la prima volta in tribunale, per complicità in omicidio. I legali che hanno intentato la causa parlano di uno scenario “più spaventoso di Terminator”. Il New York Post racconta la storia: gli eredi di Suzanne Eberson Adams accusano OpenAI e il suo fondatore Sam Altman di omicidio colposo per l’omicidio-suicidio del 3 agosto, in cui Adams e il figlio Stein-Erik Soelberg sono stati trovati morti nella loro casa di Greenwich, nel Connecticut. “ChatGpt costruì le allucinazioni di Stein-Erik Soelberg, un inferno su misura in cui una stampante che faceva rumore o una Coca Cola potevano significare che la mamma di 83 anni tramasse per ucciderlo“, dicono gli avvocati. La causa sostiene quindi che ChatGPT, privo delle adeguate barriere di sicurezza, abbia finito per rafforzare la psicosi di Soelberg e convincerlo che la madre facesse parte di un complotto per ucciderlo. Le società di intelligenza artificiale sono state coinvolte nel recente passato in casi di suicidio, ma è la prima volta che ChatGpt viene tirata in causa per aver provocato la morte di qualcuno. Soelberg ha picchiato e strangolato la mamma 83enne e poi si è pugnalato a morte. L’uomo, ex dirigente tecnologico, viveva da anni un grave crollo psicologico. Secondo la causa, avrebbe iniziato a usare ChatGPT in modo innocuo per poi degenerare in un’ossessione che avrebbe deformato la sua percezione della realtà. Soelberg aveva dato un nome al chatbot, ‘Bobby’, e gli confidava tutti i suoi sospetti su persone e fatti, in una sorta di contrapposizione tra bene e male che si era costruito – secondo la causa – proprio con l’aiuto del chatbot. Dopo aver ‘puntato’ diverse persone come ‘male’ (amici, fidanzate, vicini, tutti trasformati in “agenti” e “sicari”?, ecco che l’uomo puntò la sua paranoia sulla madre. Quando? Soelberg scollegò una stampante che secondo lui lo stava sorvegliando, la madre si arrabbiò e lui iniziò a vederla come nemica. Secondo i legali, Stein-Erik avrebbe incontrato ‘Bobby’ nel peggior momento possibile, subito dopo il lancio della versione 4o, “disegnata per essere emotivamente espressiva e servile”. Si legge nella causa: “Per battere Google sul mercato anche di un solo giorno, OpenAi compresse mesi di test di sicurezza in una sola settimana, contro le obiezioni del suo stesso team”. Non è noto cosa ChatGPT gli abbia detto nei giorni immediatamente precedenti l’omicidio, perché — secondo la causa — OpenAI si sarebbe rifiutata di consegnare quelle conversazioni. OpenAI ha definito la vicenda “devastante”: “Continuiamo a migliorare il modo in cui ChatGPT riconosce segni di disagio emotivo, de-escalare le conversazioni e indirizzare le persone verso supporto reale”, le parole di un portavoce. L'articolo “Costruì le allucinazioni dell’uomo, un inferno in cui una stampante rumorosa poteva indicare che sua madre era un nemico. Finì per ammazzare lei e suicidarsi”: ChatGPT finisce in tribunale per omicidio colposo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Mia cugina Emanuela Orlandi? Siamo stati richiamati tutti dal Pm che vuole ricostruire la vicenda. Ecco cosa contengono le videocassette perquisite a casa nostra”: a ‘Chi l’ha visto’ parla il figlio di Mario Meneguzzi
Il cugino di Emanuela Orlandi Pietro Meneguzzi ha rilasciato ieri un’intervista per il programma Rai Chi l’ha Visto, che è tornato sul mistero della scomparsa della cittadina vaticana. Pietro è il figlio di Mario Meneguzzi, su cui negli ultimi giorni si è focalizzata l’attenzione del giornalista Massimo Giletti che ha condotto un’inchiesta che ha riacceso il focus sullo zio di Emanuela e sulla pista per cui all’epoca gli inquirenti si erano focalizzati su di lui. “Questa pista riproposta dopo che era stata accantonata, rilanciata senza nessun nuovo elemento di indagine e nessun fondamento e un po’ gli Orlandi da vittime in un soffio diventano carnefici. Natalina (la sorella maggiore di Emanuela, ndr) è stata assaltata dalle telecamere sotto casa”, ha sottolineato la conduttrice del programma Federica Sciarelli. I SOSPETTI SU ZIO MARIO Il nome di Mario Meneguzzi, lo ricordiamo, è riemerso dai faldoni del tempo dopo che nel 2023, durante il Tg La7, Enrico Mentana diffuse la notizia di una confessione che nel 1978 Natalina Orlandi fece al suo padre spirituale, un sacerdote sudamericano al quale confessò si essere turbata per delle attenzioni particolari da parte del marito della sorella di suo padre, Lucia Orlandi. “Mio zio mi fece delle semplici anavces verbali e finirono lì”, ha chiarito poi la donna in conferenza stampa. Per questo episodio l’uomo fu indagato all’epoca dagli inquirenti e tutti i sospetti presto caddero. Le famiglie Meneguzzi e Orlandi tuttavia sono rimaste molto legate, questa storia non ha scalfito la loro unione come confermano Pietro Orlandi e Pietro Meneguzzi a Chi l’ha visto. LE PAROLE DI MENEGUZZI “Come succede per tutti i casi di scomparsa, si indaga anche tra i familiari ma all’epoca accertarono che non c’era nessun orco in famiglia. Mio padre è deceduto nel luglio del 2009. Oggi avrebbe avuto 93 anni e credo che se fosse vivo non sarebbe neanche uscita questa cosa. Si tratta di un vecchio sospetto – ha spiegato il figlio – accantonato. Furono delle avances verbali e niente di più come ha detto nel 2023 Natalina in conferenza stampa. Sono sempre le stesse storie che tirano fuori per allontanare dalla verità, quella vera ma noi siamo ancora qui. Comunque è giusto che dopo 42 anni la Procura è giusto riparta da zero e indaghi di nuovo su tutte le piste. Siamo stati richiamati tutti dal Pm che vuole ricostruire la vicenda”. LA PERQUISIZIONE Nei giorni scorsi, il programma “Lo stato delle cose” condotto dal giornalista Massimo Giletti ha diffuso un servizio in cui si parlava di una perquisizione recente della Polizia a casa dei Meneguzzi. Questa perquisizione risale all’aprile del 2024. “La Polizia Giudiziaria ha perquisito la casa a Roma dove mia madre vive in affitto e che non è più quella dove vivevamo nel 1983, adesso abitata da mia sorella Monica”, ha spiegato Meneguzzi. “Ha preso delle micro casette audio e dei timbri, era tutto in cantina”. Alcune di queste cassette non sono state mai utilizzate, altre erano state utilizzate per registrare. Sono state analizzate e sottoposte ad accertamenti dei Ris “Ma non contengono nulla di importante – ha specificato Meneguzzi –. Poi hanno chiesto di perquisire altre case: quella in montagna attuale a Spedino e quella di famiglia a Roma ormai di mia sorella”. Lì le forze di Polizia hanno trovato solo dei Vhs analizzati e verbalizzati e che contengono: un concerto dei Backstreet Boys, una puntata del programma Telefono Giallo, una puntata di “Sei forte maestro”, il matrimonio di Monica Meneguzzi e tutta la famiglia al mare. “Voglio dirvelo per anticipare lo scoop del secolo di chi non vuol fare cronaca e vuol fare altro”, ha concluso Meneguzzi figlio, evidentemente turbato dal riemergere di una vecchia vicenda ormai dimenticata. L’IDENTIKIT Negli ultimi tempi la foto di Mario Meneguzzi è stata confrontata (perché indicata come somigliante) all’identikit dell’uomo che davanti al Senato quel giorno, il 22 giugno del 1983, fece una strana proposta di lavoro a Emanuela Orlandi: distribuire volantini per l’Avon per 375mila lire, una cifra considerevole per i tempi. Quell’offerta fu in realtà la trappola messa in atto per attuare il sequestro della ragazza all’uscita della scuola di musica nella Basilica di Sant’Apollinare. E questo evento è l’unica e ultima certezza sulla sua scomparsa perché la ragazza ne parlò al telefono alla sorella Federica, a cui telefonò dalla scuola di musica, poco prima di sparire per sempre. “Emanuela disse a Federica: un uomo mi ha fermato non mio zio mi ha fermato, lo avrebbe riconosciuto”, fa notare Pietro Orlandi rispondendo a chi in tempi recenti ha evidenziato la somiglianza tra Mario Meneguzzi e l’uomo misterioso. L’ALIBI DI MENEGUZZI Quel giorno Mario Meneguzzi era con la moglie Lucia, la figlia Monica e la cognata Anna Orlandi a Torano, località di montagna dove trascorrevano le vacanze. Il suo alibi venne evidentemente accertato da chi condusse le indagini all’epoca. Racconta il figlio: “Ero a casa con la mia fidanzata dell’epoca, stavamo festeggiando il suo compleanno. Alle dieci chiama zio Ercole e mi dice: Emanuela non è tornata a casa, mio padre era in montagna a Torano. Mio padre lascia tutto e scappa a Roma. Entrambi ci trasferiamo a casa di Emanuela. “Mio zio dormiva in camera con mio padre, vicino al telefono. Prendeva lui le chiamate perché mio padre come me era completamente perso. Da quel 22 giugno dice Pietro Orlandi non so cosa sarebbe accaduto se non ci fossero stati loro. Mio cugino Pietro per me è stata ed è ancora la persona più vicina”, ci ha tenuto a sottolineare Pietro Orlandi. L'articolo “Mia cugina Emanuela Orlandi? Siamo stati richiamati tutti dal Pm che vuole ricostruire la vicenda. Ecco cosa contengono le videocassette perquisite a casa nostra”: a ‘Chi l’ha visto’ parla il figlio di Mario Meneguzzi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Lascia sola la fidanzata a 3.798 metri, lei muore assiderata. Ora arriva l’accusa di omicidio colposo: gli errori cruciali commessi dall’uomo
Si trovavano a soli 50 metri della vetta del Grossglockner, in Austria. Thomas Plamberger e Kerstin Gurtner stavano scalando quando lei, a pochi passi dai 3.798 metri, si è senta male e ha cominciato ad accusare stanchezza e disorientamento com’è tipico nei malori in alta quota. I fatti risalgono allo scorso 19 gennaio quando – secondo la procura di Innsbruck – Plamberger decise di lasciare sola la fidanzata, intorno alle 2 del mattino, per provare a scendere al più vicino rifugio e trovare aiuto. Tornò sei ore dopo, trovando Gurtner, 33 anni, è morta congelata da sola sulla montagna. Le temperature erano di -8 °C con venti fino a 45 mph, che portavano la temperatura percepita a circa -20 °C. I procuratori hanno condotto un’indagine durata 11 mesi, analizzando i telefoni della coppia, gli orologi sportivi, le fotografie della salita e commissionando anche una perizia indipendente a un esperto di alpinismo. Dopo nove mesi di indagini, Plamberg è stato formalmente accusato di omicidio colposo perché ci sono errori cruciali che avrebbe commesso e che, se evitati, avrennero salvato la fidanzata: dalla cattiva pianificazione dell’impresa, al mancato contatto con i soccorsi e la polizia. Plamberger ha negato ogni responsabilità. Il suo avvocato aveva già contestato parte della ricostruzione temporale fatta dalla procura, affermando che l’uomo avrebbe lasciato Gurtner “di comune accordo”. Secondo la procura, la coppia era partita troppo tardi la mattina del 18 gennaio: due ore di ritardo che sembrano poche ma che, per raggiungere una vetta complessa come il Grossglockner, fanno molta differenza. La tempesta li avrebbe bloccati intorno alle 20:50 e i magistrati sostengono che Plamberger non abbia tentato di chiamare aiuto né di inviare segnali di emergenza a un elicottero della polizia che sorvolò la loro posizione alle 22:50. Non solo, l’uomo avrebbe ignorato le chiamate della polizia, prima di rispondere a un agente intorno alle 00:35 ma con una telefonata dal contenuto “poco chiaro”. Poi, Plamberger avrebbe messo il telefono in modalità silenziosa. Sulle carte si legge: “Intorno alle 2 del mattino, l’imputato ha lasciato la fidanzata senza protezione, esausta, in ipotermia e disorientata a circa 50 metri dalla croce di vetta del Grossglockner. La donna è morta congelata. Dato che l’imputato, a differenza della fidanzata, era molto esperto di tour alpini ad alta quota e aveva pianificato l’escursione, doveva essere considerato la guida responsabile della salita”. Non solo, sempre secondo la poliziam Plamberger avrebbe permesso alla fidanzata di affrontare la salita con uno splitboard — uno snowboard divisibile in due parti da usare come sci — e con morbidi scarponi da snowboard, attrezzatura ritenuta inadatta al percorso invernale d’alta quota. Avrebbe inoltre omesso di spostarla in una zona riparata dal vento o di lasciarle il sacco da bivacco o le coperte termiche in alluminio, prima di allontanarsi. L'articolo Lascia sola la fidanzata a 3.798 metri, lei muore assiderata. Ora arriva l’accusa di omicidio colposo: gli errori cruciali commessi dall’uomo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Massimo Giletti è stato aggredito e colpito con un pugno da un ex esponente dei servizi segret mentre tentava di intervistarlo sul caso Emanuela Orlandi
Massimo Giletti è stato aggredito in centro a Roma mentre stava rivolgendo delle domande a un uomo che prima gli ha rilasciato un’intervista e poi lo ha colpito con un pugno, rifiutando di rispondere ad ulteriori domande sul caso della scomparsa di Emanuela Orlandi. L’AGGRESSIONE Il giornalista stava lavorando a un servizio sul mistero della scomparsa della cittadina vaticana avvenuta nel 1983, per il programma in onda su Rai 3 ‘Lo stato delle cose’, per cui il conduttore ha scelto di seguire la cosiddetta pista familiare che vede al centro lo zio di Emanuela Mario Meneguzzi, scomparso da diversi anni. La persona inseguita da Giletti, lo dice lo stesso giornalista, è un ex agente dei servizi segreti che aveva fatto parte del Sisde: lo stesso ascoltato giovedì scorso dalla commissione parlamentare di inchiesta dopo che proprio ‘Lo stato delle cose’ aveva ricostruito che Mario Meneguzzi, zio di Emanuela Orlandi, era stato avvertito del fatto che gli stessi Servizi all’epoca lo stessero pedinando (fonte: Rainews). Del resto, è già noto che l’uomo fosse stato attenzionato dagli inquirenti ma i sospetti contro di lui caddero presto perché non vennero riscontrati elementi di prova sul suo coinvolgimento nella scomparsa della ragazza avvenuta il 22 giugno del 1983. E il suo alibi – quel giorno era a 200 chilometri da Roma insieme alla moglie Lucia, alla figlia Monica e alla cognata Anna Orlandi – venne, evidentemente, riscontrato da chi indagò all’epoca. “Ma fu fatto molto poco”, ha dichiarato ieri Giletti in trasmissione. Secondo quanto riporta Rainews, la soffiata a Meneguzzi all’epoca sul fatto che lo stessero pedinando, sarebbe arrivata “da una persona legata ai servizi segreti: Giulio Gangi, oggi deceduto, che lavorava in coppia proprio con l’uomo coinvolto nell’episodio”. Lo stesso Gangi sin da subito si mise sulle tracce della Vatican Girl, e a quanto pare conosceva i cugini di Emanuela tra cui il figlio di Mario Meneguzzi, Pietro. “Gangi lo conoscevo, lavoravamo al Sisde” ha dichiarato l’ex agente che ieri ha colpito Giletti (prima di aggredirlo) ma l’uomo ha anche negato di conoscere le motivazioni per cui Meneguzzi sarebbe stato all’epoca avvisato del pedinamento nei suoi confronti. L’uomo ha negato di aver avvisato Gangi: “Se uno è corrotto non significa che lo sono tutti. Non so se e perché lo abbiano avvisato”, ha dichiarato a Giletti. “I servizi avvisarono lo zio di Emanuela che era pedinato e chiamò qualcuno dei Servizi per chiedergli chi lo seguisse”, ha dichiarato ieri in tivù Giletti. “MI HA COLPITO UNA SECONDA VOLTA MANDANDOMI PER STRADA” “Chi è il soggetto in questione? È un ex dei servizi segreti, che ha fatto anche la legione straniera e credo sia stato anche tra i paracadutisti. Giovedì scorso, quando è stato ascoltato e interrogato da Andrea De Priamo, presidente della commissione Orlandi – spiega Giletti all’ANSA – ho provato a intervistarlo sulla vicenda. Sto seguendo infatti una pista che non è stata mai approfondita: il coinvolgimento dello zio Mario Meneguzzi nel rapimento di Emanuela Orlandi. Nel momento in cui l’ho incalzato per quattro, cinque minuti, chiedendogli come mai i servizi segreti avessero avvertito lo zio di Emanuela del fatto che era pedinato dalla polizia, ha perso la testa, si è girato e mi ha colpito come un pugno. Io, che sono alto e vaccinato, sono nato in strada e ho fatto parecchie battaglie da ragazzino, non mi sono spaventato e ho insistito. Quello che manca purtroppo nel filmato è una seconda parte, in cui mi ha colpito di nuovo violentemente mandandomi in mezzo alla strada: purtroppo ha colpito anche il telefono che è andato in tilt”. E infine “denunciare? Come diceva Minoli, sono un giornalista di strada, e i giornalisti di strada sanno quello che succede quando fai domande scomode: il primo a colpirmi, vado a memoria, fu Umberto Bossi, parliamo del 1992-1993, gli anni di Mixer. Quando fai domande scomode, anche i politici perdono la testa. Io volevo querelare, Minoli mi disse: uno come te prende e incassa”, IL SERVIZIO La scorsa settimana, “Lo Stato delle cose” aveva diffuso la notizia della perquisizione da parte dei Carabinieri della casa di Mario Meneguzzi in località Torano, a Spedino, (la stessa in cui si trovava il giorno in cui venne rapita sua nipote). Tale perquisizione è avvenuta nel 2024, dopo che la figura di Meneguzzi era stata nuovamente tirata in ballo da Enrico Mentana durante il Tg La7. In quel servizio venne mostrata una lettera all’allora segretario di Stato del Vaticano di un sacerdote sudamericano, padre spirituale della sorella di Emanuela, Natalina Orlandi che aveva confessato al prete di aver ricevuto delle “semplici avances verbali da parte di mio zio che però caddero lì” (ha precisato poi in conferenza stampa, nel 2023, la donna). Per questo motivo, “Zio Mario” venne indagato all’epoca dei fatti ma la sua posizione fu presto archiviata con un nulla di fatto. Ieri, Giletti ha parlato di una nuova perquisizione avvenuta in un altro appartamento, mostrando nuovamente i documenti della Procura che risalgono ai giorni della scomparsa da cui si legge che anche il fidanzato di Natalina all’epoca disse ai Carabinieri delle avances ricevute. In quell’occasione, Natalina confermò alle forze dell’ordine i fatti (avvenuti nel ’78, cinque anni prima, ndr) ribadendo il suo imbarazzo per gli atteggiamenti di suo zio “a cui risposi sempre negativamente”: così disse al sostituto procuratore Domenico Sica che era a capo delle indagini. LA SMENTITA DELLA FAMIGLIA “Siamo stati tutti quanti pedinati, mi sembra che cascate dal pero. Siamo stati controllati tutti, sia gli Orlandi che noi Meguzzi, è stato scritto dappertutto. Gli inquirenti giustamente all’inizio hanno voluto verificare che in famiglia non ci fosse qualche problema ma non ci hanno ancora arrestati. Siamo qui dopo 42 anni e siamo tranquilli” ha detto ieri Giorgio Meneguzzi, figlio di Mario, all’inviata de Lo Stato delle cose. “Sugli inseguimenti non furono i Servizi che avvisarono mio zio ma il contrario – ha spiegato ieri Pietro Orlandi con un messaggio sui social –, mio zio si sentiva seguito, avvisò Gangi perché aveva paura e non sapeva chi fossero. Gangi disse: prendi la targa, gli lesse la targa e dopo un po’ gli dissero, di stare tranquillo perché era una loro auto. Comunque Giletti inventa date, fa passare che siano indagini attuali evitando di dire che ci furono indagini approfondite e chiuse perché non fu provato nulla”. L'articolo Massimo Giletti è stato aggredito e colpito con un pugno da un ex esponente dei servizi segret mentre tentava di intervistarlo sul caso Emanuela Orlandi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Chiara Poggi era innamoratissima di Stasi, ma Alberto le mentiva. Una volta l’abbiamo seguito e l’abbiamo visto andare verso l’autostrada”: le rivelazioni di Oggi
“Chiara era innamoratissima del suo fidanzato”. “Alberto mentiva a Chiara”. È un ritratto in chiaroscuro quello che emerge dalle testimonianze dell’epoca del delitto di Garlasco, messe assieme dal settimanale Oggi, che ha deciso di passare in rassegna le parole di parenti, amici, vicini, colleghi e conoscenti di Chiara Poggi – morta il 13 agosto del 2007 – e di Alberto Stasi, condannato a 16 anni per il suo omicidio. L’obiettivo? “Sapere chi fosse Chiara, come vivesse, cosa notasse o avesse a cuore, cosa l’avrebbe scandalizzata, colpita, messa in allarme, e cosa no”, spiega la giornalista Paola Manciagli, che ha provato ad analizzare nel dettaglio il rapporto tra i due fidanzati e alcuni aspetti controversi della loro storia. DELITTO DI GARLASCO, IL “RITRATTO INEDITO” DI CHIARA E ALBERTO Dalle testimonianze dell’epoca, si scopre qualcosa in più su Chiara Poggi e Alberto Stasi. A cominciare dal carattere della ragazza, descritta come “dolce” ma al tempo stesso sapeva “essere aggressiva se stuzzicata in aspetti che la interessavano”. Lo racconta una vicina di casa, all’epoca poco più che adolescente: “Ad esempio, ricordo una volta che entrando a casa mia vide un pacchetto di sigarette e subito mi disse se i miei lo sapevano altrimenti avrebbe provveduto lei. Ricordo testualmente che disse ‘Se non la smetti lo dico a tuo padre’. Non aveva paura di affrontare di petto gli argomenti scomodi e anche di manifestare la sua opinione andando dritta al punto”. Di Stasi invece si scopre che era “un maniaco della pulizia”, come riferì un’amica: “‘Infatti la riprendeva quando per cucinare sporcava qualcosa o metteva in disordine. Lui immediatamente puliva e rimetteva in ordine’. Per accontentare il ragazzo, cercava anche di essere più disinibita di quanto non le sarebbe venuto spontaneo: lo testimonia lo stesso Alberto”. LE LITI TRA I DUE FIDANZATI E LE BUGIE DI STASI Uno dei passaggi della ricostruzione di Oggi riguarda poi le voci che giravano a Garlasco secondo le quali Stasi a volte mentiva a Chiara, alla quale diceva di dover restare a casa a studiare e “invece se ne andava chissà dove”. Alcune persone durante le indagini raccontarono alcuni fatti accaduti nella primavera del 2007 e anche l’anno prima: “Una volta l’abbiamo seguito e l’abbiamo visto andare verso l’autostrada”. Chiara era venuta a sapere di queste voci e “si era irritata”, ma in seguito aveva raccontato loro “‘di aver chiesto ad Alberto dove fosse andato’, comunicandogli che era stato visto in giro; ma lui le aveva risposto che c’era stato per forza uno sbaglio, ‘che era impossibile in quanto era a casa a studiare’, e pare ci fossero state discussioni. Tanto che, continuano i testimoni, a un certo punto avevano smesso di riferire a Chiara questi avvistamenti perché ‘serviva solo a farli litigare’”. Stasi invece raccontò che tra di loro non c’erano mai stati litigi, una versione confermata dalla “gran parte di conoscenti e familiari di entrambi”. “Gli unici motivi di discussione erano legati al fatto che io a volte non l’accompagnavo a fare shopping perché dovevo studiare ma poi passava tutto. Io non ero geloso; Chiara un pochino cioè Chiara diceva che io ero un po’ troppo estroverso”. LA POGGI “INNAMORATISSIMA” DI STASI Sempre dal ritratto di Oggi, emergono altri dettagli sul rapporto tra i due. I colleghi di Chiara Poggi, ad esempio, raccontarono che lei era “era innamoratissima del suo fidanzato Alberto”. “La ragazza parlava poco di sé, ma emergeva chiaramente questo “forte legame con il suo fidanzato, infatti lo aiutava negli studi, gli preparava ricerche utili per gli esami universitari”. Nonostante rimarcasse il fatto che Stasi le dedicava poco tempo perché impegnato negli studi, specialmente in periodo d’esame, la Poggi “gli stava vicino in ogni modo, anche cercando di fargli superare lo scoglio di quella laurea alla Bocconi (lei si era laureata a Pavia con il massimo dei voti)”. Poi però emerge un’altra incongruenza, quando si parla della vacanza studio di Alberto Stasi in un college a Londra: “Chiara raccontava a tutti con entusiasmo che l’avrebbe raggiunto per un fine settimana. I ragazzi della piccola Garlasco si erano stupiti quando avevano saputo che Alberto non era ‘neanche’ andato a prenderla all’aeroporto. Ma Chiara, agli occhi di tutti, era tornata felice da Londra, e piena di progetti per quei giorni assieme che stavano per iniziare. La sua vita sarebbe finita di lì a poco”. L'articolo “Chiara Poggi era innamoratissima di Stasi, ma Alberto le mentiva. Una volta l’abbiamo seguito e l’abbiamo visto andare verso l’autostrada”: le rivelazioni di Oggi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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