Oggi esce, per i tipi di Nottetempo, un libro molto interessante, che affronta
in modo particolarmente originale una delle più grandi icone della cultura
popolare del Novecento: Desiderare Bowie, di Massimo Palma. Tra meno di due
mesi, il prossimo 10 gennaio, scoccherà il decennale dalla scomparsa del geniale
artista inglese, o meglio dalla notizia della scomparsa: un anniversario che fa
venire i brividi a chi, come il sottoscritto, ha dedicato molto tempo in
riflessioni, approfondimenti, omaggi e iniziative culturali alla memoria del
Duca Bianco.
Consentitemi il vezzo di autocitarmi, ma credo sia significativo, in prossimità
di tale ricorrenza, osservare come riscriverei esattamente questa riflessione,
tratta da un a articolo scritto a caldo, su Repubblica-XL, appena appresa la
notizia della morte, diramata tre giorni dopo la pubblicazione del commovente
video Lazarus: “Con un doppio ribaltamento, Bowie fisicamente è morto tre giorni
dopo la sua Resurrezione: ma essa era già avvenuta sul piano artistico,
consegnandolo per sempre all’immortalità (…) Il cerchio è chiuso, L’Opera è
compiuta”.
Non sono stato certo l’unico a meditare ossessivamente sulla morte dell’artista:
in questi, ormai, dieci anni si sono accumulate diverse pubblicazioni (spesso
interessanti, talvolta meno, in alcuni casi pressoché inutili) pensate per
esplorare, analizzare, sviscerare ogni aspetto dell’opus, della carriera e della
figura di Bowie.
C’era bisogno di un altro libro? Di questo sì.
La caratteristica distintiva dei libri di Massimo Palma è quella di prendere di
petto temi enormi con un approccio spiazzante, laterale, paradossale, fondando
le sue riflessioni su accostamenti apparentemente peregrini ma che, al termine
dei suoi complessi viaggi concettuali, lasciano sempre il lettore arricchito da
una prospettiva nuova, inattesa, sicuramente originale. Così è stato per il suo
libro, forse, più famoso, Happy Diaz, per Castelvecchi del 2015, che ricostruiva
i tragici giorni di Genova 2001, raccontando il tutto attraverso le canzoni dei
gruppi di Manchester e i personaggi di un romanzo di Chesterton: ma vale anche
per Olanda, 1945. Anne Frank e i Neutral Milk Hotel (sempre Nottetempo, 2023),
in cui un disco-feticcio della musica cosiddetta “indie” diventa strumento di
profonda riflessione sulla Shoah o per il precedente Nico e le maree
(Castelvecchi, 2019) sulla fascinosa e drammatica parabola della cantante (non
solo) dei Velvet Underground.
Desiderare Bowie è un libro che capovolge la lettura convenzionale di un
personaggio così imponente, e non convenzionale, fin dalla bella copertina di
Marta Signori: l’algida figura dell’aristocratico Duca Bianco, immortalato nel
bianco e nero del suo look e dell’immaginario d’antan, è riproposto in una
cangiante colorazione fluo.
Palma nei diversi capitoli del libro enuclea alcune, delle mille possibili,
chiavi di lettura per “rileggere” e comprendere Bowie: l’estetica queer e il
camp come linguaggi emancipatori, perfetti per fornire a una figura sfuggente e
mercuriale la propria contraddittoria “identità”; le migrazioni, non solo
esteriori, l’essere alieno come condizione ontologica; l’America come spazio
schizofrenico di euforia cocainomane e abisso psichico; la seduzione per
l’esoterismo fascistoide come seducente e fuorviante immaginario scenografico;
la cultura digitale come ulteriore possibilità di amplificazione, e
dissolvimento, dell’io; la follia “come trama di paura e desiderio”; Bowie come
costante interprete, “attore” di se stesso, di maschere prese in prestito da
altri, ma magnificamente reinterpretate come sue (pensiamo ai rapporti diversi
con i modelli di Lou Reed, Iggy Pop, Andy Warhol e Buster Keaton, John Lennon e
Bob Dylan, fin dal mentore dei primi anni, il mimo Lindsay Kemp): probabilmente
la riflessione più stimolante è quella su Bowie come “operatore
dell’Apocalisse”, creatore d’una sorta di effetto katechon per via inversa, “un
apocalittico perfettamente integrato” che scongiura e “controlla” il panico
sociale nel costante annuncio della fine.
Un libro pieno di spunti fecondi, intuizioni illuminanti, accostamenti turbinosi
in grado (e non è facile) di dire ancora qualcosa di nuovo e profondamente
sensato su una delle icone più venerate e dibattute degli ultimi anni: “un
alieno che a un certo punto ha smesso di guardare le stelle”. Un libro che ci
invita a “voltarci e affrontare ciò che è diverso”, come nella canzone manifesto
dell’artista, ma con uno sguardo stavolta ancora più diverso.
L'articolo Desiderare Bowie: una nuova prospettiva sull’icona pop a dieci anni
dalla scomparsa proviene da Il Fatto Quotidiano.