Se cercavate un modo rapido per trasformare il carrello della spesa in una
roulette, eccolo: stipendi reali giù, credito al consumo di nuovo su. L’arte
italiana dell’arrangiarsi si aggiorna: non potendo far crescere i salari più
dell’inflazione, proviamo a far crescere… le rate. Geniale. Finché non arrivano
gli interessi a bussare alla porta con la delicatezza di un esattore medievale.
I numeri sono poco romantici. L’OCSE ha fotografato la nostra corsa sul tapis
roulant: avanziamo, ma il nastro scorre più veloce. Dopo il picco dei prezzi, in
tanti Paesi i salari reali hanno ricominciato a respirare, ma in Italia il
recupero è lento e la perdita cumulata dal 2021 resta pesante (riduzione del
7,5%). La stessa OCSE indica che gli aumenti nominali qui sono stati tra i più
mosci dell’area avanzata e solo di recente, con l’inflazione in raffreddamento,
promettono “modesti” recuperi: tradotto, non siamo tornati dove eravamo prima
della fiammata.
Nel frattempo, un’altra curva riprende quota: i prestiti. L’ABI segnala che gli
impieghi a famiglie sono tornati a crescere e che i tassi, pur scesi dai
massimi, restano tutt’altro che simbolici. Non sono regali, ma abbastanza per
convincere chi è in apnea di liquidità a prendere fiato con il tubo dell’aria
bancaria.
Ecco il paradosso: con salari che arrancano, la rata sembra la scorciatoia per
difendere il tenore di vita. Ma a livello macro è benzina sul fuoco del potere
d’acquisto che già brucia. Perché l’indebitamento familiare funziona come una
tassa differita: oggi compri, domani paghi più interessi. Se i redditi reali non
recuperano abbastanza, il servizio del debito diventa una morsa che stringe ogni
mese la spesa corrente. È l’anti-moltiplicatore: meno margine per consumi
futuri, meno risparmio, più vulnerabilità ai nuovi shock dei prezzi. E no, un
tasso “al tre e qualcosa” non è gratis.
Qualcuno dirà: “Ma i salari hanno ripreso un po’ di ossigeno nel 2024”. Giusto,
peccato che una parte del vantaggio si sia persa nella giungla di imposte e
contributi. Il risultato netto in busta non ha il passo del comunicato stampa, e
la sensazione nelle famiglie resta quella di rincorrere la fine del mese con la
lingua di fuori.
Il rischio, allora, è il classico italiano: privatizzare l’aggiustamento macro.
Le statistiche migliorano un pochino, il deficit si restringe, i tassi calano di
qualche decimale, e ci raccontiamo che è tutto a posto. In realtà, senza un
serio recupero dei salari reali—cioè più produttività, contratti che arrivano in
tempo e meno rendite a drenare valore—l’aumento del credito alle famiglie
diventa l’ombrello bucato: ti illude finché non piove davvero.
Cosa fare per non trasformare la rata in una trappola? Prima di firmare, fate in
casa uno “stress test” della rata aggiungendo almeno 1–1,5 punti al tasso
ipotizzato e verificate se il bilancio regge ancora. Sul credito al consumo
preferite durate brevi o rinegoziate se il TAEG è figlio dell’era dei tassi
alti, perché conta il costo totale, non la rata “comoda”. Costruite un
cuscinetto di liquidità equivalente ad almeno tre–sei mesi di spese vive prima
di moltiplicare le rate, è il vero anti-inflazione quando i salari non
recuperano.
La verità è semplice: il credito è uno strumento, non un sostituto del salario.
Se lo usiamo per tappare i buchi di redditi troppo leggeri, avremo case piene di
elettrodomestici a rate e frigoriferi sempre più vuoti. La scorciatoia
dell’indebitamento, con stipendi reali in ritardo, porta dritto a un potere
d’acquisto ancora più debole domani. E a banche più ricche.
L'articolo Più poveri, ma con la rata in tasca. Così il credito alle famiglie
rischia di finire l’opera iniziata dall’inflazione proviene da Il Fatto
Quotidiano.