I jet da combattimento F-35 venduti ai sauditi. Ma non subito. L’annuncio fatto
dal presidente Trump in occasione della visita del principe ereditario bin
Salman avrà i suoi effetti commerciali; ma dal punto di vista tecnico e
militare, ci vorranno le modifiche necessarie ai caccia prima di consegnarli a
Ryad.
In altre parole, l’Arabia Saudita rispetto al potenziale della macchina da
guerra dovrebbe rimanere inferiore agli Stati Uniti e, soprattutto a Israele
secondo quello che si chiama “vantaggio militare qualitativo”. La precisazione è
arrivata dai funzionari americani in base ai timori dello Stato ebraico; Tel
Aviv vuole sì normalizzare i rapporti con i vicini arabi attraverso gli accordi
di Abramo, ma non vuole ritrovarsi in inferiorità tecnologica e militare, visto
che quella numerica apparirebbe scontata dinanzi a una coalizione ostile.
Dal punto di vista legale, una legge assicura agli Stati Uniti di mantenere i
jet più sofisticati rispetto a quelli venduti ai vari acquirenti, ma Israele ha
permessi speciali per aggiornare gli armamenti e i radar dei caccia, senza dover
chiedere permesso a Washington. Nonostante ciò, quando il presidente Trump ha
annunciato la vendita degli F-35 a Ryad, da Israele si sono levati mugugni
legati al timore di perdere la superiorità aerea nella regione. Ma gli americani
hanno dato rassicurazioni: come riporta Reuters, Douglas Birkey, direttore
esecutivo del Mitchell Institute for Aerospace Studies ha escluso che gli aerei
in vendita ai sauditi potranno avere il missile tattico Aim-60 JATM, arma
aria-aria dedicata ai jet di quinta generazione con una gittata di 190
chilometri.
Ci sono poi i sistemi-radar, per cui gli F-35 dedicati a Ryad monterebbero dei
software meno aggiornati. Infine, c’è lo scoglio del Congresso, che deve
approvare questa transazione con il Paese arabo. Appare improbabile che le due
Camere possano raggiungere una maggioranza di due terzi per superare il decreto
presidenziale, ma tutto può accadere. Dunque, Ryad avrà i suoi F-35, ma ci vorrà
tempo: al principe bin Salman sono stati promessi due squadroni – dai 12 ai 24
jet – ma Israele ne ha già due operativi ed è pronta ad ottenerne un terzo.
Inoltre, l’aviazione israeliana utilizza gli F-35 da otto anni, ed ha un
vantaggio in termine di esperienza.
Tuttavia, Tel Aviv è preoccupata e non lo nasconde. La portavoce del governo
israeliano, Shosh Bedrosian ha ribadito: “Stati Uniti ed Israele hanno un’intesa
di lunga data, secondo cui Israele mantiene il vantaggio qualitativo in termini
di difesa”. C’è poi un altro aspetto da non trascurare, ed è l’ombra della Cina.
Durante il primo mandato, Trump aveva intenzione di vendere gli F-35 agli
Emirati, e quest’ultimi divennero il primo Stato arabo a normalizzare in 26 anni
i rapporti con Israele. Ma la vendita con il presidente Joe Biden si arenò a
causa dei rapporti sempre più stretti dal punto di vista militare tra Emirati e
Cina, perchè Washington temeva che i segreti del suo caccia potessero essere
esplorati dal Dragone. Dal canto suo, Abu Dhabi rifiutò le restrizioni operative
che voleva imporre la Casa Bianca. Anni dopo, Trump ci riprova, stavolta con
l’Arabia Saudita: gli affari sono affari. A Gerusalemme, non sono pochi i
malumori verso il premier Netanyahu. La Cnn ha citato l’ex generale Gadi
Eisenkot, molto stimato nel suo Paese sia dal punto di vista politico – ha fatto
parte dell’opposizione al governo di King Bibi – che sul piano militare.
Eisenkot ha criticato l’accordo prendendosela con il primo ministro: “Netanyahu
ha perso la capacità di difendere gli interessi nazionali di Israele”.
L'articolo Il senso di Trump per gli affari con gli F-35: vendere i caccia
all’Arabia saudita ma non scontentare Israele proviene da Il Fatto Quotidiano.