Una microcamera nascosta nello spogliatoio femminile usato dalle lavoratrici di
una casa di riposo. Ad accorgersene è stata proprio un’addetta in servizio
presso la struttura di Sacrofano, vicino Roma, con comprensibile turbamento. Il
titolare ha ammesso davanti ai carabinieri di averla posizionata personalmente,
aggiungendo però di averlo fatto solo per perseguire presunti furti segnalati da
alcune dipendenti. Ora l’imprenditore è accusato di interferenze illecite nella
vita privata. Inoltre, contro l’azienda è stato presentato anche un ricorso per
discriminazione di genere al Giudice del lavoro.
Insomma, sulla vicenda dovrà portare chiarezza la magistratura sia penale sia
civile. Il residence è il Mary Rose, nel comune vicino alla Capitale. L’episodio
è avvenuto nella primavera del 2024, ma le indagini della Procura di Tivoli si
sono chiuse a giugno. Abbiamo quindi due procedimenti paralleli. Secondo la
ricostruzione contenuta nel ricorso al Giudice del lavoro, il 27 marzo dello
scorso anno la lavoratrice si trovava in questo “locale bagno” in cui sono
“ubicati anche gli armadietti” e, una volta cambiata per indossare la divisa da
lavoro, si è accorta di un rumore strano. Dal dispensatore di fazzoletti era
infatti caduta una microcamera. “Il posizionamento della microcamera consentiva
di riprendere lo spazio prospiciente nel quale si svolgeva l’attività di
vestizione e svestizione, era posizionata la doccia e i sanitari usati dal
personale femminile”, scrivono nell’atto gli avvocati Carlo de Marchis e Silvia
Conti, legali dell’associazione Anlod, che si occupa di lotta alle
discriminazioni.
A quel punto, sempre secondo il riepilogo fornito dal ricorso, sarebbe arrivato
il titolare della struttura che avrebbe chiesto di poter entrare in bagno
dicendo che “è caduto qualcosa”. La lavoratrice, evidentemente contrariata, ha
poi inviato una diffida e l’impresa ha risposto scaricando la responsabilità
dell’accaduto su un’altra lavoratrice. In pratica, in un primo momento, un’altra
dipendente della casa di riposo si è dovuta assumere la responsabilità di aver
messo la videocamera. Sapendo che questo non era vero, la donna che ha trovato
la microcamera ha quindi presentato una denuncia (si è poi dimessa ad agosto
2025). Durante le indagini della polizia giudiziaria, l’addetta inizialmente
incolpata ha preso le distanze dalla vicenda, spiegando anche ai carabinieri di
non avere nemmeno subito furti. In pratica, sembra che l’imprenditore avesse
“invitato” la sua dipendente ad assumere la colpa spiegando che, essendo lei una
donna, non ci sarebbero state conseguenze.
Dopo che questa lavoratrice si è discolpata, il titolare della casa di riposo ha
dovuto ammettere di aver posizionato personalmente la microcamera. Sentito anche
lui dai carabinieri, ha detto di aver installato la telecamera a seguito delle
lamentele del personale al quale erano spariti degli oggetti. Ha poi specificato
che l’obiettivo era puntato sulla parte alta degli armadietti con il solo scopo
di scoprire l’identità del ladro. IlFattoQuotidiano.it ha contattato l’azienda
per ulteriori chiarimenti, ottenendo la risposta dell’avvocato Roberto Maiorana,
il quale tiene a specificare che l’imprenditore suo assistito è “una persona
specchiata e inappuntabile, datore di lavoro serio e coscienzioso, che gode
ancora della stima di tutti i suoi dipendenti”. “Nella specifica circostanza –
aggiunge il legale – si è adoperato per venire incontro a una esigenza
rappresentata da alcune lavoratrici e che ogni ipotesi di comportamento
discriminatorio o diretto a porre in essere una molestia sessuale nei confronti
di chiunque sarà presto fugato”.
IlFattoQuotidiano.it ha chiesto se vi sono denunce dei furti negli armadietti e
quali norme permettono a un’azienda di apporre telecamere in uno spogliatoio per
scoprire i responsabili di questi furti. “Non possiamo chiaramente rispondere in
maniera diretta”, ha spiegato l’avvocato aggiungendo che “sarà proprio davanti
al giudice che si accerteranno i fatti”. Nessun commento anche sui motivi per i
quali, in una prima fase, la responsabilità dell’accaduto era finita su un’altra
lavoratrice. L’imprenditore ha presentato in Tribunale anche una memoria
difensiva a suo nome e una a nome dell’azienda. In questi atti, si parla di
videocamere, con risoluzione bassa, che inquadravano “unicamente l’area degli
armadietti, escludendo categoricamente i servizi igienici e qualsiasi altra zona
in cui le lavoratrici avrebbero potuto spogliarsi, nel pieno rispetto della loro
dignità e riservatezza”. Aggiunge che il locale non sarebbe adibito alla
svestizione ma al solo deposito degli effetti personali, anche se la lavoratrice
riferisce il contrario. Singolare infine l’osservazione per cui la difesa
dell’azienda rileva che la lavoratrice “è rimasta incinta circa due mesi dopo i
fatti per cui è causa, fruendo regolarmente di tutto il periodo di astensione
per maternità previsto dalla legge, circostanza che mal si concilia con il grave
stato di turbamento psicologico asseritamente patito”.
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Sacrofano: titolare denunciato proviene da Il Fatto Quotidiano.