Randy Bish, fumettista editoriale che nel 2012 ha vinto il Clarion Award per la
migliore vignetta pubblicata sui media americani, parlando di Kash Patel, il
capo dell’Fbi designato dal presidente Trump, sui social lo scorso giugno
scrisse così: “Patel sembra sempre uno che usa il bidet per la prima volta”. Una
battuta, certo, ma impietosa per uno che partendo da una carriera legale è
diventato responsabile di una delle istituzioni a stelle e strisce divenute
leggendarie a livello internazionale.
In queste ore, su Patel casca un’altra tegola: il quotidiano New York Post
pubblica un dossier – si tratta del National Alliance of Retired and Active Duty
FBI Special Agents and Analysts basato su 24 fonti e sotto-fonti dell’FBI e una
raccolta di annedoti – in cui funzionari federali veterani, sia in servizio che
in pensione, descrivono la struttura come “tutta incasinata” e una “barca alla
deriva”, con il direttore e il suo vice Dan Bongino preoccupati solo di
arricchire il proprio curriculum. Il fatto che sia stato un giornale popolare di
destra – fa parte dell’impero dei media dei Murdoch – a mettere il dito nella
piaga potrebbe essere indicativo del malessere che si vive nelle sedi principali
– il J. Edgar Hoover Building a Washington, l’Accademia a Quantico e il
complesso del Criminal Justice Information Services Division a Clarksburg –
della struttura investigativa che si occupa di crimini federali e antiterrorismo
per quel che riguarda la sicurezza interna.
Il motto “Fedeltà, Coraggio, Integrità” sembra sbriciolarsi. Il giudizio su
Patel è lapidario: “Non ha né l’esperienza né la capacità di cui un direttore
dell’FBI ha bisogno per avere successo”. Bongino viene definito in modo
impietoso: “Una specie di pagliaccio”. Entrambi vengono criticati per la loro
“arroganza” e per una “ossessione per i social media”. Uno dei racconti che il
New York Post snocciola riguarda ciò che accadde il giorno dopo l’omicidio di
Charlie Kirk, l’attivista di ultra destra ucciso il 10 settembre 2025 sul palco
della Utah Valley University. Secondo una fonte indicata con la sigla Alpha99,
Patel si rifiutò di scendere dall’aereo in quanto non aveva un giubbotto con le
insegne dell’Fbi; gli agenti ne trovarono uno da donna, ma lui si lamentò perchè
non era della sua misura. Patel scese dall’aereo solo dopo che gli agenti della
Swat gli diedero una delle loro giacche utilizzate per le incursioni. Quel che
traspare dal racconto è questo: invece di appurare se le indagini sull’omicidio
di una persona che diceva essere sua amica stessero accelerando, Patel si
impuntò per una questione di vestiario e di immagine.
Nel dossier c’è spazio anche per giudizi positivi, che arrivano sulle
collaborazioni tra Fbi e Ice per rintracciare i migranti illegali, sull’attività
della Joint Task Force dell’FBI Field Office che “a differenza della precedente
amministrazione alla Casa Bianca” è “completamente supportata dal Dipartimento
di Giustizia” e sulla “efficacia operativa migliorata, perché i procuratori
stanno agendo in modo più aggressivo per restare in sintonia con
l’amministrazione”.
Dai pareri raccolti, in linea di massima, emerge l’idea che una parte degli
agenti federali non dimentichino il percorso fatto da Patel prima di ricevere la
nomina da Trump. Nel 2018 Patel era un collaboratore del deputato Devin Nunes,
principale esponente repubblicano della Commissione Intelligence della Camera.
Patel ha avuto un ruolo importante nei tentativi di Nunes di contrastare
l’indagine dell’FBI sui legami della campagna di Trump con la Russia. Nel
dicembre 2024, il Time scrisse che fu proprio il lavoro di Patel in quel
frangente a garantirgli un posto nella prima amministrazione del tycoon.
L’attuale direttore dell’agenzia federale è stato poi un noto critico della
struttura investigativa tanto che nel suo libro “Government Gangsters” scrisse
che l’Fbi era lo strumento principale del Deep State tanto vituperato dai
sostenitori dell’America Maga: “La leadership politicizzata ai vertici l’ha
trasformata in uno strumento di sorveglianza e repressione dei cittadini
americani”. Toni che se da un lato erano musiche per le orecchie di Donald
Trump, dall’altro suscitavano sdegno e apprensione in agenti e analisti
impegnati da anni a fare onestamente il proprio lavoro. Salvo poi ritrovarsi
Patel come capo.
L'articolo “L’Fbi è una nave alla deriva”. Il dossier dei veterani federali che
punta il dito sul capo Patel, fedelissimo di Trump proviene da Il Fatto
Quotidiano.
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La partita tra il presidente Donald Trump e i sei deputati democratici a cui lui
stesso ha paventato una pena capitale per le loro esternazioni, non è ancora
conclusa. L’Fbi ha fatto sapere che vuole interrogare i senatori Mark Kelly ed
Elissa Slotkin, e i deputati Chrissy Houlahan, Chris Deluzio, Jason Crow e
Maggie Goodlander che la scorsa settimana avevano pubblicato un video con il
quale esortavano l’esercito e l’intelligence a disubbidire ad ordini provenienti
dall’amministrazione Trump che potessero apparire come illegali, richiamandosi
al Codice Uniforme di Giustizia Militare. Secondo il Codice, un soldato o un
funzionario dei servizi di sicurezza che esegue un ordine che viola la legge può
andare incontro a procedimenti penali. Ricevere un ordine che conduca ad un
comportamento illegittimo per un militare non costituisce una scusante; è la
tesi che negli Stati Uniti chiamano “difesa di Norimberga”, perchè sbandierata
dai generali nazisti, come scusante per le atrocità commesse, durante il
processo che seguì la fine della seconda guerra mondiale.
Nel video, deputati e senatori dem non hanno fatto riferimento a episodi
specifici, ma il malcontento rispetto alla linea della Casa Bianca riguarda
diversi temi, dai militari inviati nelle città con funzioni di ordine pubblico
all’operazione contro il “cartello” venezuelano della droga, che prevede di
colpire e distruggere le imbarcazioni sospette al largo dei Caraibi.
La reazione dl tycoon era stata furiosa e sul suo sociale Truth aveva scritto:
“Comportamenti sediziosi, punibili con la morte!”. Lo scontro è politico e di
immagine: The Donald sente la sua autoirità di comandante in capo messa in
discussione, i sei, al contrario, ribadiscono che stanno solo facendo il loro
dovere: “Abbiamo giurato di sostenere e difendere la Costituzione degli Stati
Uniti. Quel giuramento dura una vita e intendiamo mantenerlo. Non ci lasceremo
intimidire. Non abbandoneremo mai la nave”. E poi hanno accusato il presidente
di utilizzare i federali come “strumento per intimidire e molestare i membri del
Congresso”.
Il segretario alla Difesa, Peter Hegseth, ha dato man forte all’amministrazione:
“Il video realizzato dai ‘Sei Sediziosi’ era spregevole, sconsiderato e falso.
Incoraggiare i nostri soldati a ignorare gli ordini dei loro comandanti mina
ogni aspetto del ‘buon ordine e della disciplina’. La loro esternazione
insensata semina dubbi e confusione, e mette in pericolo i nostri soldati”.
Per il senatore Kelly, in qualità di ufficiale veterano della Marina in
pensione, si scomoda anche il Pentagono che ha avviato nei suoi confronti un
procedimento per “cattiva condotta”, ipotizzando una sanzione amministrativa e
persino un richiamo in servizio per condurlo dinanzi a una corte marziale. Alla
Cnn, lo staff di Kelly ha fatto sapere che il senatore non farà ammenda: “Kelly
non si lascerà mettere a tacere dal tentativo del Presidente Trump e del
Segretario Hegseth di intimidirlo e impedirgli di fare il suo lavoro”. Alcuni
degli esponenti dem hanno presentato denunce alla polizia di Capitol Hill, sede
del Congresso, segnalando che le dichiarazioni di Trump potrebbero metterli in
pericolo alimentando una reazione violenta da parte di qualche oltranzista.
L'articolo L’Fbi vuole interrogare i sei dem “sediziosi”, loro reagiscono:
“Trump usa i federali per intimidirci” proviene da Il Fatto Quotidiano.