Strumentalizzato come pretesto per promuovere condoni, aumento delle cubature,
aumento delle rendite immobiliari: il contrasto al consumo di suolo oggi è
sempre più la ‘foglia di fico’ per legittimare speculazioni edilizie invece che
un vero recupero sociale e ambientale. Grazie, anche, a un quadro normativo
ambiguo e lacunoso, a partire dall’assenza di una legge nazionale coerente. A
lanciare l’allarme – in vista della Giornata Mondiale del Suolo, venerdì 5
dicembre, quest’anno dedicata proprio ai suoli urbani – sono architetti,
urbanisti, esperti di suolo e del suo consumo. “È vero, oggi la difesa del suolo
può diventare una scusa per mascherare altre attività sul territorio chiaramente
speculative”, afferma Luigi De Falco, architetto, ex assessore all’Urbanistica
di Napoli e già vicepresidente nazionale di Italia Nostra, di cui è membro. “I
condoni sono una piaga ciclica. Prendiamo il Salva Milano: nel testo si parlava
di ‘salvaguardare’ quanto realizzato, senza fare consumo di suolo grazie alla
verticalità. In realtà non si fa che tutelare gli interessi della speculazione
fondiaria”. “È un paradosso”, spiega a sua volta Paolo Pileri, docente di
Pianificazione territoriale ambientale al Politecnico di Milano e uno dei
massimi esperti di consumo di suolo (il suo ultimo libro per Laterza è Dalla
parte del suolo. L’ecosistema invisibile). “La rigenerazione ‘dopata’ viene
fatta passare come medicina contro il consumo di suolo. È una pratica che
attraversa la destra e la sinistra, unite pur di non fermare il consumo di suolo
e unite anche nell’usare incredibile fantasia per aggirare le norme. Persino la
nuova moda della ‘depavimentazione’, che dovrebbe liberare suolo, finisce per
consumarne altro”.
Le conseguenze, come mette in luce l’ultimo Rapporto su Consumo di Suolo
relativo al 2024 a cura di ISPRA e del Sistema Nazionale a rete per la
Protezione dell’Ambiente (SNPA), sono drammatiche anche in termini di microclima
urbano: le analisi sull’isola di calore urbana mostrano differenze di
temperatura tra aree urbane e rurali che superano i 10°C, con picchi di +11,3°C
al Nord. La vegetazione urbana si conferma fondamentale: nei quartieri dove la
copertura arborea supera il 50%, le temperature sono fino a 2,2°C più basse.
Insomma, più suolo consumato, più caldo asfissiante nelle nostre città.
2024: anno tragico per il consumo di suolo
Un altro paradosso che l’ultimo Rapporto Ispra mette in evidenza è una
contraddizione relativa al rapporto tra crescita della popolazione e consumo di
suolo: aumentano le superfici artificiali anche se la popolazione residente è
stabile e decresce. Su questo fronte segnala un’emergenza relativa al Sud Italia
Damiano Di Simine, responsabile Suolo Legambiente. “Stiamo osservando un aumento
del consumo di suolo nel Meridione, dove la popolazione diminuisce di più. Ma
non è difficile immaginare il perché: dove i sindaci sono con l’acqua alla gola
arriva spesso chi punta a operazioni immobiliari speculative, che espandono le
periferie ma non fermano l’emigrazione verso il nord, né l’abbandono dei centri
storici, né la turistificazione di massa”.
Tornando al Rapporto Ispra, gli ultimi dati relativi al 2024 sono a dir poco
allarmanti: sono 83,7 i km² di territorio trasformato in aree artificiali, con
un incremento del 15,6% rispetto al 2023. Detto altrimenti, si tratta di 2,7 m²
al secondo, pari a quasi 230.000 m² al giorno. La crescita è solo in piccola
parte compensata dal ripristino di aree naturali, pari a poco più di 5 km²,
portando il consumo netto a 78,5 km², il valore più alto degli ultimi dodici
anni. Il suolo consumato da infrastrutture, edifici e altre coperture
artificiali è arrivato 7,17% del territorio italiano, contro una media europea
del 4,4%. Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%) sono le
regioni con maggiore copertura artificiale.
Un altro dato riguarda il consumo di suolo all’interno delle aree a pericolosità
idraulica (+1.303 ettari in zone a pericolosità media) e nelle aree a
pericolosità di frana (+608 ettari). Aumenta il suolo consumato dai pannelli
fotovoltaici a terra (+1.702 ettari, di cui l’80% su superfici precedentemente
utilizzate ai fini agricoli), in forte aumento rispetto ai 420 ettari rilevati
nel 2023. Negli ultimi anni inoltre si sono persi 37 ettari a causa
dell’espansione dei data center, infrastrutture digitali e servizi cloud.
Leggi che non ci sono, leggi che ci sono ma non funzionano
L’Italia non ha una legge nazionale sulla riduzione del consumo di suolo e sulla
rigenerazione urbana. “Esistono però leggi regionali, ad esempio in Emilia
Romagna, Veneto, Campania e Puglia”, spiega Pileri, “ma non sono leggi che
fermano il consumo di suolo”. Anche per Di Simine “le leggi regionali sono
inefficaci perché non affrontano il nodo delle immense previsioni di espansione
che sono in pancia ai piani urbanistici dei Comuni: del resto la legge
urbanistica ancora vigente risale al 1942, una norma che ha svolto bene il ruolo
di accompagnare il boom economico e demografico del dopoguerra, ma che è
inadatta ad affrontare le priorità di tema dell’adattamento climatico”. Per De
Falco non serve tuttavia parlare di rigenerazione urbana perché già la legge del
1942 prevede la ristrutturazione urbanistica. “Non abbiamo necessità di nuovi
strumenti di legge, il problema semmai è che l’applicazione è sempre stata
distorta”.
Sicuramente importantissimo, a detta di tutti, è il nuovo Regolamento europeo
sul ripristino della natura, perché, spiega Paolo Pileri, “afferma finalmente
che il suolo è un ecosistema terrestre, mettendo in crisi l’architettura
giuridica del nostro Paese, dove il suolo dal Testo unico ambientale non è
definito tale. Il problema”, continua, “è che questa legge impone il ripristino
del 30% degli ecosistemi danneggiati entro il 2030, ma se da un lato si
ripristina e dall’altro si continua a consumare, che senso ha?”. L’altro
elemento giuridico nuovo è la Direttiva sul monitoraggio del suolo, approvata lo
scorso ottobre dal Parlamento europeo. Si tratta di un provvedimento atteso da
vent’anni. “Purtroppo” spiega Di Simine, “stabilisce finalmente il principio che
anche il suolo è oggetto del diritto ambientale della UE, ma non introduce
strumenti di tutela legislativa, che restano in capo agli Stati membri”.
Pianificare. E aumentare la consapevolezza pubblica sul tema
Cosa si può fare, dunque? Legge a parte, secondo Ispra la risposta al consumo di
suolo sta in due mosse: contenere l’espansione urbana e infrastrutturale da un
lato e promuovere il ripristino ecologico e la resilienza territoriale
dall’altro. Per De Falco, “serve realizzare una seria pianificazione
urbanistica, che è sempre stato il manifesto di Italia Nostra. Quella è la
priorità, non l’intervento puntuale che, aggirando la pianificazione, garantisce
solo gli interessi di chi lo realizza. Occorre al contempo lavorare su
infrastrutture e servizi, ormai la vera carenza italiana”. In occasione della
Giornata Mondiale di quest’anno, Legambiente ha anche lanciato un decalogo sui
suoli urbani sani che, oltre a limitare il consumo di suolo, invita a
“depavimentare, non compattare, drenare le acque, riciclare la sostanza
organica, non lasciare nudo il suolo, evitare i pesticidi nella gestione del
verde urbano, evitare di spargere sale, disintossicare le città, coltivare bio
nelle aree periurbane”.
Non è da sottovalutare, infine, l’importanza della crescita della consapevolezza
pubblica sul tema. “Non si percepisce la centralità radicale del suolo perché lo
fruiamo indirettamente, non direttamente come l’acqua, l’aria, l’energia”,
afferma Pileri. “In più, nessuno sa né che nei primi 30cm di suolo c’è il 30%
della biodiversità né cosa sia la biodiversità. I cittadini dovrebbero arrivare
a capire che pagare un’azienda per togliere asfalto è come pagarla per metterlo,
non sono soldi sprecati. È un problema di rifondazione culturale – come diceva
Alexander Langer – di cui la politica non vuole farsi carico. Serve pazienza. E
coraggio”.
L'articolo Giornata Mondiale del Suolo, Paolo Pileri (Politecnico Milano):
“Destra e sinistra unite nell’aggirare le norme sul consumo” proviene da Il
Fatto Quotidiano.