Chiuse le indagini sul caso della morte del 19enne Ramy Elgaml avvenuta il 24
novembre 2024 a Milano dopo un inseguimento di 8 km culminato con l’incidente
contro un semaforo, all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta. Sono otto in
tutto gli indagati, che adesso rischiano il processo: sette carabinieri e Fares
Bouzidi, l’amico della vittima che guidava lo scooter T Max. Sia Fares che il
carabiniere Antonio Lenoci devono rispondere di omicidio stradale. Lenoci è
accusato anche di lesioni. I militari Mario Di Micco, Luigi Paternuosto,
Federico Botteghin e Bruno Zanotto devono rispondere, invece, di frode e
depistaggio per aver fatto cancellare i video ripresi con un cellulare da due
testimoni. Inoltre quattro militari – Lenoci, Paternuosto, Ilario Castello e
Nicola Ignazio Zuddas – devono rispondere di falsità ideologica commessa dal
pubblico ufficiale in atti pubblici per aver nascosto la presenza di una
telecamera dashcam sull’auto e di una bodycam personale, “dispositivi che
riprendevano l’intera fase dell’inseguimento“. Castello e Zuddas devono
rispondere anche di falso per le dichiarazioni rese ai pubblici ministeri. Il
nuovo avviso notificato oggi è un atto complessivo con tutte le accuse: nel
tempo, infatti, sono aumentate le imputazioni e gli indagati, rispetto alle tre
chiusure indagini distinte per sei indagati che erano state notificate nei mesi
scorsi. Atto che prelude la richiesta di processo.
IL FALSO E IL DEPISTAGGIO
Gli ultimi due indagati sono i carabinieri che si trovavano su una delle due
pattuglie che arrivarono sul posto dopo quella che tallonava da vicino lo
scooter. Nel verbale d’arresto per resistenza a pubblico ufficiale a carico di
Fares Bouzidi, l’amico di Ramy, i quattro carabinieri che firmarono quel
provvedimento avrebbero commesso un falso ideologico perché hanno omesso di
“menzionare l’urto tra i mezzi coinvolti”, ossia l’auto dei militari e lo
scooter, scrivendo che il secondo era “scivolato“. Urto che risulta, invece, da
tutte le relazioni, anche dei consulenti, agli atti. E non hanno indicato
nell’atto nemmeno “la presenza del testimone oculare“, né hanno segnalato la
presenza “di una dashcam personale” e di una “bodycam”, che avevano ripreso
“l’intera” fase “dell’inseguimento”. Lo scrivono i pm di Milano Giancarla
Serafini e Marco Cirigliano, della Procura diretta da Marcello Viola, nel nuovo
avviso di conclusione delle indagini. Restano confermate anche le imputazioni
per due militari per depistaggio e favoreggiamento: i due avrebbero detto
“cancella immediatamente il video (…) adesso ti becchi una denuncia” al teste
oculare. Testimone che fu individuato solo grazie ad una “trasmissione
televisiva”. Altri due carabinieri, poi, sono accusati di depistaggio perché
avrebbero costretto un altro teste “a cancellare” nove file “video“.
L’OMICIDIO STRADALE
In merito all’incidente stradale che ha provocato la morte del 19enne – come già
emerso – i pm contestano a Fares l’omicidio stradale per quella fuga pericolosa,
“con picchi di velocità superiori ai 120 km/h”, anche in “contromano“, chiarendo
che all’altezza dell’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta lo scooter tentò
di girare a sinistra, ma ci fu poi una “repentina ed improvvisa manovra a
destra”. Da lì “l’urto” tra il lato posteriore destro del TMax con la “fascia
anteriore del paraurti” della Giulietta dei militari. A causa dell’urto, lo
scooter slittò e Ramy venne sbalzato “contro il palo” di un semaforo. Il ragazzo
fu anche investito dalla macchina dei militari che si schiantò in quella
direzione. A Fares – che è già stato condannato in primo grado a 2 anni 8 mesi
per resistenza – vengono contestate anche le aggravanti della guida senza
patente e contromano. Al carabiniere che guidava, invece, i pm contestano sempre
l’essersi tenuto “ad una distanza estremamente ravvicinata“, quasi “affiancando”
il T Max, senza essere, dunque, riuscito ad evitare “l’urto” quando lo scooter
sterzò a destra. Sarebbe arrivato ad una distanza “laterale” di 80 cm. Anche
lui, dunque, per la Procura, avrebbe concorso nell’omicidio stradale, non
considerando nemmeno la “lunga durata dell’inseguimento”. Per la stessa condotta
è anche accusato di aver causato lesioni a Bouzidi con una prognosi di 40
giorni. In questo caso, però, per il militare c’è “l’attenuante” che l’evento
non è stato “conseguenza esclusiva” della sua azione. Per due volte i pm nei
mesi scorsi hanno chiesto al gip di effettuare una perizia “terza” sulla
dinamica in incidente probatorio. Istanza sempre respinta. Ora la Procura dovrà
decidere se chiedere il rinvio a giudizio per Bouzidi e i sette i militari.
L'articolo “Hanno nascosto la presenza di dashcam e bodycam”: chiuse le indagini
sulla morte di Ramy. 7 i carabinieri indagati proviene da Il Fatto Quotidiano.